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Il primo engagement con Fincantieri. Un dialogo poco incoraggiante

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Fincantieri

 

 

Un dialogo poco incoraggiante

La prima volta di Fondazione Finanza Etica all’assemblea degli azionisti di Fincantieri non è stata molto incoraggiante. La società, di cui siamo azionisti con 100 azioni, per un valore complessivo di circa 50 euro, non ha dimostrato alcuna volontà di intraprendere un effettivo dialogo. 

 

Assemblea a porte chiuse. Per motivazioni incomprensibili

Anche Fincantieri ha usufruito della possibilità offerta dal governo Meloni di svolgere l’assemblea a porte chiuse, cioè in remoto, senza la possibilità di interlocuzione da parte degli azionisti e solo attraverso il rappresentante designato. Ma le motivazioni addotte dall’azienda nel rispondere alle nostre domande sono davvero originali.
A detta del management la scelta è dovuta non solo alle “notevoli difficoltà organizzative connesse a tale modalità”, “ma anche alla luce della necessità di garantire la parità di partecipazione alla seduta assembleare da parte di tutti gli azionisti”. Non prevedendo alcuna reale possibilità di partecipazione, quindi, si garantisce secondo Fincantieri a tutti gli azionisti la possibilità, pari a zero, di partecipare: una uguaglianza al ribasso. Anche se, “in conformità alle best practice, la Società ha previsto che gli azionisti legittimati alla partecipazione all’Assemblea possano
assistere ai lavori assembleari attraverso una piattaforma di streaming passivo”.
Ma “assistere”, nella lingua italiana, non è sinonimo di “partecipare”. 

 

La risposta della Consob

Su questa originale interpretazione della normativa da parte di Fincantieri ha però messo la pietra tombale il presidente di Consob (l’organo di controllo del mercato finanziario italiano), Paolo Savona. In audizione davanti alla Commissione Finanze del Senato ha osservato che svolgere le assemblee esclusivamente tramite il rappresentante designato, come durante la pandemia,

incide sui diritti degli azionisti e sulla partecipazione assembleare e non appare in linea con i principi ispiratori della direttiva Shareholders Right.

 

Le domande sulla governance

Nelle domande circa la governance e, in particolare, sulla scelta di attribuire al presidente della Società Claudio Graziano una serie molto vasta di deleghe esecutive (a nostro avviso una eccessiva concentrazione di potere su questa figura) e sulle competenze dei consiglieri e il mix di competenze nel CdA, è calata una fitta nebbia di parole a vuoto per non rispondere nel merito le domande. Fincantieri sceglie la strada della tautologia.
La domanda: “il fatto che al Presidente del CdA siano state attribuite anche delle deleghe esecutive non rappresenta un elemento di eccessivo potere nelle mani del Presidente stesso?”. Risposta (tautologica): “in data 16 maggio 2022 il Consiglio di Amministrazione, in conformità con quanto fatto dai precedenti Consigli di Amministrazione, ha deliberato di conferire al Presidente Claudio Graziani deleghe riportate nella Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari, disponibile sul sito internet della Società”. Una risposta non-risposta.

 

Il modello di business verso il militare

La Società fornisce “non risposte” alle nostre domande sul modello di business e in particolare sulla virata della Società verso il militare. Chiediamo di conoscere la distribuzione dei ricavi, all’interno del prospetto ricavi di Fincantieri SpA, relativo al macro-segmento “Shipbuilding” (71% complessivo) e “Military (31,3%) e ai loro prodotti. Risposta: “la Società non fornisce dettagli”.

Chiediamo, in relazione al Piano industriale adottato, cosa prevede la Società circa la distribuzione dei ricavi e il loro ammontare nei prossimi 2 anni per le diverse aree di business. Chiediamo, di nuovo, l’incidenza dell’area business “military”. Nella risposta solo alcuni dati percentuali. Fincantieri, inoltre, non cita mai la categoria “military”, introducendo invece la categoria “naval”, mostrando di non voler intendere qual era il nostro precipuo interesse: capire se nei prossimi due anni la Società prevede un maggior peso della produzione militare nei ricavi complessivi. Dati che non si ricavano con chiarezza  dal Piano industriale 2023-2027, al quale pure la Società fa continuo rinvio nelle sue “non risposte”.

 

La Politica di Remunerazione

Stessa musica nelle domande sulla Politica di Remunerazione. Chiediamo, tradizionalmente in tutte le società che ingaggiamo, attraverso quali parametri è misurato il raggiungimento degli obiettivi prefissati per accordare (o meno) la parte dell’incentivo variabile della retribuzione del Presidente del CdA. La risposta di Fincantieri è: “Gli obiettivi sono misurati in ragione di specifici indicatori predeterminati e saranno oggetto di valutazione da parte del Comitato per la Remunerazione e del Consiglio di Amministrazione”. Facendo finta di non capire la domanda: abbiamo chiesto quali sono questi indicatori, non se esistono.

