Posts by: barbara

545 mila euro per 11 imprese sociali nel Mezzogiorno

  |   By  |  0 Comments

sociale

 

Questi i risultati del bando di Fondazione Finanza Etica e Fondazione CON IL SUD

I programmi di sviluppo permetteranno di valorizzare i territori e creare impatto sociale positivo sulle comunità locali.

 

11 imprese sociali in ambito turistico del Sud Italia saranno sostenute complessivamente con 545 mila euro. Questi gli esiti del bando promosso da noi di Fondazione Finanza Etica e Fondazione CON IL SUD, per la valorizzazione del territorio e la promozione dell’impresa sociale in ambito turistico.
Il contributo economico deriva dall’erogazione liberale di Etica Sgr, che ha destinato una quota del suo fondo utili al sostegno di attività imprenditoriali in Italia meridionale.

L’iniziativa è un segnale positivo per il sostegno di imprese sociali che promuovono la crescita culturale e turistica dei territori del Mezzogiorno attraverso percorsi partecipati con le comunità locali.

 

“I risultati di questo bando testimoniano il potenziale della valorizzazione dei territori e dell’ impresa sociale nel Sud Italia, dimostrando che è possibile un cambiamento positivo e sostenibile attraverso l’azione concreta. Siamo orgogliosi di continuare a sostenere iniziative che promuovono l’inclusione sociale, l’innovazione e la valorizzazione del territorio”. Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica.

 

Gli ambiti considerati

Le attività sostenute spaziano dalla valorizzazione sociale di aree che subiscono la presenza della malavita organizzata, alla promozione di interventi mirati all’eco-sostenibilità del territorio, all’inclusione di giovani NEET (che non studiano, non lavorano e non sono in formazione), donne che hanno subito violenza e persone con disabilità di tipo fisico e/o cognitiva, anche attraverso il loro inserimento professionale. Saranno avviati un agricampeggio, un ostello artistico, servizi di ristorazione partecipata e cooking class, esperienze turistiche per conoscere meglio le api e saranno potenziati itinerari naturalistici, artistici, culturali e religiosi anche con il coinvolgimento della comunità locale.

 

“Sostenendo queste imprese puntiamo su una grande risorsa del nostro Sud, il turismo, come strumento di sviluppo e crescita dei territori, di integrazione lavorativa, di coesione sociale. Lo facciamo lavorando insieme a organizzazioni che condividono i nostri obiettivi: unendo le forze incrementiamo le risorse per progetti di sviluppo, ma non solo. Da questa collaborazione nasce anche un’occasione di confronto per acquisire e approfondire competenze e nuovi approcci per affrontare al meglio le numerose sfide sociali del Sud Italia”. Stefano Consiglio, Presidente della Fondazione CON IL SUD.

Le caratteristiche di chi ha vinto il bando

Le iniziative saranno così distribuite: 4 saranno avviate in Campania (province di Napoli, Caserta e Avellino), 3 in Sicilia (province di Palermo, Agrigento e Messina), 2 in Puglia (province di Lecce e Bari), 1 in Calabria (provincia di Cosenza) e Basilicata (provincia di Matera). Tra le 11 imprese sociali selezionate, 2 sono cooperative di comunità e 6 sono cooperative sociali. Un elemento degno di nota è che il 53% della governance di queste imprese è rappresentato da donne e il 38% da giovani under 35, la metà dei quali con meno di 29 anni.

 

“Oggi più che mai è fondamentale generare impatti positivi per la comunità, che rendano il sistema economico più prospero e inclusivo. La nostra identità come società di gestione del risparmio impegnata nella finanza etica ci porta a operare concretamente nell’economia. Siamo quindi felici di sostenere progetti che mettano al centro le persone e l’ambiente per rafforzare il tessuto economico e culturale dei territori in cui si trovano”. Luca Mattiazzi, Direttore Generale di Etica Sgr.

 

 

COP28: uno spartiacque nella lotta al cambiamento climatico

  |   By  |  0 Comments

COP28

Foto di Markus Spiske su Unsplash

 

Mancano trenta giorni all’avvio della ventottesima Conferenza delle Parti sul Clima (COP) sotto l’egida della UNFCCC, la Convenzione Quadro dell’ONU sui cambiamenti climatici. La COP28 rappresenta una opportunità cruciale per fare il punto sulle azioni intraprese finora e rafforzare gli sforzi globali per limitare il riscaldamento globale. Perché proprio questa COP? Quest’anno in agenda troviamo il primo Global Stocktake sotto l’Accordo di Parigi, ovvero il primo processo di valutazione globale dei progressi raggiunti nel conseguimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Una sorta di “tagliando” volto a monitorare gli sforzi di riduzione delle emissioni di gas serra a livello globale e per valutare se gli obiettivi dell’Accordo di Parigi stiano per essere raggiunti. L’esito dipenderà dalla collaborazione internazionale e dagli sforzi congiunti dei paesi per affrontare il cambiamento climatico. 

 

Sfide Globali e Obiettivi Ambiziosi

Il mondo si prepara per la prima volta alle difficili domande: a che punto siamo? A cosa hanno portato le ultime sei COP? Questo evento globale è un evento di passaggio fondamentale nella continua corsa contro il tempo per affrontare il cambiamento climatico e ridurre le sue devastanti conseguenze. Quali sono le sfide e le opportunità che ci attendono?

