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Microcredito per grandi idee

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microcredito

Al via il bando di microcredito per finanziare imprese create da cittadini extra UE

Un progetto di Fondazione Finanza Etica, PerMicro, Banca Etica e Arci. Grazie a un fondo di garanzia i beneficiari potranno ottenere prestiti fino a 25.000 euro.

 

Fondazione Finanza Etica, PerMicro, Banca Etica e Arci lanciano un bando dedicato all’imprenditoria sviluppata da cittadini di Paesi non UE.
Il bando mette a disposizione un fondo di garanzia che permetterà ai beneficiari di accedere a microcrediti fino a 25.000 euro.
Il plafond complessivo a disposizione permetterà di finanziare almeno 25 progetti.

L’obiettivo è quello di sostenere idee progettuali di sviluppo di microimprese già esistenti e di incentivare la nascita di nuove presentate da cittadine e cittadini di Paesi Terzi o dalle loro associazioni. Uno strumento in più per favorire l’integrazione, l’autonomia e la realizzazione delle persone di origine straniera che vivono in Italia.

L’imprenditoria straniera negli ultimi anni è cresciuta e ha migliorato la sua posizione nel mercato del lavoro in Italia

 “Un’indagine UnionCamere 2017 ci dice che le imprese straniere crescono cinque volte più della media nazionale e da sole costituiscono il 42% delle nuove imprese registrato nel 2017” afferma Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica. “Non sono solo imprese “semplici” per struttura e per gestione, ma crescono anche le imprese più strutturate e complesse, con le spalle più larghe e più forti per resistere, forse, a questa congiuntura negativa. Tuttavia, l’accesso al credito è una delle componenti più complesse dell’avvio di questo tipo di imprese. Con questo bando vorremmo dare loro quella fiducia necessaria per immaginare la partenza di una nuova impresa”.

La prima selezione delle idee progettuali sarà a cura di Fondazione Finanza Etica. I progetti selezionati saranno direttamente contattati da PerMicro, che avvierà le procedure per il microcredito. La rete di Banca Etica e di ARCI supporterà le imprese e le associazioni a concorrere al bando.

Il bando è aperto fino a esaurimento del fondo di garanzia. La prima scadenza di presentazione è prevista per la mezzanotte di domenica 29 novembre.

Tutte le informazioni, su questo e altri bandi, visitando con-etica.it

Per salvare il clima, cambiamo la finanza

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clima finanza banca etica

Il Gruppo Banca Etica aderisce alla mobilitazione globale per il clima promossa dai Fridays For Future

Le iniziative in campo dell’unico Gruppo bancario italiano interamente dedito alla finanza etica che investe esclusivamente su progetti rispettosi dell’ambiente

 

Per salvare il clima, cambiamo la finanza!

Fondazione Finanza Etica invita dipendenti, soci e clienti a praticare scelte di consumo a basso impatto ambientale e a far conoscere sempre più la propria scelta di finanza etica. Una scelta che rappresenta l’elemento centrale di uno stile di vita orientato alla salvaguardia del pianeta e della dignità delle persone.

 

Le banche continuano a svolgere un ruolo chiave come principali finanziatori dell’industria del carbone, del petrolio e del gas.

Così ritardano la transizione da un’economia basata sui combustibili fossili a un’economia basata sull’efficienza e sulle energie rinnovabili.

Banktrack, organizzazione internazionale che monitora gli impatti sociali e ambientali delle scelte delle banche, spiega che le banche, come tutte le aziende, producono gas serra direttamente attraverso le loro attività. Tuttavia, il loro contributo più importante alle emissioni di gas serra è indiretto, attraverso il finanziamento di clienti e progetti che generano emissioni.

 

Per impedire che la crisi climatica si sviluppi ulteriormente e porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili, le banche devono smettere di finanziare l’industria dei combustibili fossili.

Ma questo non sta accadendo!

Secondo l’ultimo rapporto “Banking on Climate Change“, pubblicato nel marzo 2020, tra il 2016 e il 2019 solo 35 banche globali del settore privato hanno incanalato l’incredibile cifra di 2,7 trilioni di dollari in progetti e aziende di combustibili fossili a livello globale. Più di 975 miliardi di dollari di questi investimenti sono andati all’espansione dell’industria dei combustibili fossili.

Il movimento dei Fridays for Future, che il 25 settembre celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale di mobilitazione per il clima, ha da subito messo al centro dell’azione il ruolo delle banche e il potere delle persone che possono scegliere: affidare i propri risparmi a chi continua ad aggravare la minaccia climatica, o invece rivolgersi a chi investe su progetti green e rispettosi dell’ambiente e dei diritti umanicommenta la presidente di Banca Etica, Anna Fasano – . La spinta dell’opinione pubblica sta inducendo molte banche a pubblicizzare alcuni prodotti finanziari “green”, senza tuttavia rinunciare a collocare anche prodotti che investono in fonti fossili e altre attività inquinanti. La finanza etica adotta criteri più selettivi rispetto alla finanza cosiddetta “sostenibile” nel valutare dove investire il denaro dei risparmiatori e degli investitori”.

 

Da oltre 20 anni il Gruppo Banca Etica è l’unico in Italia interamente dedito alla finanza etica e mette la tutela dell’ambiente e dei diritti delle persone al primo posto nelle scelte di investimento.