Lo stesso accade per la domanda sul peso degli indicatori individuati per la remunerazione dell’Ad e del Direttore Generale. Noi chiediamo quanto pesano gli specifici indicatori e la Società risponde che prestano costante attenzione all’indice di sostenibilità.

Nessuna risposta sulle domande relative agli infortuni sul lavoro.

 

Le fregate vendute all’Egitto

Sulle domande sulle fregate militari classe FREMM prodotte e vendute da Fincantieri all’Egitto abbiamo, finalmente, fra le righe, alcune notizie. La Società ha venduto le unità FREMM al governo egiziano a un prezzo superiore a quello originariamente previsto dal contratto originario verso la Marina Militare Italiana. Perché? Perché nei documenti programmatici della Marina Militare Italiana era prevista anche una quota relativa al supporto logistico che, non essendo incluso nel contratto di vendita verso l’Egitto, va espunta. Naturalmente ogni altro dettaglio viene negato in quanto “elementi sensibili” dal punto di vista contrattuale. Tuttavia conferma Fincantieri che “potrebbero” esserci nuove iniziative commerciali del genere verso l’Egitto, che si conferma ottimo cliente per l’industria militare italiana, nonostante la non splendida performance in termini di diritti umani del paese di Al-Sisi.

La Società risponde blandamente, mostrando la solita tabellina utilizzata per altre domande, che prevede di spostare nel prossimo triennio la produzione su sistemi militari, rispetto a quello civile. E indica fra i principali clienti esteri di Fincantieri per il prossimo futuro gli USA, il Qatar e l’Arabia Saudita. Anche se non fornisce alcuna informazione circa gli introiti dall’export.

 

Ma se nella complessa arte della tautologia e del depistaggio la Società si è dimostrata maestra, dovrà comunque accedere a un confronto diretto. Fondazione Finanza Etica infatti farà richiesta di avviare un dialogo, secondo le modalità stabilite dalla policy di Fincantieri.
Perché il nostro engagement non si esaurisce nel momento topico dell’Assemblea degli Azionisti; si svolge infatti durante il corso dell’anno, alla ricerca non solo di informazioni, ma anche di una collaborazione leale per costruire un profilo più rispettoso dei criteri ESG, particolarmente delicato per un’azienda che costruisce ed esporta armi. Un Made in Italy di cui non sentiamo francamente bisogno.


Simone Siliani

Azionariato critico su ACEA. Un engagement di successo

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ACEA

Foto di Mali Maeder, Pexels

 

ACEA. Un engagement di successo

Nel sesto anno del nostro engagement con ACEA possiamo dire, con soddisfazione, che il dialogo si svolge oggi su un piano di un soddisfacente livello di trasparenza e lealtà. Ciò almeno per quanto riguarda le domande relative al modello di business e sulle politiche di remunerazione del management. Vi sono, invece, margini di deciso miglioramento per quanto riguarda la situazione finanziaria del Gruppo. 

Mentre notiamo che, anche in questo caso, la modalità di svolgimento dell’Assemblea degli azionisti “a porte chiuse” costituisce un irresistibile fattore di chiusura al dialogo con gli azionisti. Come per (quasi) tutte le altre società ingaggiate si è scelta questa modalità di svolgimento (attraverso Rappresentante Designato dalla Società) come ineluttabile e non come una possibilità. Che dimostra una certa rigidità interpretativa della norma o, peggio, una pavloviana reazione incondizionata come di paura o sfiducia nella capacità degli azionisti di discutere con il management in vista di un obiettivo comune che è il bene dell’azienda. Questo spiega il motivo per cui nessuna di queste aziende, ACEA compresa, risponde alla nostra domanda “perché avete scelto questa modalità”. E anche ACEA ci dice che le modalità con cui si è svolta l’Assemblea degli azionisti è “pienamente conforme alla vigente disciplina legislativa”. Vorremmo anche vedere fosse il contrario! Ma il punto è perché si è scelta questa soluzione rispetto alle diverse possibili (in presenza, in forma mista presenza-da remoto, da remoto ma con possibilità di interlocuzione attiva).

 

La situazione finanziaria del Gruppo

Sulla situazione finanziaria del Gruppo, tema da cui era iniziato nel 2017 il nostro engagement, il dialogo è ancora difficile. Pensiamo che vi sia ancora uno squilibrio fra la quantità di utili che la Società destina ai dividendi a favore degli azionisti rispetto a quelli destinati agli investimenti sul miglioramento della rete o comunque all’efficienza dell’azienda. La payout ratio (cioè il rapporto fra dividendo complessivo distribuibile e l’utile dell’esercizio) è ancora troppo alto e tale da minare l’obiettivo dello sviluppo sostenibile di lungo periodo. Tuttavia riconosciamo che questo valore è sceso dal 95% nel 2022 all’87% nel 2023, segno che anche l’azienda riconosce in qualche misura l’esistenza del problema.