La COP28 si svolge in un contesto in cui, forse per la prima volta, gli impatti del cambiamento climatico sono evidenti e preoccupanti agli occhi di tutti, con eventi meteorologici estremi, siccità, inondazioni e perdita di biodiversità che minacciano le comunità di tutto il mondo. L’obiettivo principale di questa conferenza è mostrare dove siamo e conseguentemente rafforzare e ampliare gli impegni degli Stati. 

Inoltre, è importante notare che la scelta di Sultan Ahmed Al Jaber come Presidente designato della COP28 può anche generare discussioni e critiche, visto il suo ruolo nella Abu Dhabi National Oil Company- Adnoc, l’azienda petrolifera statale. Molti hanno sottolineato la necessità di una leadership ecologica più ambiziosa, mentre altri hanno espresso preoccupazioni legate a risultati annacquati o alla trasparenza nella preparazione e nella gestione della COP28.

Le critiche o le valutazioni sulla sua presidenza designata possono variare in base alle prospettive e agli obiettivi dei vari attori coinvolti nella lotta al cambiamento climatico. Tuttavia, Ahmed Al Jaber ha un ruolo importante da svolgere nella guida della COP28 e nell’orientare il suo successo nel raggiungere obiettivi climatici globali cruciali.

 

La Voce dell’Unione Europea

L’Unione Europea è un attore chiave in questa conferenza. Con il suo Green Deal e l’impegno a diventare il primo continente a emissioni zero entro il 2050, l’UE sta dimostrando una leadership nella lotta contro il cambiamento climatico. La COP28 rappresenta una occasione per l’UE di influenzare gli accordi globali e promuovere una transizione verso una economia verde e sostenibile. Ecco perché la Commissione Europea riunirà gli Ambasciatori del Patto per il clima (European Climate Pact ambassadors) e tutte le persone che seguono da vicino la COP28 il 27 Ottobre a Bruxelles per lo European Climate Stocktake. Questo evento sarà l’occasione per presentare i progressi dell’UE e del mondo verso gli obiettivi dell’Accordo di Parigi e per definire gli interventi fondamentali per i negoziati che si apriranno il mese seguente a Dubai. 

 

Conclusioni Anticipate

La COP28 sarà un banco di prova critico per il mondo. Le aspettative sono basse perché le sfide climatiche sono urgenti e richiedono ormai azioni decisive e rapide. Mentre i rappresentanti di tutto il mondo (governi, società civile, organizzazioni non governative e imprese) si riuniscono per negoziare gli impegni climatici, la sensazione è che gli accordi, se pur ambiziosi, non essendo vincolanti non arriveranno alla concretezza. 

Resta da vedere il 15 Dicembre quale sarà l’esito della COP28, ma una cosa è chiara: la necessità di agire è urgente oggi più che mai.

 

Irene Ghaleb
Fondazione Finanza Etica, European Climate Pact ambassador

Il primo engagement con Fincantieri. Un dialogo poco incoraggiante

  |   By  |  0 Comments

Fincantieri

 

 

Un dialogo poco incoraggiante

La prima volta di Fondazione Finanza Etica all’assemblea degli azionisti di Fincantieri non è stata molto incoraggiante. La società, di cui siamo azionisti con 100 azioni, per un valore complessivo di circa 50 euro, non ha dimostrato alcuna volontà di intraprendere un effettivo dialogo. 

 

Assemblea a porte chiuse. Per motivazioni incomprensibili

Anche Fincantieri ha usufruito della possibilità offerta dal governo Meloni di svolgere l’assemblea a porte chiuse, cioè in remoto, senza la possibilità di interlocuzione da parte degli azionisti e solo attraverso il rappresentante designato. Ma le motivazioni addotte dall’azienda nel rispondere alle nostre domande sono davvero originali.
A detta del management la scelta è dovuta non solo alle “notevoli difficoltà organizzative connesse a tale modalità”, “ma anche alla luce della necessità di garantire la parità di partecipazione alla seduta assembleare da parte di tutti gli azionisti”. Non prevedendo alcuna reale possibilità di partecipazione, quindi, si garantisce secondo Fincantieri a tutti gli azionisti la possibilità, pari a zero, di partecipare: una uguaglianza al ribasso. Anche se, “in conformità alle best practice, la Società ha previsto che gli azionisti legittimati alla partecipazione all’Assemblea possano
assistere ai lavori assembleari attraverso una piattaforma di streaming passivo”.
Ma “assistere”, nella lingua italiana, non è sinonimo di “partecipare”. 

 

La risposta della Consob

Su questa originale interpretazione della normativa da parte di Fincantieri ha però messo la pietra tombale il presidente di Consob (l’organo di controllo del mercato finanziario italiano), Paolo Savona. In audizione davanti alla Commissione Finanze del Senato ha osservato che svolgere le assemblee esclusivamente tramite il rappresentante designato, come durante la pandemia,

incide sui diritti degli azionisti e sulla partecipazione assembleare e non appare in linea con i principi ispiratori della direttiva Shareholders Right.

 

Le domande sulla governance

Nelle domande circa la governance e, in particolare, sulla scelta di attribuire al presidente della Società Claudio Graziano una serie molto vasta di deleghe esecutive (a nostro avviso una eccessiva concentrazione di potere su questa figura) e sulle competenze dei consiglieri e il mix di competenze nel CdA, è calata una fitta nebbia di parole a vuoto per non rispondere nel merito le domande. Fincantieri sceglie la strada della tautologia.
La domanda: “il fatto che al Presidente del CdA siano state attribuite anche delle deleghe esecutive non rappresenta un elemento di eccessivo potere nelle mani del Presidente stesso?”. Risposta (tautologica): “in data 16 maggio 2022 il Consiglio di Amministrazione, in conformità con quanto fatto dai precedenti Consigli di Amministrazione, ha deliberato di conferire al Presidente Claudio Graziani deleghe riportate nella Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari, disponibile sul sito internet della Società”. Una risposta non-risposta.