Una politica radicale per coniugare rendimenti, tutela del risparmio e impatti socio-ambientali positivi che incontra sempre più il gradimento di persone e imprese: a oggi Banca Etica raccoglie risparmio per 1,6 miliardi di euro ed eroga finanziamenti a imprese sociali, associazioni e famiglie per oltre un miliardo di euro. Etica Sgr – la società di gestione del risparmio del Gruppo – ha masse in gestione che ammontano a circa 5 miliardi di euro.

Chi sceglie i prodotti finanziari del Gruppo Banca Etica pretende la certezza che il proprio denaro sia usato per finanziare iniziative che – per quanto possibile – non rechino danni, ma anzi favoriscano quella crescita sostenibile e inclusiva, ancora più necessaria dopo lo shock della pandemia. Per questo lavoriamo a una rendicontazione sempre più precisa degli impatti della nostra attività.

 

Gli impatti ambientali del Gruppo Banca Etica

Banca Etica
  • Nel 2019 Banca Etica ha finanziato – con € 13,5 mln – 25 organizzazioni che, con i loro progetti nel campo delle rinnovabili e con interventi di efficientamento energetico, hanno permesso di evitare l’immissione in atmosfera di quasi 5mila tonnellate di CO2 (pari alla quantità di CO2 assorbita in un anno dal Parco delle Cinque Terre).
  • Altri 7,6 milioni di euro sono andati a progetti che hanno permesso di riciclare quasi 204 mila tonnellate di rifiuti (pari alla produzione annua di rifiuti della città di Messina).
  • Ancora: 3 milioni di euro sono andati a progetti di agricoltura biologica che hanno impegnato quasi 5mila ettari coltivati a biologico (pari a 7mila campi da calcio).

Tutti dettagli sono disponibili nel Report di impatto di Banca Etica.

Etica Sgr

Chi desidera gestire il proprio risparmio in modo etico e attento al pianeta può trovare risposte anche nei fondi comuni d’investimento di Etica Sgr. Questi fondi presentano una rigorosa metodologia di selezione degli emittenti, che integra l’analisi ESG e l’analisi finanziaria.
Anche Etica Sgr lavora per ottenere – e rendicontare – l’impatto ambientale, sociale e di governance dei fondi, che va di pari passo all’obiettivo di ottenere potenziali performance finanziarie positive. Tra i risultati ambientali del 2019 emerge che, rispetto al mercato di riferimento, i portafogli dei fondi di Etica Sgr presentano:

  • il 69% in più di società che hanno definito obiettivi di riduzione delle emissioni,
  • il 34% in più di società che si impegnano pubblicamente a ridurre l’utilizzo di acqua e aumentare l’efficienza idrica,
  • il 25% in più di società che sviluppano iniziative per ridurre i rifiuti generati.

Tutti dettagli sono disponibili nel Report di Impatto di Etica Sgr.

Fondazione Finanza Etica

Siamo pionieri dell’azionariato critico in Italia: ogni anno – grazie all’acquisto di un numero simbolico di azioni di società controverse – intervieniamo alle assemblee generali dei colossi dell’energia, ma anche della finanza, per portare sotto i riflettori degli azionisti e dell’opinione pubblica gli impatti sociali e ambientali delle scelte delle grazie aziende.

Essere antropologo in un mondo di economisti

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antropologo

Un omaggio a un antropologo eroe

 

Con questo articolo desidero rendere omaggio alla voce nobile e coraggiosa del più incredibile e folle  antropologo, David Graeber, venuto tragicamente a mancare la settimana scorsa. Con David, da molto tempo per me fonte di ispirazione, da un anno avevo stretto un rapporto di sincera amicizia; condividevamo il difficile ruolo di antropologi in un mondo dominato dagli economisti, ed è proprio di questo argomento che vorrei parlarvi brevemente.

David era un antropologo che scriveva di economia e questo è stato il primo motivo per cui mi sono interessato al suo lavoro. La gente a volte pensa che io abbia un background da economista – perché scrivo di finanza e denaro – ma in realtà ho una laurea in antropologia, una disciplina che spesso ha un rapporto conflittuale con le scienze economiche.
Ci sono opinioni diverse sulle ragioni di questo antagonismo, io lo descrivo così:

L’antropologia parte dalla constatazione che un essere umano – almeno nei primi anni di vita – non può vivere separato da un gruppo.

 

In altre parole, l’antropologia presume che ogni comunità umana preceda sempre i suoi singoli membri e che la cura e la riproduzione siano la conditio sine qua non di ogni forma di eroismo solitario.

I bambini non sopravvivono a lungo se vengono lasciati a se stessi e, quando miracolosamente ce la fanno, non sono in grado di parlare una qualsiasi lingua, il che rende quasi impossibile per loro ogni sorta di interazione sociale, relazione e scambio.

I bambini crescono, diventano adulti, acquisiscono fiducia in se stessi e prendono consapevolezza delle differenze marginali che esistono tra le persone. Ciò potrebbe portarli a credere di essere “individui” autonomi, ma per gran parte della storia umana non è andata così. L’idea di andare per la propria strada non era presa in considerazione dalla maggioranza delle persone, non c’era l’idea di un “sé” autonomo e indipendente senza un solido legame con un clan o una tribù.

Gli antropologi, quindi, sono stati tra i primi a rendersi conto che il termine – ‘individuo’ – ampiamente utilizzato nel nostro quotidiano, non è tanto una descrizione della realtà quanto un concetto ideologico che emerge all’interno di certi gruppi, in certe condizioni, in determinati tempi e luoghi. Più specificamente, è un concetto che fiorisce in presenza di grandi organizzazioni statali che eliminano la necessità di vivere in comunità.