Tuttavia, passi avanti ve ne sono stati. Prima di tutto in termini di trasparenza e di apertura di confronto. La politica dei dividendi della Società prevedeva nel Piano industriale 2020-2024 una distribuzione di complessivi 860 milioni di euro. Nelle prime quattro annualità del piano (2020-2023) sono stati distribuiti 698,2 milioni. Ne resterebbero da distribuire nel 2024 circa 162. Ma questo corrisponderebbe a un dividendo di 0,76 euro per azione, contro gli attuali 0,85. Abbiamo dunque chiesto ad ACEA se questo implicasse un abbassamento del dividendo per azione nel 2024, perché non vorremmo che che invece si pensasse di sfondare la previsione del dividendo complessivo rispetto a quanto previsto nel piano, aggravando così lo squilibrio che abbiamo già denunciato all’inizio. Su questo la risposta di ACEA è stata evasiva: nell’ambito del nuovo piano industriale, rispondono, la Società elaborerà “una politica dei dividendi in funzione delle performance economico-finanziarie delineate nel piano stesso”. Abbiamo così compreso che quando un’azienda è colta in fallo, tende a dare (non)risposte ovvie.

 

La politica industriale

Rispetto alla politica industriale della Società, registriamo dei successi reali del nostro engagement.

Intanto chiarezza sul tema perdite idriche. La Società ha obiettivamente fatto degli investimenti (87,8 milioni di euro nel solo 2022) ottenendo risultati interessanti. ACEA Ato 2, l’azienda idrica di Roma e provincia del Gruppo, ha ridotto del 17,2% rispetto al 2019 le perdite idriche non contabilizzate. Per raggiungere l’obiettivo prefissato, è prevista una ulteriore riduzione del 9,8% nel periodo 2023-2024. ACEA Ato 5 (Frosinone e provincia) ha ridotto le perdite del 24% nel 2022 rispetto al dato del 2019 con un investimento di 15,74 milioni di euro. Nel periodo 2023-2024 è prevista una ulteriore riduzione del 7%.

Risultati importanti del nostro azionariato critico si registrano anche sul terreno della politica di remunerazione. In particolare in termini di trasparenza del sistema di incentivazione variabile nel breve periodo, incentrato su un obiettivo di sostenibilità, e la sua misurazione. La Società fornisce informazioni abbastanza dettagliate sulla componente efficientamento dei depuratori realizzato in termini di interventi di razionalizzazione. Cioè la riduzione della frammentazione dei tanti piccoli impianti sul territorio in favore di impianti medio-grandi, abbinata all’integrazione dei sistemi di collettamento fognario. Questo consente un maggior controllo sull’efficacia della depurazione, l’ottimizzazione dei costi di gestione ed energetici e il miglioramento della performance depurativa.  Analoga strategia relativa all’indicatore dell’efficientamento dei depuratori: riduzione e chiusura di quelli più piccoli a favore di impianti più grandi ed efficienti. Questi indicatori, concretamente misurabili, vanno a comporre l’indicatore di sostenibilità relativo all’incentivo della parte variabile della remunerazione del management.

Anche per quanto riguarda il piano di remunerazione relativo agli incentivi di lungo periodo, la risposta dell’azienda è stata corretta. Nel 2024 saranno forniti i dati circa il raggiungimento o meno dei risultati, che comportano indicatori relativi alla riduzione delle perdite idriche, della percentuale dei fanghi disidratati, delle emissioni e degli indici di infortuni.

 

Ecco, dunque, un caso in cui l’azionariato critico può dirsi di successo, passando da un’iniziale chiusura e sospetto, ad un confronto aperto, in uno spirito collaborativo e di trasparenza.

 

Simone Siliani

Premiate 5 cooperative femminili con il bando CoopstartupHER

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coopstartupher

I 5 progetti vincitori di CoopstartupHER hanno superato le fasi di selezione, formazione e accompagnamento. Riceveranno un finanziamento a fondo perduto di 10mila euro.

 

Una cooperativa di comunità, un WBO, una cooperativa sociale e due gruppi che in cooperativa si stanno per costituire. Provengono dall’Alto Adige, Toscana, Umbria, Campania e Puglia. Sono tutte imprese cooperative a governance femminile, con una elevata attenzione all’impatto sociale e ambientale del loro lavoro: dal riciclo artigianale della plastica a una bottega di prodotti biologici e naturali di comunità, da un centro estetico naturale incubatore di comunità per donne fragili ai servizi di facilitazione per il benessere nelle aziende e a una legatoria di sole donne che hanno rilevato una azienda in fallimento. Questi i 5 progetti vincitori di CoopstartupHER.