 

Il modello di business verso il militare

La Società fornisce “non risposte” alle nostre domande sul modello di business e in particolare sulla virata della Società verso il militare. Chiediamo di conoscere la distribuzione dei ricavi, all’interno del prospetto ricavi di Fincantieri SpA, relativo al macro-segmento “Shipbuilding” (71% complessivo) e “Military (31,3%) e ai loro prodotti. Risposta: “la Società non fornisce dettagli”.

Chiediamo, in relazione al Piano industriale adottato, cosa prevede la Società circa la distribuzione dei ricavi e il loro ammontare nei prossimi 2 anni per le diverse aree di business. Chiediamo, di nuovo, l’incidenza dell’area business “military”. Nella risposta solo alcuni dati percentuali. Fincantieri, inoltre, non cita mai la categoria “military”, introducendo invece la categoria “naval”, mostrando di non voler intendere qual era il nostro precipuo interesse: capire se nei prossimi due anni la Società prevede un maggior peso della produzione militare nei ricavi complessivi. Dati che non si ricavano con chiarezza  dal Piano industriale 2023-2027, al quale pure la Società fa continuo rinvio nelle sue “non risposte”.

 

La Politica di Remunerazione

Stessa musica nelle domande sulla Politica di Remunerazione. Chiediamo, tradizionalmente in tutte le società che ingaggiamo, attraverso quali parametri è misurato il raggiungimento degli obiettivi prefissati per accordare (o meno) la parte dell’incentivo variabile della retribuzione del Presidente del CdA. La risposta di Fincantieri è: “Gli obiettivi sono misurati in ragione di specifici indicatori predeterminati e saranno oggetto di valutazione da parte del Comitato per la Remunerazione e del Consiglio di Amministrazione”. Facendo finta di non capire la domanda: abbiamo chiesto quali sono questi indicatori, non se esistono.

Lo stesso accade per la domanda sul peso degli indicatori individuati per la remunerazione dell’Ad e del Direttore Generale. Noi chiediamo quanto pesano gli specifici indicatori e la Società risponde che prestano costante attenzione all’indice di sostenibilità.

Nessuna risposta sulle domande relative agli infortuni sul lavoro.

 

Le fregate vendute all’Egitto

Sulle domande sulle fregate militari classe FREMM prodotte e vendute da Fincantieri all’Egitto abbiamo, finalmente, fra le righe, alcune notizie. La Società ha venduto le unità FREMM al governo egiziano a un prezzo superiore a quello originariamente previsto dal contratto originario verso la Marina Militare Italiana. Perché? Perché nei documenti programmatici della Marina Militare Italiana era prevista anche una quota relativa al supporto logistico che, non essendo incluso nel contratto di vendita verso l’Egitto, va espunta. Naturalmente ogni altro dettaglio viene negato in quanto “elementi sensibili” dal punto di vista contrattuale. Tuttavia conferma Fincantieri che “potrebbero” esserci nuove iniziative commerciali del genere verso l’Egitto, che si conferma ottimo cliente per l’industria militare italiana, nonostante la non splendida performance in termini di diritti umani del paese di Al-Sisi.

La Società risponde blandamente, mostrando la solita tabellina utilizzata per altre domande, che prevede di spostare nel prossimo triennio la produzione su sistemi militari, rispetto a quello civile. E indica fra i principali clienti esteri di Fincantieri per il prossimo futuro gli USA, il Qatar e l’Arabia Saudita. Anche se non fornisce alcuna informazione circa gli introiti dall’export.

 

Ma se nella complessa arte della tautologia e del depistaggio la Società si è dimostrata maestra, dovrà comunque accedere a un confronto diretto. Fondazione Finanza Etica infatti farà richiesta di avviare un dialogo, secondo le modalità stabilite dalla policy di Fincantieri.
Perché il nostro engagement non si esaurisce nel momento topico dell’Assemblea degli Azionisti; si svolge infatti durante il corso dell’anno, alla ricerca non solo di informazioni, ma anche di una collaborazione leale per costruire un profilo più rispettoso dei criteri ESG, particolarmente delicato per un’azienda che costruisce ed esporta armi. Un Made in Italy di cui non sentiamo francamente bisogno.


Simone Siliani

Azionariato critico su ACEA. Un engagement di successo

  |   By  |  0 Comments

ACEA

Foto di Mali Maeder, Pexels

 

ACEA. Un engagement di successo

Nel sesto anno del nostro engagement con ACEA possiamo dire, con soddisfazione, che il dialogo si svolge oggi su un piano di un soddisfacente livello di trasparenza e lealtà. Ciò almeno per quanto riguarda le domande relative al modello di business e sulle politiche di remunerazione del management. Vi sono, invece, margini di deciso miglioramento per quanto riguarda la situazione finanziaria del Gruppo. 