All’interno di grandi stati-nazione si può effettivamente lasciare il proprio luogo di origine e vagare come un estraneo tra estranei, mentre il tutto è tenuto insieme da un sistema di regole (sistema giuridico, sistema monetario, astratte ideologie e bandiere nazionali per dare un qualche senso di unione di intenti a questi estranei).

 

Il pensiero eretico che emerge tra gli antropologi è che forse l’individuo è un prodotto dello stato moderno.

Questo è anche il motivo per cui l’antropologia contemporanea ha connessioni con l’anarchismo: gli antropologi sono stati tra i primi a intuire che il capitalismo è catalizzato dallo stato, piuttosto che esistere in opposizione allo stato.

Questo orientamento pone molti antropologi in opposizione alla maggioranza degli economisti mainstream. L’economia mainstream si è sviluppata negli stati moderni e ha concentrato la sua attenzione sulle popolazioni di quegli stati. Al contrario gli antropologi da sempre studiano popoli di regioni remote come la Papua Nuova Guinea dove l’organizzazione sociale è completamente diversa.

David Graeber riusciva a rendere evidente che lo spettro delle possibilità nell’organizzazione economica di una società è più ampio di quanto si creda.

Mentre i dipartimenti di economia di stampo conservatore provano a rendere universale la dinamica dello scambio monetario capitalista, l’antropologia economica è come un movimento di resistenza nel nostro subconscio che mantiene viva la conoscenza di modi diversi di vivere, molti dei quali esistono ancora all’ombra del nostro sistema economico dominante.

La prima volta che ho parlato con David è stato un paio d’anni fa, a una cena tra attivisti contro il debito illegittimo. Mi disse che era davvero difficile riuscire ad aiutare tutti i gruppi di attivisti che avevano bisogno di sostegno, ma che lui ci provava, sempre e comunque.

Questo è il motivo per cui David era per me un antropologo-eroe, il sapere antropologico per lui era vita, era politica.

 

 

Abbiamo conosciuto Brett Scott di persona all’edizione 2018 del festival di Internazionale, quando lo abbiamo invitato a presentare  Guida eretica alla finanza globale, la traduzione italiana, a cura di Fondazione Finanza Etica, della sua guida per hackerare il sistema finanziario. 

Ci aveva appassionato il libro, ancora di più ci ha colpito Brett, acuto, intelligente, anticonvenzionale, brillante, appassionato.

Abbiamo quindi deciso di proporre un estratto del suo ultimo articolo The anthropologist in an economist world in ricordo di David Graeber, pubblicato da Brett Scott sul suo blog Altereted States of Monetary Consciousness. Lo firma Domenico Villano, che per la Fondazione si è occupuato della curatela della versione italiana del libro di Brett Scott.

 

Foto di Thierry Ehrmann

Tramonto a Wall Street per i colossi del petrolio. Exxon esce dalla borsa

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Exxon

Exxon esce dalla borsa di Wall Street. Il settore oil&gas sempre più in crisi.

 

Significherà pure qualcosa il fatto che ExxonMobil, il gigante americano dell’oil&gas, uscirà dall’Indice Industriale di Wall Street. Vi era rimasto ininterrottamente dal 1928, quando era la Standard Oil di New Jersey, l’azienda più longeva da sempre sulla Borsa newyorkese. L’indice industriale Dow Jones Average copre tutte le industrie, con l’eccezione di quelle dei trasporti. È uno degli indici borsistici più longevo e riconosciuto, introdotto nel 1896 nella Borsa americana.

 

Lunedì scorso è stato annunciato che Exxon sarà sostituita nel listino da Saleforce.com, una compagnia di software, già parte del Gruppo Apple, che indica dove sta soffiando il vento.

Il fatto è che questa uscita di scena di ExxonMobil dall’indice industriale del Dow Jones è solo parte di una crisi verticale che tutto il settore oil&gas sta subendo e che si è solo accentuata in concomitanza con il Covid-19. Un declino che i più considerano irreversibile, da quando i governi hanno iniziato a fare sul serio sul cambiamento climatico.

Nel 2007, quando il prezzo del petrolio era alle stelle, la Exxon era considerata una delle più remunerative aziende del pianeta, valutata per più di 500 miliardi di dollari. Al vertice del successo dell’industria del petrolio Exxon aveva scommesso miliardi di dollari di investimenti sul boom del settore. A spingerla in questa direzione l’eccesso di greggio, in seguito alla scelta USA per il fracking. La scommessa si è rivelata un fallimento. Negli anni seguenti la Grande Recessione i governi hanno iniziato a investire nell’energia rinnovabile – diventate così presto competitive con il petrolio – per combattere i cambiamenti climatici. Allo stesso tempo le innovazioni tecnologiche si sono indirizzate verso l’efficienza e, in particolare, verso le auto elettriche o ibride. Il valore sul mercato della Exxon è rimasto stagnante per tutti gli anni ’10; ma dallo scorso gennaio è iniziato a declinare  in coincidenza con la crisi pandemica. Paradosso dei paradossi, in questo stesso periodo l’indice Dow Jones è cresciuto, mentre tutto il settore energetico, ad esempio, dell’indice S&P 500, che dieci anni fa ne rappresentava il 10%, oggi non ne vale più del 3%. Nel 2020 ExxonMobil ha registrato due quadrimestri in rosso consecutivi, con una perdita di oltre 1,7 miliardi di dollari, nonostante i tagli di spesa operati. E naturalmente il primo taglio annunciato dall’azienda è la sospensione dei suoi contributi al fondo pensionistico dei dipendenti.