Sono Mobius Circle, Ginko per il bene comune, Radice di C.O.I.R.A., Tara e Legatoria Tuderte.

Le realtà premiate

Legatoria Tuderte si trova a Todi, in Umbria. È un WBO: una società cooperativa nata nel 2021 da 9 soci, 7 donne e 2 uomini, come risultato di un processo di workers buyout da parte degli stessi lavoratori per salvare l’attività della precedente azienda e garantire continuità produttiva ed occupazionale. Opera nel mercato di nicchia della legatoria artigianale.

Come si lavora per facilitare le imprese nel cambiamento della cultura organizzativa e aiutare i team a lavorare meglio insieme? Tara lo sa. Guardate qui.

Quattro donne, di diversa formazione e provenienza, che producono cosmetici naturali e che, in meno di un anno, hanno realizzato laboratori per oltre 100 donne «dai 16 ai 70 anni», di ogni provenienza e background sociale. La Radice di Coira ha sede a Napoli, vuole farsi conoscere in tutta Italia.

Prodotti di design dalla plastica. Economia circolare ed educazione ambientale sul territorio. La plastica la portano i salentini, Mobius Circle la trasforma e la vende in loco e, in futuro, anche online. Realizzando prodotti utili e anche belli.

A Merano, la cooperativa Ginko è stata fondata un anno fa da 12 persone socie, che provengono da due storici gruppi di acquisto solidale. Ora le persone socie sono più di 100 e apriranno un minimarket in un quartiere multietnico della città, per rivitalizzare il quartiere, fornire prodotti biologici di filiera a prezzi accessibili, creare uno spazio aggregativo.

 

Il bando

Il bando CoopstartupHER è promosso dalla Commissione Pari Opportunità di Legacoop Nazionale e sostenuto dal fondo mutualistico Coopfond. Con il patrocinio di Unioncamere, è stato realizzato in partnership con Banca Etica e Fondazione Finanza Etica, Università Luiss Guido Carli e il Gender Interstudies Observatory delle tre Università di Roma. Hanno partecipato 146 persone che hanno presentato 35 progetti.

Fondazione Finanza Etica ha sostenuto il progetto e ha partecipato alle fasi di selezione e di docenza e di premiazione, a Roma, l’11 maggio.

 

 

Leonardo spa si sta trasformando in industria bellica?

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Evento a Roma, presso la Redazione di Scomodo, lunedì 8 maggio ore 18

Nel 2022 e nel 2023 l’Italia ha deciso di spendere oltre 8 miliardi di euro per comprare nuovi armamenti. Soldi pubblici, usati in gran parte da Leonardo S.p.A. (compagnia partecipata al 30,2% dal ministero dell’Economia e delle finanze) per produrre elicotteri da combattimento, torrette e cannoni per sistemi navali e terrestri, siluri, munizioni programmabili ad alta precisione e componenti per arsenali nucleari. Soldi che, invece, potrebbero essere usati per produrre elicotteri di soccorso, aerei antincendio e alta tecnologia a uso civile.

E se Leonardo S.p.A, negli ultimi 5 anni, ha concentrato l’80% della sua attività proprio nel settore delle armi, è legittimo domandarsi se si stia trasformando in un industria bellica.

L’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica, insieme a Rete Italiana Pace e Disarmo, ha chiesto conto di ciò direttamente ai vertici Leonardo S.p.A. in occasione dell’assemblea annuale della società. In un videomessaggio di Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica, l’invito quindi a partecipare ad un evento in presenza per conoscere i quesiti posti all’attuale board della compagnia e discutere le risposte ricevute.

 

 

 

Il programma dell’incontro

 

18:00 – 18:05 | Saluti di Scomodo

18:05 – 18:15 | Introduce Marco Carlizzi, presidente di Etica Sgr

18:15 – 18:25 | LE PAROLE SONO IMPORTANTI
Nicoletta Dentico, giornalista, esperta di diritti umani

18:25 – 19:00 | L’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica su Leonardo S.p.A.

Ne discutono:

Susi Snyder, Steering Committee della Campagna ICAN (in diretta video)
Francesco Vignarca, portavoce Rete italiana Pace e Disarmo
Mauro Meggiolaro, analista di Fondazione Finanza Etica

Modera Luca Liverani, Avvenire.