Mentre notiamo che, anche in questo caso, la modalità di svolgimento dell’Assemblea degli azionisti “a porte chiuse” costituisce un irresistibile fattore di chiusura al dialogo con gli azionisti. Come per (quasi) tutte le altre società ingaggiate si è scelta questa modalità di svolgimento (attraverso Rappresentante Designato dalla Società) come ineluttabile e non come una possibilità. Che dimostra una certa rigidità interpretativa della norma o, peggio, una pavloviana reazione incondizionata come di paura o sfiducia nella capacità degli azionisti di discutere con il management in vista di un obiettivo comune che è il bene dell’azienda. Questo spiega il motivo per cui nessuna di queste aziende, ACEA compresa, risponde alla nostra domanda “perché avete scelto questa modalità”. E anche ACEA ci dice che le modalità con cui si è svolta l’Assemblea degli azionisti è “pienamente conforme alla vigente disciplina legislativa”. Vorremmo anche vedere fosse il contrario! Ma il punto è perché si è scelta questa soluzione rispetto alle diverse possibili (in presenza, in forma mista presenza-da remoto, da remoto ma con possibilità di interlocuzione attiva).

 

La situazione finanziaria del Gruppo

Sulla situazione finanziaria del Gruppo, tema da cui era iniziato nel 2017 il nostro engagement, il dialogo è ancora difficile. Pensiamo che vi sia ancora uno squilibrio fra la quantità di utili che la Società destina ai dividendi a favore degli azionisti rispetto a quelli destinati agli investimenti sul miglioramento della rete o comunque all’efficienza dell’azienda. La payout ratio (cioè il rapporto fra dividendo complessivo distribuibile e l’utile dell’esercizio) è ancora troppo alto e tale da minare l’obiettivo dello sviluppo sostenibile di lungo periodo. Tuttavia riconosciamo che questo valore è sceso dal 95% nel 2022 all’87% nel 2023, segno che anche l’azienda riconosce in qualche misura l’esistenza del problema.

Tuttavia, passi avanti ve ne sono stati. Prima di tutto in termini di trasparenza e di apertura di confronto. La politica dei dividendi della Società prevedeva nel Piano industriale 2020-2024 una distribuzione di complessivi 860 milioni di euro. Nelle prime quattro annualità del piano (2020-2023) sono stati distribuiti 698,2 milioni. Ne resterebbero da distribuire nel 2024 circa 162. Ma questo corrisponderebbe a un dividendo di 0,76 euro per azione, contro gli attuali 0,85. Abbiamo dunque chiesto ad ACEA se questo implicasse un abbassamento del dividendo per azione nel 2024, perché non vorremmo che che invece si pensasse di sfondare la previsione del dividendo complessivo rispetto a quanto previsto nel piano, aggravando così lo squilibrio che abbiamo già denunciato all’inizio. Su questo la risposta di ACEA è stata evasiva: nell’ambito del nuovo piano industriale, rispondono, la Società elaborerà “una politica dei dividendi in funzione delle performance economico-finanziarie delineate nel piano stesso”. Abbiamo così compreso che quando un’azienda è colta in fallo, tende a dare (non)risposte ovvie.

 

La politica industriale

Rispetto alla politica industriale della Società, registriamo dei successi reali del nostro engagement.

Intanto chiarezza sul tema perdite idriche. La Società ha obiettivamente fatto degli investimenti (87,8 milioni di euro nel solo 2022) ottenendo risultati interessanti. ACEA Ato 2, l’azienda idrica di Roma e provincia del Gruppo, ha ridotto del 17,2% rispetto al 2019 le perdite idriche non contabilizzate. Per raggiungere l’obiettivo prefissato, è prevista una ulteriore riduzione del 9,8% nel periodo 2023-2024. ACEA Ato 5 (Frosinone e provincia) ha ridotto le perdite del 24% nel 2022 rispetto al dato del 2019 con un investimento di 15,74 milioni di euro. Nel periodo 2023-2024 è prevista una ulteriore riduzione del 7%.

Risultati importanti del nostro azionariato critico si registrano anche sul terreno della politica di remunerazione. In particolare in termini di trasparenza del sistema di incentivazione variabile nel breve periodo, incentrato su un obiettivo di sostenibilità, e la sua misurazione. La Società fornisce informazioni abbastanza dettagliate sulla componente efficientamento dei depuratori realizzato in termini di interventi di razionalizzazione. Cioè la riduzione della frammentazione dei tanti piccoli impianti sul territorio in favore di impianti medio-grandi, abbinata all’integrazione dei sistemi di collettamento fognario. Questo consente un maggior controllo sull’efficacia della depurazione, l’ottimizzazione dei costi di gestione ed energetici e il miglioramento della performance depurativa.  Analoga strategia relativa all’indicatore dell’efficientamento dei depuratori: riduzione e chiusura di quelli più piccoli a favore di impianti più grandi ed efficienti. Questi indicatori, concretamente misurabili, vanno a comporre l’indicatore di sostenibilità relativo all’incentivo della parte variabile della remunerazione del management.

Anche per quanto riguarda il piano di remunerazione relativo agli incentivi di lungo periodo, la risposta dell’azienda è stata corretta. Nel 2024 saranno forniti i dati circa il raggiungimento o meno dei risultati, che comportano indicatori relativi alla riduzione delle perdite idriche, della percentuale dei fanghi disidratati, delle emissioni e degli indici di infortuni.

 

Ecco, dunque, un caso in cui l’azionariato critico può dirsi di successo, passando da un’iniziale chiusura e sospetto, ad un confronto aperto, in uno spirito collaborativo e di trasparenza.