Alcuni competitors europei della Exxon hanno, almeno apparentemente, deciso di cambiare strategia. Hanno annunciato obiettivi di riduzione delle emissioni e riorganizzazione del proprio portafoglio dal petrolio alle rinnovabili. Basti pensare alla scelta di BP di passare da una major dell’oil&gas a una azienda energetica.


Nonostante le evidenze il management di ExxonMobil sembra essere particolarmente conservatore e sicuro del proprio futuro. Recentemente il vicepresidente Neil Chapman annunciando una perdita di 1,1 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre, si è difeso dicendo che il management di Exxon non ritiene che nel lungo periodo il business cambierà. La popolazione mondiale continuerà a crescere e non ci sono segnali per credere che la domanda di gas e petrolio non continuerà a crescere con essa. E il vincitore sarà la compagnia meglio posizionata in questa direzione, cioè la Exxon. Ma al momento il mercato non sembra dargli ragione.

 

Simone Siliani

Direttore Fondazione Finanza Etica

 

Foto di Maureen Barlin: Leaving Is The Easy Way Out. Street art in Shoreditch, London 2018. Artista: BKFoxx

 

Mai più armi nucleari!

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armi nucleari

Nel 75° anniversario delle stragi di Hiroshima e Nagasaki, i membri di SfC-Shareholders for Change tra cui il Gruppo Banca Etica ribadiscono il netto rifiuto di ogni finanziamento delle armi nucleari.

 

Il 2020 segna il 75°anniversario dei bombardamenti atomici delle città di Hiroshima e Nagasaki in Giappone, del 6 e 9 agosto 1945. La maggior parte delle vittime morirono senza poter ricevere alcuna cura per alleviare le loro sofferenze. La maggior parte del personale medico e infermieristico era infatti stato ucciso e gli ospedali erano distrutti.

La Croce Rossa e altre agenzie di soccorso hanno ripetutamente messo in guardia sul fatto che nessuna risposta umanitaria significativa sarebbe possibile in seguito a una singola detonazione nucleare ovunque, per non parlare delle conseguenze di una guerra nucleare su vasta scala.

In occasione di questo tragico anniversario ribadiamo la nostra radicale opposizione al finanziamento della produzione di armi nucleari.

La maggior parte dei membri SfC – incluse Etica Sgr e Fondazione Finanza Etica – figurano nella “Hall of Fame” della Campagna internazionale per l’abolizione delle armi nucleari (ICAN) grazie alle loro politiche globali che evitano qualsiasi relazione finanziaria con i produttori di armi nucleari a differenza di tanti altri colossi della finanza che continuano a investire in questo settore devastante.

“Insieme all’ICAN e ai sopravvissuti agli attacchi, gli Hibakusha, alziamo con orgoglio la nostra voce per dire “Never Again!” E agiamo di conseguenza, come investitori, per ostacolare lo sviluppo di armi nucleari in tutto il mondo”

ha dichiarato Ugo Biggeri, Presidente di Etica Sgr e Vicepresidente di Shareholders for Change.

Banca Etica è anche membro fondatore di Rete Italiana per il Disarmo, uno dei partner italiani dell’ICAN.

L’ICAN è una coalizione che ha coordinato gli sforzi per realizzare il Trattato delle Nazioni Unite del 2017 sul divieto delle armi nucleari (TPNW). Ha ricevuto il Premio Nobel per la Pace. In collaborazione con PAX, pubblica il rapporto “Don’t Bank on the Bomb“, che identifica gli investitori più importanti nelle aziende produttrici di armi nucleari, nonché i leader nel limitare questi investimenti.

 

 

Ora è fatta! Anche se gli Stati membri non lo chiamano Corona bond

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Ora è fatta! Anche se gli Stati membri non lo chiamano Corona bond

 

I 27 leader dell’UE hanno concordato, per la prima volta nella storia dell’Europa, di emettere un debito comune. Anche se gli Stati membri non lo chiamano Corona bond, in realtà è quello che hanno stabilito.

Bruxelles prenderà in prestito denaro sui mercati del debito e lo distribuirà in gran parte sotto forma di sovvenzioni ai Paesi duramente colpiti dal Covid-19 per contribuire a finanziare i loro sforzi di ricostruzione.

Per noi questo è un enorme successo. Che è stato reso possibile anche da voi che avete firmato la nostra petizione insieme a Finanzwende – Finance Watch Deutschland. Quindi, grazie mille per la grande collaborazione.

 

Ora è fatta!

I capi di Stato e di governo dell’Unione Europea hanno concordato un pacchetto di aiuti europei per il Fondo per la ripresa, chiamato anche Next Generation EU, del valore di 750 miliardi di euro. Di questi, 390 miliardi saranno pagati sotto forma di sussidi, cioè come Corona bond. Il resto, pari a 360 miliardi, saranno prestiti a tasso agevolato.

 

Budget EU 2021-2027

Budget EU 2021-2027

 

Vedremo se la somma sarà sufficiente.

Tuttavia il pacchetto di aiuti è una novità assoluta di importanza storica. Per la prima volta gli Stati membri dell’UE si affidano a obbligazioni comuni per finanziare costi comuni, impedendo così agli investitori di speculare contro i singoli Stati più duramente colpiti dalla pandemia.