19:00 – 19:10 | PER UNA FINANZA DISARMATA. Le proposte di Fondazione Finanza Etica
Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica

Nuova governance per Fondazione Finanza Etica

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Fondazione

Fondazione Finanza Etica saluta le nuove persone che costituiscono l’Assemblea di Indirizzo e il Comitato di Gestione

 

I due organi che governano collegialmente la Fondazione sono oggi rinnovati nella loro composizione e funzione.

L’Assemblea di Indirizzo, composta da 12 persone, rappresenta il mondo di riferimento del Gruppo Banca Etica e svolge funzioni di indirizzo culturale e politico e di controllo. Approva i bilanci e il piano di attività annuale. È presieduto da Teresa Masciopinto, presidente.

È composta da:

  • Nazzareno Gabrielli, direttore di Banca Etica
  • Roberto Grossi, vicedirettore di Etica Sgr
  • Giuditta Peliti, referente soci Area Centro Banca Etica; siede nel Consiglio di Amministrazione di ènostra
  • Stefano Baldussi, rappresentante del comitato persone socie lavoratrici di Banca Etica
  • Francesca Rispoli, rappresentante del Comitato Soci di Riferimento di Banca Etica; siede nel Consiglio di Amministrazione del Gruppo Abele e fa parte del Comitato di Gestione di Libera
  • Maria Francesca De Tullio, rappresentante del Comitato Etico di Banca Etica; ricercatrice di diritto costituzionale presso l’Università di Napoli
  • Carlos Askunce, presidente di Fundación Finanzas Éticas
  • Camilla Carabini, antropologa, ricercatrice su monete e criptovalute, CBCD e finanza
  • Patrizia Messina, docente presso l’Università di Padova, esperta di analisi dello sviluppo locale
  • Davide Caselli, sociologo, ricercatore presso l’Università di Milano-Bicocca, si occupa di expertise, finanziarizzazione e politiche sociali
  • Giampietro Cavazza, vice-sindaco di Modena.

 

Il Comitato di Gestione svolge compiti di ordinaria e straordinaria amministrazione. Governa quotidianamente la Fondazione, in stretta relazione con lo staff e la direzione.

È composto da:

  • Teresa Masciopinto, presidente
  • Riccardo Dugini, vice-direttore di Banca Etica
  • Luca Mattiazzi, direttore di Etica Sgr
  • Michele Gramazio, referente soci Area Sud, esperto di cooperazione internazionale
  • Silvia Silvozzi, GIT Marche Sud, esperta in design e gestione di progetti e venture-philantropy

 

La Fondazione augura alle persone consigliere tre anni di proficuo e stimolante lavoro al servizio della finanza etica.

 

Teresa Masciopinto nuova presidente di Fondazione Finanza Etica

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presidente

Teresa Masciopinto è la nuova presidente di Fondazione Finanza Etica, per il prossimo mandato di tre anni.

Le abbiamo fatto qualche domanda, su di lei e su di noi.

 

Cara Teresa, benvenuta in Fondazione! Ci piacerebbe sentire un tuo commento per questo nuovo incarico, così a caldo, fresca di nomina. Ci racconti anche qualcosa di te?

Sento di esprimere gratitudine e soddisfazione per una nomina che mi responsabilizza e mi impegna ulteriormente nel percorso di affermazione della finanza etica, percorso che ho scelto fin dalle prime esperienze associative e professionali e in cui credo profondamente.

Ho incontrato il progetto della cooperativa verso la Banca Etica non appena laureata e da subito mi è sembrata una concreta azione di cambiamento di un modello socio economico che non mi rappresentava. Fin dai tempi dell’università mi sono infatti impegnata per il contrasto alla marginalità e la riqualificazione urbana in una fondazione che opera nelle periferie di Bari. Per dieci anni sono stata giudice onoraria presso il Tribunale per i Minorenni. Dal 2008 a oggi ho lavorato nell’ufficio relazioni associative di Banca Etica, di cui sono stata responsabile.

 

Parliamo della Fondazione. Come la immagini da qui a tre anni? Quali sono secondo te le direttrici più interessanti su cui Fondazione Finanza Etica potrà esprimersi?

Immagino la Fondazione sempre più soggetto attivo della rete di chi in Italia e in Europa promuove un modello socio economico che mette al centro le persone e il benessere del Pianeta e al contempo strumento qualificato per l’elaborazione culturale del Gruppo Banca Etica.

Il lavoro fin qui svolto traccia un percorso chiaro e ricco di prospettive interne ed esterne per marcare le linee di distintività della finanza etica. Penso che la Fondazione possa dare un grosso contributo in termini di ricerca e sperimentazione di modelli innovativi. L’obiettivo è anche quello di saldare i legami operativi nel quadro della pianificazione strategica del Gruppo.

Una direttrice di lavoro interna interessante mi sembra anche il rafforzamento della struttura della Fondazione.