 

Simone Siliani

Mancini d’Arabia

  |   By  |  0 Comments

arabia

Foto di Mike da Pexels

 

 

Fausto Biloslavo oggi su il Giornale, insieme a molti altri commentatori, si indigna giustamente sullo stratosferico ingaggio dell’ex CT azzurro Roberto Mancini in Arabia Saudita. Lo fa mettendo in rilievo la contraddizione fra le precedenti affermazioni e impegni di Mancini a favore dei diritti umani (bambini e immigrati) e l’efferatezza del regime di Riad proprio su questo terreno. Sacrosanto!La recente uscita del rapporto di Human Rights Watch dell’eccidio compiuto dall’esercito saudita ai confini dello Yemen contro gli immigrati etiopi è solo l’ultima delle nefandezze di quel regime.
Ma quella di Mancini non è neppure l’ultima né la più grave delle incoerenze italiane nei confronti di Riad.

 

La fine dell’embargo del commercio di armi verso l’Arabia Saudita

Forse è sfuggito a molti che il Governo guidato da Giorgia Meloni ha di recente sollevato il precedente embargo, decretato dal Governo “Conte 1” su indirizzo del Parlamento, sul commercio di armi verso l’Arabia Saudita.
È utile rinfrescare la memoria ai distratti.

Nel luglio 2019, il Governo italiano adottò una risoluzione votata dal Parlamento italiano. La risoluzione sospendeva le licenze di esportazione di bombe e missili verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per 18 mesi. Infatti la L.185/90 fa (o, meglio, farebbe) divieto al nostro paese di commerciare armi ”verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite… (art.1, co.6 lett a). L’Arabia Saudita, infatti, era a capo di una coalizione di Stati arabi nella lunga e devastante guerra nello Yemen. Nella quale l’esercito di Riad aveva usato bombe acquistate dall’italiana RWM, con sede a Brescia e stabilimento produttivo a Cagliari.
L’embargo è durato poco meno di quattro anni perché il 17 aprile il Governo di Giorgia Meloni ha deciso di sollevare l’embargo. Con una doppia motivazione: sia perché l’impegno militare saudita in Yemen era cessato, sia perché “sembrano esserci segnali promettenti sul raggiungimento di un qualche accordo di pace che ponga fine alla guerra”.

 

Una decisione incauta

A noi di Fondazione Finanza Etica è sembrata subito una decisione incauta. Prima di tutto perché la tregua non è la pace. Inoltre, vendere armi (di qualunque tipo) a un paese responsabile di una guerra lunga oltre 7 anni che si trova in una situazione di tregua e il cui regime non è cambiato, non è forse questo un incentivo ad usarle di nuovo? Infine, esiste la lettera d) del citato co.6 dell’art.1 della legge 185/90 che vieta il commercio di armi “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”. E, allora, come la mettiamo con quella serie di sistematiche violazioni di tali diritti compiute dal regime saudita che oggi Biloslavo e gli altri condannano dalle colonne dei giornali italiani?

 

L’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica

Nella nostra qualità di azionisti critici di imprese che si dedicano alla produzione e commercio di armi – quali Rheinmetall (il colosso tedesco proprietario dell’italiana RWM), Leonardo SpA, Fincantieri SpA e ThyssenKrupp – abbiamo a più riprese chiesto conto di questo commercio di morte.
Le risposte sono state più varie: da chi rispondeva che l’azienda non aveva venduto bombe da aereo (oggetto dell’embargo governativo, secondo una interpretazione riduttiva e sbagliata della legge) all’Arabia Saudita bensì altro materiale d’armamento (Leonardo SpA); a chi ha detto che pur vendendo armi all’Arabia Saudita sotto regolare licenza rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri italiano, l’azienda “ha adottato una policy sui diritti umani e ribadisce il proprio impegno, nello svolgimento delle proprie attività, a rispettare e promuovere i diritti umani” (sempre Leonardo SpA); fino ad altri che orgogliosamente dicono che sono fornitori delle maggiori marine militari estere tra cui l’Arabia Saudita (Fincantieri SpA).

Ecco, il Governo Meloni, campione di coerenza, ha risolto il problema a tutti sollevando l’embargo e permettendo la ripresa di questo allegro e remunerativo commercio del Made in Italy di guerra.

 

Il problema sono i 25 milioni?

E ora tutti a stracciarsi le vesti per i 25 milioni del nuovo CT Roberto Mancini. Senza voler giustificare l’avido e incoerente allenatore, come può l’Italia discutere allo sfinimento di questo iniquo stipendio a Mancini, versato da un paese che ignora ogni diritto della persona, quando il governo italiano dà un simile esempio?
E, poi, la stampa libera può ignorare l’incoerenza del Governo, puntando il dito accusatore su Mancini: indicare la luna, guardando il dito, si direbbe.

 

Simone Siliani

Il ricorso alle bombe a grappolo è una pazzia

  |   By  |  0 Comments

bombe a grappolo

Foto di S Pakhrin, Flickr

La Convenzione di Oslo ha messo al bando le bombe a grappolo nel 2008

Ci sarà pure un motivo per cui 111 Stati hanno ratificato la messa al bando di uso, detenzione, produzione e trasferimento di munizioni e submunizioni a grappolo (cluster bombs).

Si tratta della Convenzione di Oslo adottata il 30 maggio 2008 ed entrata in vigore il 1° agosto 2010. Il motivo è che queste “armi controverse” possono ferire o uccidere in modo indiscriminato o sproporzionato.
Insieme alle munizioni a grappolo, figurano in questa categoria mine antipersona, armi biologiche e chimiche e armi nucleari. Tutte bandite da specifici Trattati o Convenzioni internazionali.
A cui i paesi produttori (o ospitanti sul proprio territorio) di questo tipo di armi non hanno aderito. Fa, dunque, effettivamente specie che oggi si stia discutendo di trasferire munizioni a grappolo all’Ucraina. Per due motivi sostanziali.