 

Anche se la formulazione “Corona bond” è stata evitata dai negoziatori, l’UE ha lanciato oggi l’introduzione di tali obbligazioni.

Questo è anche un nostro successo: con il vostro sostegno, negli ultimi mesi abbiamo condotto una campagna per una equa e solida politica finanziaria dell’UE.

La campagna è riusciti a contribuire a cambiare il dibattito sui Corona bond in Germania.

La nostra petizione a livello europeo è stata accolta molto bene, quasi 90.000 persone si sono unite a noi nel chiedere una condivisione comune degli oneri attraverso i Corona Bond.

Il nostro lavoro per un mercato finanziario stabile e una politica finanziaria più equa richiede perseveranza e resistenza.

Continuate a sostenerci!

L’engagement con le società di telecomunicazioni europee sulla trasparenza fiscale

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L’engagement della rete SfC con le società di telecomunicazioni europee sulla trasparenza fiscale. Le società si sono dimostrate cooperative ma devono fare di più.

La rete di investitori istituzionali europei SfC – Shareholders for Change di cui Fondazione Finanza Etica è socio fondatore, ha recentemente pubblicato un rapporto sul suo engagement con le principali società di telecomunicazioni europee.
L’engagement, durato 18 mesi, si è concentrato sulla condotta delle imprese in campo fiscale, a seguito della pubblicazione, nel dicembre del 2018, della ricerca “Bad Connection“, che ha rivelato una generale mancanza di trasparenza fiscale in quattro importanti società di telecomunicazioni europee: la britannica Vodafone, la tedesca Deutsche Telekom, l’italiana Telecom Italia e la francese Orange. 

Sulla base dei risultati della ricerca “Bad Connection”, i membri di SfC hanno inviato lettere alle imprese analizzate, chiedendo di pubblicare un rapporto CbCR (country by country reporting), cioè una rendicontazione che riporti l’ammontare dei ricavi, gli utili lordi e le imposte pagate nei singoli Paesi nei quali operano. I dati CbCR sono fondamentali per capire quante tasse stia effettivamente pagando un’impresa Paese per Paese e aiutano a individuare eventuali operazioni che permettano di spostare i profitti in Paesi a fiscalità agevolata. SfC ha inoltre richiesto informazioni sul ruolo di una serie di imprese controllate con sedi in Paesi noti per la loro opacità finanziaria.

Tutte le società, con l’eccezione della francese Orange, che non ha mai risposto alle domande inviate, si sono dimostrate cooperative, impegnandosi in un dialogo con SfC. Mentre Vodafone sta già pubblicando dati CbCR dal 2018, né Deutsche Telekom né Telecom Italia si sono impegnate a pubblicare tali informazioni in futuro.

 

La trasparenza fiscale è solo il primo passo

La trasparenza di Vodafone ha però rivelato una strategia di pianificazione fiscale che pare essere più aggressiva di quella di Deutsche Telekom e Telecom Italia. Grazie a operazioni di “ottimizzazione fiscale”, Lussemburgo e Malta hanno generato il 38% dei profitti di Vodafone nel 2017. QUi il gruppo, tuttavia, ha solo lo 0,3% dei dipendenti (300 su un totale di 99.000). Questi due stati sono paesi a fiscalità agevolata.  

«Vodafone non è attualmente esposta a rischi normativi rilevanti ma potrebbe essere esposta a rischi reputazionali. La sua strategia infatti si traduce in significative perdite di gettito fiscale per il Regno Unito, dove la società ha sede, e altri Paesi. Si crea così un impatto sui sistemi di welfare nazionali, a cui sarebbero sottratte preziose risorse”

Ha dichiarato Aurélie Baudhuin, presidente di SfC-Shareholders for Change.

«Questo non sembra essere il caso di Deutsche Telekom e Telecom Italia, almeno non nella stessa misura di Vodafone».

 

Anche lo spostamento dei profitti in Paesi a fiscalità agevolata dovrebbe essere monitorato: pur essendo legale, sottrae risorse significative al welfare di molti Paesi.

Il progetto di engagement, sviluppato con l’aiuto dell’esperto di fiscalità internazionale Tommaso Faccio dell’Università di Nottingham, co-fondatore di Tax Justice Italia, ha dimostrato che le pratiche fiscali delle imprese non sono ancora considerate in modo adeguato nelle valutazioni ESG (ambiente, sociale, governance) delle cosiddette società di “rating etico”, che danno un punteggio al profilo etico delle società quotate in borsa.

La stessa carenza nella valutazioni ESG è stata evidenziata nella ricerca “Paradisi fiscali, elusione ed evasione fiscale globale“, realizzata grazie all’erogazione liberale di Etica Sgr. Il lavoro è stato realizzato da Università di Milano Bicocca, con il coordinamento del prof. Alessandro Santoro e la collaborazione di Merian Research e Tommaso Faccio. La ricerca ha dimostrato che condotte fiscali aggressive o non trasparenti da parte delle imprese non si riflettono generalmente, nell’attribuzione di punteggi ESG negativi da parte delle società di rating etico.

La responsabilità fiscale è ancora un territorio largamente inesplorato nell’analisi sulla responsabilità sociale delle imprese. Un vuoto che la rete SfC sta cercando di colmare con una serie di iniziative di engagement mirate con le società quotate in borsa.