 

Ambiente, reti, persone, cultura. Non sarà difficile proporre temi positivi, generativi, in un momento così difficile per noi e per il pianeta?

Il momento storico in cui viviamo ci consegna un quadro in cui dilagano disuguaglianze sociali, crisi climatica e ambientale, scenari desolanti di guerra e autoritarismo, ma anche una platea sempre più ampia di persone e organizzazioni che chiedono e praticano responsabilità sociale, scelte critiche, informazione trasparente, democrazia partecipativa.

Allargare questo campo ed esserne parte è il compito che ci assumiamo come Fondazione, senza cedere a rischi di autoreferenzialità, ma con la consapevolezza della forza delle nostre proposte. Gli strumenti sono quelli che conosciamo e che ci contraddistinguono: l’informazione e l’educazione critica alla finanza, l’azionariato critico, le attività di engagement e advocacy.

 

Partecipi anche al patronato di Fundación Finanzas Eticas. Il processo di “pensare come un’unica fondazione”, iniziato negli scorsi anni, come pensi che proseguirà?

Offrirò il mio contributo per consolidare e sviluppare i percorsi in atto per costruire le sinergie con le organizzazioni della società civile in Italia e in Spagna. La strada intrapresa di una forte collaborazione fra le due Fondazioni va rinforzata con un’intensificazione delle relazioni culturali e operative a tutti i livelli, da quello di governance a quello di confronto costante fra collaboratori e collaboratrici. Mi sembra che la prospettiva del lavoro comune e di scambio reciproco, pur nella salvaguardia delle specificità, sia l’unica a garantire un allargamento della visione della finanza etica e maggiori opportunità di impatto delle nostre azioni.

Assemblee degli azionisti a porte chiuse

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La protesta della società civile italiana

 

ReCommon, ISDE Italia, Greenpeace Italia, The Good Lobby e Fondazione Finanza Etica criticano duramente la decisione del governo di permettere alle principali società italiane di tenere per il quarto anno consecutivo le loro assemblee degli azionisti a porte chiuse, secondo le modalità per la prevenzione della diffusione del Covid-19 ormai non più in vigore essendo conclusa la fase emergenziale della pandemia.

Questo ennesimo schiaffo alla partecipazione democratica e alla trasparenza è il frutto dell’emendamento al cosiddetto Decreto Milleproroghe (numero 198 del 29/12/2022, approvato in via definitiva lo scorso 23 febbraio) che reitera le disposizioni contenute nel Decreto legge “Cura Italia” del 17/03/2020, che offriva alla società per azioni la possibilità di consentire la partecipazione e l’esercizio del voto degli azionisti mediante mezzi di telecomunicazione, anche in deroga a diverse disposizioni statutarie. Il testo menziona la “possibilità di prevedere” queste modalità alternative alla partecipazione in presenza, comunque ancora oggi garantita o mediata, appunto, da mezzi di telecomunicazione.

Tuttavia, dopo la conversione in legge del DL Cura Italia, avvenuta il 24 aprile 2020 e le successive proroghe, fra il 2020 e il 2022 le principali società italiane quotate in Borsa – tra cui i grandi gruppi industriali e finanziari – hanno deciso di seguire la linea delle “porte chiuse”, precludendo anche la possibilità di prendervi parte attraverso i mezzi di telecomunicazione. Ciò ha comportato una totale mancanza di dialettica tra gli azionisti e gli amministratori delle società, a scapito della partecipazione.

L’emendamento delle “porte chiuse” introdotto nell’ultimo Decreto Milleproroghe è il n.3.300, presentato da Massimo Garavaglia (Lega), parlamentare che nel dicembre 2021 affermava la sua contrarietà a possibili chiusure per contrastare la recrudescenza della situazione pandemica e auspicava “un mesetto senza parlare di Covid”, e che ora vuole invece sbarrare le porte assembleari dei colossi italiani proprio per il rischio sanitario connesso all’insorgenza della epidemia da Covid-19.

In un contesto in cui il virus continua a circolare ma la fase più acuta – nonché emergenziale – è passata da tempo, è lecito interrogarsi sugli interessi tutelati da questo emendamento.

Per questo ReCommon, ISDE Italia, Greenpeace Italia, The Good Lobby e Fondazione Finanza Etica denunciano l’ulteriore restrizione degli spazi democratici in merito alla possibilità di fare da contraltare all’operato dei gruppi industriali e finanziari italiani. Chiedono inoltre agli stessi di non abusare delle disposizioni presenti nel DL Milleproroghe e consentire la partecipazione in presenza alle rispettive assemblee degli azionisti o, in extrema ratio, una partecipazione tramite mezzi di telecomunicazione equiparabile a quella in presenza. In ultimo, le organizzazioni sollecitano il governo e gli enti regolatori a intervenire a tutela dei diritti degli azionisti, affinché limitazioni di questo genere non si ripresentino più in futuro.