Perché non vanno trasferite munizioni a grappoli in Ucraina

Il primo è che le cluster bombs, esattamente come le mine antipersona, vengono usate sul campo di battaglia, ma poi restano – in una percentuale abbastanza significativa, calcolata fra il 10% e il 40% – inesplose sul terreno. In questo caso, purtroppo, il terreno di battaglia è il territorio ucraino invaso dalla Russia.

Dunque, nell’auspicabile futuro di una cessazione delle ostilità, i primi a essere minacciati da queste armi sarebbero i cittadini ucraini che abitano e abiteranno questi territori.
Nella pratica utilizzare queste armi da parte dell’esercito ucraino, vuol dire mettere in conto che – oltre all’esercito russo durante la guerra – ci saranno vittime ucraine di queste armi controverse.È uno scambio cinico: morte di soldati russi e blocco dell’avanzata russa, per bambini, contadini, cittadini ucraini feriti, mutilati e morti nel dopoguerra.

Queste munizioni a grappolo non vengono, solitamente, usate per essere lanciate sul territorio dello Stato invasore. Se lo si facesse (o se questa fosse l’intenzione), ci troveremmo di fronte a una escalation della guerra e a una aggressione, uguale e contraria a quella subita dall’Ucraina da parte della Russia.

Il secondo motivo per cui il ricorso a queste armi controverse sarebbe inaccettabile è che il fatto che gli Stati Uniti d’America (come Russia, Cina, India, Pakistan, Brasile e diversi altri paesi) non abbiano ratificato la Convenzione, non consente alla NATO di utilizzare tali armi. O meglio, ciò non esime gli Stati che fanno parte della NATO e che hanno sottoscritto la Convenzione di Oslo, dall’opporvisi.
E questi Stati sono: Belgio, Bulgaria, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Islanda, Italia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Slovenia, Slovacchia, Spagna. Cioè 18 dei 26 Stati membri dell’Alleanza Atlantica.
A questi dovrebbero aggiungersi, pur non avendo diritto di voto, anche alcuni dei paesi fra gli Stati associati, che pure hanno ratificato la Convenzione: Albania, Austria, Croazia, Svezia, Svizzera.

La posizione dell’Italia sull’invio delle bombe a grappolo

Il Governo italiano – che certamente non è stato timido nell’invio di armi all’Ucraina (siamo arrivati al 6° decreto ministeriale) – ha schierato l’Italia contro l’invio di munizioni a grappolo all’esercito ucraino. Il nostro Paese, infatti, “aderisce alla Convenzione che vieta la produzione, il trasferimento e lo stoccaggio delle munizioni a grappolo”.
Di più: se andiamo a vedere le motivazioni di questa adesione nel sito del Governo Italiano leggiamo che l’Italia considera la Convenzione “una tappa fondamentale verso un aumento della sicurezza internazionale non solo per il ruolo che svolge nella promozione del disarmo, ma anche per il contributo che esso dà al rafforzamento del Diritto Internazionale Umanitario”.
L’Italia, che non ha mai prodotto questo tipo di armi, ha promosso “l’adesione universale a questo strumento”, che “appare ancora più urgente e necessaria alla luce dell’utilizzo presunto di questi ordigni in numerose aree di conflitto”.

C’è anche una storia e un impegno dell’Italia relativamente a diverse previsioni della Convenzione, come la cooperazione e l’assistenza fra gli Stati per eliminare le cluster bombs esistenti (art.6), l’assistenza alle vittime (art.5), l’educazione alla riduzione del rischio (art.4), che rende inconcepibile per l’Italia anche soltanto prendere in considerazione l’utilizzo di queste armi controverse da un’alleanza militare alla quale pure partecipa.

La legge per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici di bombe a grappolo

Tanto è che con Legge 9 dicembre 2021, n.220, l’Italia ha dettato le misure per contrastare il finanziamento delle imprese produttrici ed esportatrici di munizioni e submunizioni a grappolo (oltre che di mine antipersona). Ogni intermediario finanziario di questo paese ha dovuto adottare dei presidi di controllo interni per escludere queste imprese da ogni forma di rapporto finanziario con esse.

Una legge tanto opportuna quanto estesa nei suoi effetti. Perché coinvolge ogni tipo di intermediario finanziario, ogni tipo di supporto finanziario (“effettuato anche attraverso società controllate, aventi sedi in Italia o all’estero” v. art.2) ed esclude dal finanziamento “società in qualsiasi forma giuridica costituite, aventi sede in Italia o all’estero, che direttamente o tramite società controllate o collegate”, svolgano qualsiasi attività di produzione, costruzione, sviluppo, assemblaggio, riparazione, stoccaggio, importazione o esportazione di queste armi o parte di esse.

Questo significa che potrebbero essere molte le imprese, anche di paesi che hanno aderito alla Convenzione, che realizzano parti di queste armi. Tipicamente potrebbero realizzare il contenitore, il vettore, che trasporta al proprio interno decine e centinaia di submunizioni a grappolo.
Ecco, in questo caso, le aziende non potrebbero dire – come ha fatto Leonardo SpA con la sua partecipazione al consorzio MBDA che realizza il vettore del missile a testata nucleare francese – che non è coinvolta nella realizzazione di armi controverse.

Facciamo un esempio concreto. Il Canada ha ratificato la Convenzione di Oslo sul bando delle munizioni a grappolo. Eppure la società canadese Magellan Aerospace Corporation produce il missile CRV7 che può trasportare testate con capacità di trasporto di munizioni a grappolo. Ecco, questo tipo di aziende non potrebbero essere finanziate da nessun intermediario finanziario in Italia.

