La stagione assembleare 2021

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la stagione assembleare 2021

 

Seguire la stagione assembleare 2021. Ovvero di grandi noie e qualche buon risultato

In tempi di Covid l’azionista critico è come un ghepardo in gabbia, costretto a guardarsi a ripetizione documentari sulle gazzelle che sfrecciano nella savana. Con la differenza che almeno si può fare qualche inseguimento per procura. È quello che è successo anche nella stagione assembleare 2021, che si è conclusa da poco. 

Pur essendo tutti parte di una grande famiglia europea, ogni Paese ha però le sue usanze. E così in Italia le assemblee degli azionisti non sono state trasmesse nemmeno a distanza. Se ne è avuta notizia dalle convocazioni, se ne sono lette appassionate cronache sui verbali. Ma le porte erano chiuse e le telecamere spente. E agli azionisti non è restato che spedire domande scritte e attendere, pazienti, le risposte. 

In Germania, invece, si è potuto seguire i lavori in diretta dallo schermo del computer, ma senza interagire. Alle domande scritte, inviate con largo anticipo, sono seguite risposte orali. Da appuntare a mano, con l’uso di una penna o di un lapis, per cancellare agevolmente eventuali errori, visto che ogni registrazione è vietata e le imprese tedesche non sono avvezze a pubblicare verbali. 

In Svezia non si sono persi l’ennesima occasione per dimostrarsi più cool di tutti gli altri: assemblee in streaming e possibilità di interagire in diretta via chat. Però solo se si capisce lo svedese, perché non sono previste traduzioni né sottotitoli in altre lingue. Inte för allt smör i Småland, che letteralmente significa “neanche per tutto il burro dello Småland”, e cioè tutto l’oro del mondo. 

E visto che i mezzi per garantire la partecipazione virtuale hanno lasciato a desiderare, ci siamo organizzati con le contro-assemblee online, dove in assenza di contraddittorio abbiamo potuto suonarci e cantarci i nostri stornelli preferiti. Con un pubblico peraltro molto superiore a quello che generalmente frequenta le assise ufficiali. 

 

A furia di “rompere”, si aprono crepe durante la stagione assembleare 2021

Non sono mancate, però, le soddisfazioni. Come quando il colosso della moda H&M ha ceduto e ci ha finalmente rivelato il modo in cui calcola i bonus che paga ai suoi manager. Era il terzo anno consecutivo che glielo chiedevamo. Oppure quando Enel ci ha invitato a confrontarci sulla “povertà energetica”, l’impossibilità di molte famiglie di accedere ai servizi energetici di base. Un problema molto sentito in Spagna. O, ancora, quando Eni ha risposto alle 99 domande che abbiamo inviato, assieme a Greenpeace e Re:Common, sul piano di transizione energetica della società, che continua a non convincerci. Per la prima volta si sono uniti alla nostra azione anche gli studenti di Scomodo, la più importante rivista universitaria italiana. 

Indimenticabile anche lo scambio, per ora solo in forma scritta, con la multinazionale belga della chimica Solvay. Abbiamo chiesto di darci spiegazioni sulle spiagge caraibiche generate dagli scarichi della società a Rosignano, in Toscana. Su Report hanno detto che le conseguenze sulla salute non sarebbero proprio trascurabili. Solvay però dice che è tutto a posto. Scaricherebbe solo «calcare inerte e altri materiali naturali, come gesso e sabbia. Non tossici, né pericolosi». Sarà, ma la cosa non ci convince del tutto. 

 

Lotta dura contro chi produce armi

Molte magre, invece, le soddisfazioni (se si può usare questo termine) con Rheinmetall, l’impresa tedesca che in Sardegna produce le bombe che finivano sulla popolazione yemenita. Nella diretta a senso unico con gli azionisti, il marmoreo amministratore delegato Armin Papperger non ha fornito, in pratica, alcuna informazione utile. Rispettiamo le leggi e tutto il resto sono dati sensibili. Vi basti così. 

Però non ci basta. E visto che l’impresa non ci risponde siamo andati da uno dei suoi maggiori investitori: il famoso fondo pensione norvegese. “The Fund”, come si definiscono loro stessi. «Il più grande azionista singolo nei mercati azionari globali», con 1.140 miliardi di euro di patrimonio. 

Nel maggio del 2020 abbiamo scritto al fondo, che detiene il 2,69% di Rheinmetall, per chiedergli di vendere le azioni dell’impresa. Ora pare che i norvegesi vogliano approvare un nuovo criterio per escludere gli investimenti in società che vendono armi a Stati in guerra. Un primo passo verso una probabile, futura vendita dei circa 104 milioni di euro in azioni dell’impresa tedesca detenute da “The Fund”. 