Come dimostrato negli ultimi anni dall’azionariato critico promosso dalle organizzazioni della società civile, le assemblee degli azionisti offrono la possibilità di confrontarsi apertamente con il management delle società e chiedere ragione del loro operato in relazione all’ambiente, al clima e ai diritti umani. Un meccanismo certo parziale e limitato, ma che cerca di porre rimedio alla totale mancanza di accountability dei gruppi industriali e finanziari – Intesa Sanpaolo e UniCredit in primis – visto il silenzio dei governi, che in alcuni casi, ad esempio in Italia, sono anche azionisti delle stesse imprese, come nel caso di Eni, Enel e Snam.

Con la recente approvazione del Milleproroghe dunque ancora più del passato le assemblee rischiano di ruotare solo intorno a due argomenti: il rinnovo dei CdA e lo stacco della cedola, cioè il dividendo corrisposto agli azionisti. Questi consessi rappresentano così la distanza abissale che intercorre tra i colossi italiani e il ‘Paese reale’, con i bisogni delle persone che non trovano altro spazio se non quello di subire decisioni prese altrove. Si pensi proprio al mega-programma di buyback di azioni promosso da Eni per accrescere ancora di più il futuro dividendo degli azionisti, mentre in Italia la povertà energetica è dilagante. Di questo tema o delle istanze dei territori impattati dalla condotta delle multinazionali energetiche o dai finanziamenti dei grandi istituti di credito non si potrà trattare durante le assemblee a porte chiuse.

La situazione, in prospettiva, potrebbe essere ancor più critica, leggendo le parole di Luciano Acciari, coordinatore del Forum dei segretari dei CdA e membro del management di Leonardo. Sembra, infatti, che vi sia l’intenzione di decretare la fine dell’azionariato critico – in crescita in Italia negli ultimi anni, consentendo “l’intervento dal vivo solo ai soci dotati di un pacchetto di azioni minimamente significativo, che tagli fuori i “disturbatori” in cerca di visibilità o altri interessi”.

Anche il quotidiano online Italia Informa ha denunciato in maniera forte questa pericolosa deriva, parlando di “democrazia a pezzi”. Una voce autorevole, se si pensa che il Comitato Scientifico del quotidiano è composto da membri di quelle stesse società che, fra il 2020 e il 2022, hanno scelto la linea dura delle assemblee a porte chiuse, sintomo evidente di un forte dissenso in seno alle stesse.

 

 

 

Oggi celebriamo

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celebriamo

Oggi celebriamo la chiusura di quasi due anni di un percorso intenso, sfidante e arricchente all’interno del nostro gruppo di lavoro.

 

Perché un luogo di lavoro sano, umano e inclusivo, è anche quello che sa celebrare i risultati, grandi o piccoli che siano.

In questi due anni abbiamo voluto rafforzare la nostra identità di gruppo, ritrovare o trovare nuove motivazioni al lavoro. L’abbiamo fatto co-costruendo processi orizzontali in modalità partecipata.

Non saremmo stati capaci di farlo da soli. Dobbiamo ringraziare il lavoro fatto con Peoplerise, grazie a Flavio Fabiani e Valentina Bianchini che ci hanno accompagnato in questo viaggio di trasformazione, attraverso una attività di consulenza di interventi di trasformazione organizzativa.
Il lavoro si è incentrato sulla relazione interpersonale e sul senso di appartenenza, calato nell’intervento di sviluppo organizzativo.
Sono stati affrontati una serie di aspetti: le qualità autentiche, cioè la relazione interpersonale e di sviluppo personale; la comunicazione nonviolenta di Marshal Rosenberg; l’ascolto attivo e il riconoscimento di emozioni e bisogni. Da un punto di vista culturale, abbiamo analizzato i processi decisionali e di leadership; tra gli strumenti utilizzati gli OKR creati da Andy Grove.

Abbiamo scoperto nuovi modi di dialogo e ascolto attivo come l’empathy circle, come il corpo ci aiuti non solo nelle relazioni, ma anche a progettare, l’importanza e il valore del peer coaching.
Abbiamo inoltre imparato a facilitare le nostre riunioni attraverso modalità e strumenti trovati all’interno del nostro team.
È grazie a questo lavoro che è nato FestiValori.

Celebrare è un rituale, un rito di passaggio che ci insegna a guardare al nostro percorso e a comprenderlo. Ci permette di apprezzare chi siamo e cosa facciamo come persone. Ma soprattutto aiuta la nostra cultura del lavoro e ci consente di cambiare il nostro modo di vedere le cose.