 

Mauro Meggiolaro

 

 

 

L’elusione fiscale non è inevitabile per chi sceglie il Lussemburgo

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Non solo elusione fiscale Trasparenza e legalità sono possibili anche in Lussemburgo. Ma all’Europa serve armonizzazione fiscale

 

Le conseguenze della pandemia da Covid-19 e le misure messe in campo dall’Unione Europea per contenere la recessione e rilanciare l’economia, auspicabilmente nel segno della sostenibilità e della solidarietà, hanno riportato alla ribalta lo spinoso tema del dumping fiscale all’interno dell’Unione. Con Paesi come l’Olanda e il Lussemburgo che sul piano politico recitano la parte dei “frugali” e frenano sui progetti più ambiziosi di Recovery Fund ai danni dell’Italia, mentre sul piano economico sottraggono risorse agli altri Paesi economici grazie ai loro sistemi fiscali spesso molto “generosi” con chi persegue l’elusione fiscale.

Il Gruppo Banca Etica – da sempre impegnato contro ogni pratica di evasione o elusione fiscale (rifiutiamo il denaro che rientra con i frequenti condoni o voluntary disclosure, selezioniamo le aziende su cui investire anche in base alla loro correttezza fiscale, etc) – si è trovato nella necessità di usufruire di alcuni servizi finanziari offerti dal Lussemburgo. Una scelta arrivata a conclusione di una analisi approfondita che desideriamo condividere.

 

Cos’è il Lussemburgo?

Il Lussemburgo, si sa, è l’ultimo Granducato del mondo. Piccolo paese di 620mila abitanti, fondatore dell’Unione Europea, della NATO, del Benelux e delle Nazioni Unite; un PIL pro capite stellare di 114,234 $.

Ma cos’è davvero il Lussemburgo? Possiamo dire, senza tema di smentita, che è un enorme hub finanziario con un’economia determinata per l’86% da servizi bancari e finanziari. Il Lussemburgo, in particolare, è specializzato nel fornire servizi finanziari anche per molte istituzioni finanziarie europee e mondiali, si stima intorno al 55% dei servizi finanziari offshore e del 12% di quelli globali, facendone il secondo paese dopo gli Stati Uniti per fondi d’investimento qui residenti.

 

Quanto è trasparente, il Lussemburgo?

Dal 2013, quando ha aderito a molti standard internazionali sulla trasparenza, e soprattutto a partire dall’emersione dello scandalo dei Luxleaks e alla fine del governo Junker (vero architetto del paradiso fiscale che era diventato il piccolo paese), il Lussemburgo ha fatto importanti passi avanti sulla strada della trasparenza fiscale, per quanto resti un porto franco fiscale se avete da opere d’arte, lingotti d’oro o titoli al portatore da custodire. Per questo il Lussemburgo figura ancora tra i Paradisi Fiscali denunciati, tra gli altri, da Oxfam e Tax Justice Network.

Effettivamente tutt’oggi in Lussemburgo operano uffici legali e bancari in grado di fornire “privacy” dietro partenariati e che consentono di non rivelare informazioni su chi possieda davvero aziende e fondi finanziari. Questi evidenti e persistenti problemi di trasparenza non riguardano però chi sceglie società di servizi finanziari trasparenti ed etici e pretende da loro policies fiscali corrette. Fatta questa prima selezione – tra operatori opachi e operatori trasparenti – è indubbio che il Lussemburgo offra una infrastruttura particolarmente efficiente e completa per chi sviluppa servizi finanziari.

 

Come il Gruppo Banca Etica si è relazionato con il Lussemburgo e perché

Anche nel Gruppo Banca Popolare Etica ci siamo dovuti porre il problema di come relazionarci con il Lussemburgo quando – su richiesta dei nostri soci e clienti spagnoli – è emersa l’esigenza di collocare i nostri fondi di investimento etici anche in Spagna. Per una società italiana e con sede in Italia collocare prodotti finanziari all’estero può essere infatti estremamente complesso e oneroso dal punto di vista normativo.

Abbiamo avviato un lavoro ampio e profondo di analisi, per soppesare pro e contro (anche dal punto di vista reputazionale oltre che da quello tecnico-operativo), che ha portato la nostra Etica sgr a scegliere di costituire una Sicav quale veicolo di investimento estero per collocare i propri fondi in Spagna (ma potenzialmente nel futuro anche in altri paesi europei), avente sede in Lussemburgo. Una scelta svolta in coerenza con quanto i network internazionali della finanza etica di cui il Gruppo Banca Etica è parte stabiliscono quali orientamenti per le banche etiche a esse aderenti.

FEBEA (Federazione europea della banche etiche e alternative) tra i suoi “Criteria and Values for the use of money” dichiara infatti che “Una banca etica non istituisce filiali con obiettivi finanziari o fiscali in paesi con un alto livello di discrezionalità finanziaria. Al contrario, la presenza di una banca etica in questi paesi è fondamentale per la diffusione e il supporto di procedure e pratiche finanziarie trasparenti”.
GABV (Global Alliance for Banking on Values), inoltre, sostiene che operare in alcuni Paesi per finalità legate alla finanza etica è consentito e consigliato e sottolinea come in Lussemburgo, da molti anni, ci siano importanti progetti legati alla microfinanza.