Quale alleanze militari e quali condizioni di parità con gli altri Stati

Questa vicenda ci dice qualcosa sul tipo di alleanza militare nella quale ci troviamo (NATO) e le “condizioni di parità con gli altri Stati”, conditio sine qua non per consentire le limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni, che pure il co.2 dell’art.11 della Costituzione prevede.
Ma ci dice molto anche sulla follia della guerra, di qualunque tipo essa sia e ovunque siano le ragioni delle parti in conflitto.

È il solito paradosso della guerra che Joseph Heller ha così ben sintetizzato in Comma22:

Chi è pazzo può chiedere di essere esentato dalle missioni di volo, ma chi chiede di essere esentato dalle missioni di volo non è pazzo

Cioè chi è pazzo può chiedere di avere munizioni a grappolo per difendersi, ma chi costruisce munizioni a grappolo non è pazzo.

 

Simone Siliani
direttore Fondazione Finanza Etica

La guerra non è un pranzo di gala

  |   By  |  0 Comments

guerra

Foto di Антон Дмитриев su Unsplash

 

In risposta all’articolo di Repubblica di Gianluca Di Feo sulle armi italiane e la guerra in Ucraina

 

Cari amici di “Repubblica”, caro Gianluca Di Feo, la guerra non è un pranzo di gala, né tanto meno uno scherzo! Ci meraviglia che voi, che più di ogni altro giornale avete sponsorizzato l’invio di armi in Ucraina, oggi [5 luglio 2023, ndr] ve ne uscite con questa “clamorosa” scoperta che le fabbriche di armi italiane – in questo caso RWM Italia SpA – abbiano ritrovato nuove commesse per i loro “prodotti” e, dunque, nuova floridità economica.

Noi, invece, da anni andiamo dicendo che la produzione di armi prepara e rende possibili nuove guerre e che queste, a loro volta, alimentano nuova domanda di armi. E anche operando, visto che il nostro Gruppo Banca Etica ha escluso le armi dal proprio universo investibile e i loro produttori da ogni possibilità di operatività bancaria. È questa la vera economia circolare.

Peccato questa economia di fabbriche di armi abbia come effetto collaterale fisiologico la morte delle persone, militari e (sempre di più) civili. Ma per chi è incurante di questi effetti collaterali, la guerra è un affare come un altro che, in fondo, fa girare l’economia, produce PIL e, soprattutto, copiosi dividendi. Per noi, invece, la cosa più importante sono gli effetti collaterali.

La produzioni di armi nello stabilimento RWM Italia

Tornando a RWM, Fondazione Finanza Etica svolge da qualche anno attività di azionariato critico su Rheinmetall, il colosso tedesco degli armamenti che, con il 98% delle azioni, è il vero proprietario di RWM Italia. Abbiamo interrogato, esercitando i nostri diritti di azionisti, in questi anni Rheinmetall sulle attività di RWM, sia sulle bombe vendute all’Arabia Saudita e utilizzate in Yemen, sia su quelle vendute all’Ucraina.  Perché per noi le bombe non hanno colore: sono sempre sbagliate e difficilmente possono essere considerate armi difensive. Così come abbiamo chiesto informazioni sulle vicende giudiziarie che hanno bloccato l’allargamento dell’impianto di Domusnovas-Iglesias. Le risposte di Rheinmetall sono state vergognosamente evasive e fuorvianti, non degne di una grande impresa che si è dotata pure di un Codice Etico che contiene principi etici «di legalità, integrità, trasparenza, correttezza, riservatezza, efficienza, spirito di servizio, …tutela dell’ambiente, della sicurezza e della salute, rispetto dei diritti altrui».

Per esempio, quest’anno Rheinmetall ha dichiarato che nel 2022 RWM Italia non ha venduto armi all’Ucraina. Ma poi dice che le «attrezzature per la difesa» vendute all’Ucraina consistono in «bombe d’aereo, mine navali, siluri riempiti». Ma non hanno voluto dire per quale valore economico.


Allora abbiamo chiesto notizie sui due sistemi Skynex che Rheinmetall consegnerà all’Ucraina e prodotti nello stabilimento di Roma, ma sviluppati da Rheinmetall Air Defence con sede a Zurigo entro la fine del 2023, come dichiarato dal portavoce dell’azienda Oliver Hoffmann. Questi sistemi sono sviluppati in Svizzera, dove vige un divieto di esportazione di materiale bellico a Kiev, e portati a Roma dove sono assemblati e dall’Italia esportati in Ucraina: è questo un modo per aggirare il divieto vigente in Svizzera? Per noi, ovviamente, sì, come per ogni persona dotata di logica. Per Rheinmetall no perché, ci garantisce, «Rheinmetall svolge sempre le sue attività in coordinamento con le autorità e non ci sono restrizioni da parte dell’Italia per la consegna dei due sistemi Skynez». Che è, in parte, una non-risposta alla nostra domanda e dall’altra una tautologia.

Le vicende giudiziarie sull’ampliamento dell’impianto di Domusnovas

Le risposte sulla questione, accennata anche da Di Feo, sulle vicende giudiziarie legate all’ampliamento dell’impianto produttivo di Domusnovas sono invece sconcertanti.