Quindi un brindisi a noi tutte e tutti, Simone, Claudia, Andrea, Barbara, Alberta, Irene, Domenico, Luca, Marco e a Valentina e Flavio. Cin cin!

La pace passa dal disarmo nucleare

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pace

Fonte: Sipri 2021

La pace passa dall’applicazione del Trattato New START, non nella sua sospensione, come ha dichiarato di fare Putin.

 

Vladimir Putin, nei giorni scorsi, ha dichiarato che intende sospendere l’applicazione da parte della Russia del Trattato New START per la riduzione delle armi nucleari. Si tratta di un nuovo giro di vite nella spirale della tensione fra le due maggiori potenze nucleari.

 

Il New Strategic Arms Reduction Treaty

Interrompere unilateralmente l’unico programma di riduzione dei sistemi d’arma nucleari a lunga gittata (questo significa “strategici”) fermerà il processo di eliminazione progressiva di queste armi. Il processo prevede di raggiungere il limite di 1.550 testate per ciascuno. Anzi,  potenzialmente la Russia potrebbe riprenderne la produzione inducendo anche la controparte statunitense a fare altrettanto. Si rischia di assistere a una nuova corsa al riarmo nucleare, ancora peggiore degli anni pre-accordi tra Gorbaciov e Reagan. In un mondo non più bipolare, infatti, anche altre potenze nucleari potrebbero seguire il cattivo esempio.

Il New START non si limita a imporre una riduzione delle testate nucleari, ma prende in considerazione tutte le componenti del sistema che rende effettivamente operabili tali ordigni. Dai missili balistici intercontinentali, ai sottomarini nucleari lanciamissili passando per bombardieri pesanti e strumenti di lancio delle testate. Perché è ormai chiaro a tutti che per ridurre il rischio di conflitto nucleare bisogna intervenire sull’intero sistema d’arma. Non solo l’ordigno ma anche il vettore che lo trasporta.

 

Il caso Leonardo SpA

La società italiana produttrice di armamenti partecipa a un consorzio internazionale francese, attraverso la realizzazione di missili da crociera per trasportare una testata nucleare. Ma Leonardo afferma che, realizzando il vettore e non l’ordigno, non sta in realtà partecipando alla costruzione di un sistema d’arma nucleare.

Questo ha ribadito Leonardo durtante un nostro engagemente in qualità di azionisti critici.

Leonardo SpA partecipa al consorzio MBDA, appaltatore principale per i missili aria-terra a medio raggio ASMP-A (air-sol moyenne portée amélioré) che trasportano testate nucleari.Tuttavia, nel Bilancio 2020 dichiara il “non coinvolgimento in attività di produzione o manutenzione di armi nucleari”.

La stessa linea tenuta nel 2016 quando, confermando di detenere il 25% della joint venture MBDA, sosteneva che essa “produceva solo ed esclusivamente il vettore del missile e non è coinvolta nella produzione della testata nucleare, tecnologia quest’ultima di pieno possesso e controllo delle organizzazioni governative francesi preposte”.

Sono risposte fuorvianti ribadite in dichiarazioni di autocertificazione ai propri finanziatori. Una bizzarra interpretazione del significato di “non coinvolgimento” nella produzione di armi nucleari cu sui non sono d’accordo neppure i data provider che forniscono informazioni agli investitori sulle aziende quotate.

 

Rendimenti rischiosi

Per questo quest’anno torneremo a chiedere conto di questa partecipazione a Leonardo SpA durante l’assemblea degli azionisti, forti anche di ricerche autorevoli, come Risky Returns. Nuclear weapons producers and their financiers, realizzata dalla ong olandese PAX e dalla International Campaign to Abolish Nuclear Weapons. La ricerca classifica fra i maggiori “sistemi d’arma nucleare” proprio alcuni modelli di missili prodotti da MBDA, consorzio detenuto per il 37,5% da BAE Systems, 37,5% da Airbus e 25% da Leonardo SpA.

Quest’anno con noi ci sarà anche ICAN (premio Nobel per la Pace nel 2017), per interpellare Leonardo SpA su questa partecipazione alla realizzazione di armi controverse come quelle nucleari. Armi sulle quali esiste un Trattato internazionale per la messa al bando, TPNW, al quale l’Italia non ha aderito. E non solo.

Svilupperemo una campagna, insieme a Etica Sgr, ICAN, Rete italiana Pace e Disarmo per parlare con i cittadini di questo tema, per dialogare con le banche che finanziano Leonardo, per indurre domande e riflessioni sui rischi reputazionali di queste operazioni finanziarie e per proporre a risparmiatori e investitori istituzionali un reale disinvestimento. Quanto meno dalle armi nucleari.