Questo lavoro di valutazione, svolto mantenendo fermi i nostri principi di legalità, trasparenza e coerenza con i nostri valori , ha messo in evidenza almeno due elementi generali, che vale la pena qui richiamare:
1. la carenza di norme per l’armonizzazione fiscale a livello di Unione europea è ciò che ha consentito di sviluppare all’interno dell’Unione paesi a fiscalità privilegiata che oltre a comportarsi per certi aspetti come veri e propri paradisi fiscali (pur non risultando nella black list della Ue proprio e solo in virtù del loro status di Paesi membri), sviluppano una forma di concorrenza fiscale e finanziaria verso gli altri Paesi membri che è l’esatto opposto dei principi di solidarietà e coesione che vengono predicati nell’Unione.
2. è però possibile, anche in questi paesi, scegliere forme di gestione dei veicoli di investimento e di servizi finanziari che informano la propria attività a criteri di trasparenza, correttezza fiscale ed eticità.

L’elusione fiscale, insomma, non è un destino inevitabile per chi mette piede in Lussemburgo: di nuovo è questione di scelte.

 

La scelta del Gruppo Banca Etica

La decisione di collocare fondi etici in Spagna risponde all’obiettivo di portare il modello della finanza etica anche fuori dai nostri confini nazionali e consentire a soci e clienti del Gruppo (il collocamento dei fondi in Spagna avverrà inizialmente solo attraverso Fiare Banca Etica) di disporre di una gamma di strumenti per gestire i propri risparmi in modo completamente conforme ai principi della finanza etica e allo stesso tempo efficiente.
In particolare la decisione di Etica sgr, coerentemente con la propria strategia in Italia, è quella di promuovere per la clientela retail OICR aperti armonizzati.

Gli OICR armonizzati, cioè sottoposti alla Direttiva europea UCITS, prevedono che i proventi prodotti dall’investimento siano sempre assoggettati a tassazione nel Paese di residenza del sottoscrittore, secondo le regole di quel Paese. Ogni investitore, italiano o spagnolo, pagherà dunque le tasse sui proventi che riceve dall’investimento in questi fondi secondo le aliquote previste dall’Italia o dalla Spagna.

 

La burocrazia ottocentesca delle normative italiane

La normativa italiana prevede che una Sgr (Società di gestione del risparmio) italiana, come Etica sgr, che collocasse fondi di diritto italiano in Spagna, debba fungere da sostituto d’imposta. Ciò significa che un investitore spagnolo che investisse nel fondo italiano di Etica sgr collocato in Spagna dovrebbe attivarsi per evitare di pagare due volte le tasse: sia in Italia sia in Spagna. Il meccanismo per evitare la doppia tassazione è però tutt’altro che semplice o scontato. L’onere di provare al fisco italiano di essere fiscalmente residente in Spagna è, infatti, a carico dell’investitore e può in alcuni casi portare comunque il malcapitato cliente a dover seguire un tortuoso e complicato meccanismo tipico del provincialismo burocratico italiano.

Il cliente residente in Spagna dovrebbe recarsi all’Agenzia delle Entrate italiana, prendere un bel modulo chiamato Tax Exemption Form (il titolo è inglese, ma la forma è ottocentescamente italica), da recapitare a Etica sgr che fa da sostituto d’imposta. Con questo modulo l’investitore, per evitare che il fondo di diritto italiano applichi la doppia tassazione in Italia e in Spagna, dovrebbe indicare il beneficiario effettivo dell’investimento e il suo paese di residenza. Qualora fosse riuscito a sopravvivere a questo intricato garbuglio burocratico, il cliente dovrebbe pure pagare una imposta di bollo introdotta in Italia a fine 2011 che oggi è pari allo 0,2% annuo del controvalore del portafoglio.

Una tale complessità burocratica spingerebbe inevitabilmente l’eventuale investitore spagnolo a rivolgersi direttamente a un fondo lussemburghese.

 

Cosa è una Sicav e perché sceglierla

Le stesse considerazioni valgono per una Società di gestione del risparmio etico: essa è spinta a fare una scelta analoga.

Scegliere una Sicav etica di diritto lussemburghese, a parità di caratteristiche tecniche con un fondo di diritto italiano, non impone di fare da sostituto d’imposta sul capital gain.

La Sicav è uno strumento più efficiente e facilmente investibile. Può essere orientata secondo preferenze di investimento etico tanto che, come indica Morningstar, oltre il 70% dei fondi SRI in Europa ha scelto questa modalità. Permette di utilizzare un veicolo già esistente senza dover affrontare l’impresa di costruirne uno nuovo di sana pianta, con tempi e costi notevoli. È uno strumento  utilizzabile non solo in Spagna, come sarebbe un fondo comune d’investimento, ma in tutti i Paesi europei. Questa scelta consente alla sgr di concentrarsi sul suo core business etico: la definizione dell’universo investibile sulla base dei criteri di esclusione e delle valutazioni ESG, le strategie d’investimento, l’azionariato attivo e l’engagement, la gestione e la distribuzione del prodotto. Tutti i servizi operativi e accessori sono invece delegati al gestore prescelto. E di cui in Lussemburgo vi è un’ampia gamma di possibilità.

 

Coniugare etica ed efficienza

Etica sgr ha scelto GAM, un operatore indipendente specializzato nel fornire servizi operativi in Sicav, con una reputazione positiva largamente riconosciuta e che può vantare una due diligence rigorosa e severa nella selezione di nuovi partner. Garantisce ampia libertà allo sponsor (Etica sgr in questo caso) nello strutturare i prodotti e nella scelta delle controparti. È già autorizzata e immediatamente operativa per la commercializzazione in Spagna. Ha una propria policy che, ad esempio, esclude comparti che investono in imprese produttrici di munizioni a grappolo e una Corporate Social Responsibility Policy. Infine GAM è società quotata e, quindi, sottoposta alla vigilanza e a standard di trasparenza del suo operato. Il fornitore che meglio aderisce agli standard e alle esigenze di Etica sgr.