Avevamo già interpellato Rheinmetall lo scorso anno chiedendo se le autorizzazioni concesse per l’ampliamento dell’impianto, sottoposte a processo per irregolarità e bloccate in prima istanza, non fossero un rischio di perdita economica, reputazionale e produttivo per la società. La società ha risposto che «Il procedimento amministrativo non è ancora concluso. Il tribunale ha solo stabilito che alcuni aspetti della valutazione di impatto ambientale devono essere aggiornati».

Il 10 novembre 2021, il Consiglio di Stato, l’ultima istanza della giustizia amministrativa in Italia, ha accolto il ricorso presentato da associazioni ambientaliste, stabilendo che le autorizzazioni concesse erano illegittime. Il ricorso contro la sentenza presentato da RWM Italia è stato nuovamente respinto dal Consiglio di Stato nel febbraio 2022. Per questo abbiamo chiesto per quale motivo la società continuasse a ignorare il problema.

Inoltre, i dirigenti di RWM Italia sono stati mandati a processo penale per falso, avendo firmato le autorizzazioni per l’ampliamento dello stabilimento in Sardegna, nonostante le sentenze del tribunale amministrativo: nel marzo 2023 il Tribunale di Cagliari ha condannato i dirigenti RWM per falso e abuso edilizio. Lo scorso anno Rheinmetall aveva rubricato tutti questi fatti, giudiziariamente stabiliti, come «accuse di violazioni minori». Alla luce delle condanne intervenute nel 2022 e 2023, Rheinmetall  risponde: «Avete posto numerose domande su vari procedimenti perseguiti dagli oppositori degli armamenti in Italia».

Di chi parlano? Qui ci sono tribunali italiani che emanano sentenze, non pacifisti sfegatati. Immaginiamo che anche in Germania funzioni così.

Prosegue Rheinmetall: «Non condividiamo la valutazione che la situazione sia peggiorata nel frattempo: restiamo convinti che né condanne penali né limitazioni definitive alla costruzione emergeranno dai procedimenti». Ma cosa vuol dire? La condanna definitiva del Consiglio di Stato non è forse già stata stabilita? La condanna per falso e abuso edilizio non è una condanna penale? O forse stanno dicendo che nonostante queste condanne l’azienda andrà avanti lo stesso, senza colpo ferire? Oppure le considerano ottusi impacci burocratici all’impetuoso e inarrestabile sviluppo produttivo di RWM?

Insomma l’arroganza di Rheinmetall è pari solo all’ottusa sicumera di potersene infischiare della legge.

Dal suo canto Di Feo su Repubblica racconta che RWM ha fatto un investimento di 50 milioni di euro per costruire  un secondo impianto in Sardegna: ma «dopo averlo terminato, il Consiglio di Stato ha però ritenuto insufficienti i permessi già rilasciati da Comune e Regione imponendo ulteriori autorizzazioni». Ma le cose non stanno così: dichiarando il falso e compiendo un abuso edilizio, i dirigenti di RWM hanno proseguito la costruzione dell’impianto nonostante il Tribunale amministrativo avesse già sospeso le autorizzazioni rilasciate; che, evidentemente, possono essere impugnate solo dopo che sono state concesse, non prima. Così come Di Feo racconta che RWM dà lavoro a 480 persone, mentre a Domusnovas-Iglesias lavorano solo 98 persone a fronte di una popolazione sarda di 1,5 milioni di abitanti. E RWM si è definita nelle sue risposte “un importante datore di lavoro in Sardegna”.

Solo la pace è fautrice di sviluppo

C’è in Italia e in Europa una spinta fortissima al riarmo, che si nutre di governi di destra “collusi” con i produttori di armi, di opposizioni di sinistra culturalmente conquistate alla logica della guerra. E che hanno perduto il senso dell’identità di sinistra, che si fonda sull’idea che solo la pace è fautrice di sviluppo. Così come di un sistema mediatico e dell’informazione che ha dimenticato il ruolo di “cane da guardia” del potere che la migliore tradizione del giornalismo indipendente aveva costruito in decenni di libero esercizio della professione; di una intellettualità afona; di un sistema finanziario famelico che, incurante della funzione sociale che il risparmio dovrebbe esercitare secondo la nostra Costituzione, si fa guidare esclusivamente dalla fame di dividendi.

Può essere fermata questa follia che sta portando il mondo in mezzo a conflitti e guerre locali che non aspettano altro che nuove armi per scalare la dimensione e la pericolosità? Lo potranno fare solo i cittadini che alzeranno la voce, gli istituti finanziari che prenderanno coraggio e rifiuteranno di finanziare le armi; gli intellettuali ritroveranno la parola libera e diranno che c’è un’alternativa; i lavoratori che rifiuteranno di costruire e imbarcare le partite di armi per i paesi in guerra o che violano i diritti umani (come avvenuto a Livorno e a Genova) e i sindacati che li difenderanno; i partiti e i parlamentari che non si omologheranno al pensiero unico della guerra; le religioni che escluderanno i fabbricanti di morte dalle loro comunità.

È possibile, ancora. Noi siamo qui, per questo.

 

Simone Siliani
direttore di Fondazione Finanza Etica

5mila dollari al minuto per gli arsenali nucleari

  |   By  |  0 Comments

arsenali nucleari

La International Campaign to Abolish Nuclear Weapons diffonde i risultati della sua nuova ricerca sulle spese militari collegate agli arsenali nucleari: nel 2022 gli Stati dotati di armi nucleari hanno speso cinquemila dollari (4.500 euro) in più al minuto per i loro arsenali nucleari rispetto al 2021, per un totale di 157.664 dollari al minuto (cioè 149.938 euro).


APPROFONDISCI