Quindi, il Lussemburgo non è necessariamente il diavolo. Lo è se lo si sceglie per approfittare degli spazi di opacità e di elusività fiscale che la struttura dei servizi finanziari del paese ancora offre. Ma non lo è se si sceglie di beneficiare dell’alta competenza e offerta di servizi finanziari, nel quadro però delle normative europee di trasparenza e applicando le proprie policies etiche. In questo secondo caso, quello scelto dal Gruppo Banca Popolare Etica, allora il Lussemburgo è un paese in cui si trovano le migliori competenze specifiche, un recepimento corretto e tempestivo delle Direttive Europee, un’autorità di regolamentazione di tutto rispetto. È il paese d’elezione dei fondi UCITS compliant (come quelli di Etica sgr).

È infine un paese particolarmente attivo, negli ultimi anni, per quanto riguarda la diffusione della finanza responsabile. Basti pensare al lancio della piattaforma dedicata ai green bonds nel 2016 dalla Borsa del Lussemburgo o di quella per gli investimenti con forte impatto contro i cambiamenti climatici, Luxembourg-EIB Climate Finance Platform, nel 2017 insieme alla BEI.

 

Dunque, come amiamo ripetere in Fondazione Finanza Etica, la finanza è una questione di scelte e di porsi domande di senso su come vengono utilizzati i soldi, per quali finalità e modalità.

A queste condizioni e con questo approccio, neanche il Lussemburgo è Sodoma e Gomorra.

 

Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica

 

Foto di Felix Wolf

 

 

 

 

 

L’azionariato critico nell’era del Corona

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azionariato critico nell'era del Corona

Ciabattoni, mutande e calzini colorati. L’azionariato critico nell’era del Corona.

 

Prendiamo un’impresa, magari una multinazionale cattiva che estrae petrolio come se non ci fosse un domani e lo sbrodola nel delta di fiumi tropicali. Una di quelle imprese che ci fa incazzare, scendere in piazza a manifestare, ci spinge a boicottare o a condividere post indignati sui social.

Ecco, un’impresa così nove volte su dieci è quotata in borsa. Cioè il suo capitale è nella mani di migliaia di azionisti, che la controllano e decidono, a colpi di maggioranza, cosa sia giusto e sbagliato fare: grandi investitori di Wall Street, Hong Kong, Londra o Dubai ma anche pesci piccoli e piccolissimi come me e te che stai leggendo. Di solito i grandi si mettono d’accordo e decidono tutto loro: «petrolio fino all’ultima goccia!», «profitti, profitti, basta con queste pippe etiche, mica siamo la Croce Rossa!».

 

Però noi piccoli non è che non possiamo fare nulla. Se vogliamo possiamo comprarci anche noi delle azioni, ne basta anche solo una. Per dire, un’azione del gigante italiano del petrolio e del gas ora costa 8,78 euro, meno di un aperitivo a Milano.

 

Con un’azione diventiamo azionisti, cioè comproprietari dell’impresa. Piccoli, piccolissimi proprietari ma con tutti i diritti che hanno anche i grandi: partecipare all’assemblea annuale, fare domande critiche ai manager guardandoli in faccia e votare le strategie di sviluppo, i bilanci, i piani di remunerazione, i bonus, ecc.

Si chiama azionariato critico ed è nato negli Stati Uniti oltre 40 anni fa.

Fondazione Finanza Etica lo pratica dal 2008 con Eni (petrolio e gas), Enel (energia), a cui si sono aggiunte poi Leonardo e Rheinmetall (armi), Acea (acqua), Generali (assicurazioni), H&M (vestiti). Le assemblee si tengono tutte tra aprile e maggio, quando sono pronti i bilanci dell’anno precedente, che devono essere approvati.

Ci andiamo con organizzazioni e movimenti come Re:Common, Rete Italiana per il Disarmo, Forum Acqua Pubblica, Campagna Abiti Puliti e con il sostegno di Greenpeace, Amnesty International, Legambiente e della rete europea Shareholders for Change (azionisti per il cambiamento).

Facciamo domande, decine di domande molto puntigliose. Siamo dei rompiballe.

Le imprese ci rispondono e, a volte, grazie anche alla nostra insistenza, decidono di cambiare qualcosa: inquinare un po’ di meno, investire un po’ di più nelle energie pulite, scrivere meno baggianate sui bilanci di sostenibilità.

 

Nella stagione 2020 il virus ci ha impedito di partecipare di persona alle assemblee generali.

 

L’abbiamo fatto però da casa, in ciabatte, mutande e calzini colorati (il nostro segno distintivo), inviando le domande via mail, seguendo le assemblee su internet o organizzando delle contro-assemblee in streaming. Non ce l’aspettavamo a dire il vero ma ne sono successe delle belle anche quest’anno: abbiamo fatto votare una nostra proposta, in diretta internet, all’assemblea di H&M a Stoccolma.


La contro-assemblea per criticare il piano di decarbonizzazione di Eni è stata vista da oltre 30.000 persone sui social.

Il resto ve lo raccontiamo mercoledì 17 giugno.

 

Mauro Meggiolaro