Se succederà, sarà anche un po’ merito nostro. 

 

Mauro Meggiolaro, analista di Fondazione Finanza Etica

Lettera al fondo sovrano norvegese perché disinvesta da Rheinmetall

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Lettera degli azionisti critici al Fondo sovrano norvegese affinché disinvesta dal colosso tedesco delle armi Rheinmetall

Pagare le pensioni coi profitti delle armi? Non è etico ed espone a rischi finanziari

Lettera degli azionisti critici, guidati dalla Fondazione, da Shareholders for Change-SfC, Bank für Kirche und Caritas (BKC) e insieme a un gruppo di investitori istituzionali e ONG europee, al Fondo sovrano norvegese affinché disinvesta dal colosso tedesco delle armi Rheinmetall.

Il fondo pensione norvegese, istituito nel 1990 per investire gli utili pubblici del settore petrolifero norvegese, è il più grande fondo sovrano del mondo con un patrimonio complessivo in gestione di oltre 930 miliardi di euro. È stato uno dei primi colossi a dotarsi di una policy di selezione degli investimenti secondo criteri di sostenibilità. Eppure il fondo è attualmente uno dei principali azionisti del produttore di armi tedesco Rheinmetall; la sua partecipazione è del 2,57% (circa 116 milioni di euro).

 

I contenuti della lettera al fondo sovrano norvegese

Gli investitori critici chiedono al fondo sovrano norvegese di riconsiderare il suo investimento in Rheinmetall, che fornisce bombe all’Arabia Saudita per la guerra nello Yemen, e di avviare un dialogo critico con l’azienda sulle sue pratiche di esportazione di armi.

 «Dal 2004 il fondo sovrano norvegese investe secondo precise linee guida di sostenibilità e disinveste regolarmente dalle aziende che non vi aderiscono», spiega Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica. «Riteniamo che investire in Rheinmetall sia in netto contrasto con le linee guida del fondo». «Il Fondo infatti non investe in società che producono armi che violino i diritti umani fondamentali». 

Tommy Piemonte, responsabile della ricerca sulla sostenibilità presso BKC, descrive così le ragioni dell’appello:

«Gli investitori dovrebbero smettere di sostenere le aziende che esportano armi in Paesi coinvolti in violazioni dei diritti umani o che contribuiscono a tali violazioni. Soprattutto se questo è in contrasto con le loro politiche di investimento».

 

La guerra nello Yemen non ha alcuna legittimità dal punto di vista del diritto internazionale.

Dal 2015 ha già ucciso oltre 100.000 persone, tra cui 12.000 civili in attacchi diretti. Nel corso del conflitto, un gran numero di bombe utilizzate dall’alleanza guidata dall’Arabia Saudita sono state prodotte e fornite dalla controllata italiana di Rheinmetall RWM Italia SpA.  

 L’11 dicembre 2019, un gruppo di organizzazioni per i diritti umani guidate dal Centro europeo per i diritti umani e costituzionali di Berlino (ECCHR), dall’organizzazione yemenita per i diritti umani Mwatana e da Rete Italiana per il Disarmo, ha presentato alla Corte penale internazionale dell’Aia un esposto contro i produttori di armi che avrebbero consapevolmente sostenuto le violazioni dei diritti umani nello Yemen, fornendo armi all’Arabia Saudita. 

 

L’engagement degli azionisti critici a Rheinmetall

Già dal 2017 Bank für Kirche und Caritas e Fondazione Finanza Etica partecipano alle assemblee annuali degli azionisti di Rheinmetall, chiedendo al Consiglio di Amministrazione di interrompere l’esportazione di armi verso Paesi che sono coinvolti in violazioni dei diritti umani. Finora Rheinmetall ha ignorato gli appelli degli azionisti.

Ma le sue pratiche di esportazione potrebbero comportare azioni legali e sanzioni per l’azienda in una causa per violazione dei diritti umani. Questo causerebbe perdite finanziarie che non piacerebbero agli azionisti.

«Speriamo di riuscire a convincere il fondo pensione norvegese a fare pressione sugli amministratori di Rheinmetall. Potrà così evitare i rischi reputazionali e legali legati a Rheinmetall e i conseguenti, possibili rischi finanziari». Aggiunge Tommy Piemonte.

La lettera è stata co-firmata da una ventina di investitori e ONG tedeschi e italiani tra cui Rete Italiana per il Disarmo, Comitato Riconversione RWM, GLS Bank, Pax Bank, Steyler Bank, Greenpeace Germany, ECCHR, Urgewald e CRIC (Corporate Responsibility Interface Centre). 

 

 

 

 

 

 

L’addio di Generali al carbone

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L’addio di Generali al carbone

 

Nel novembre del 2018 esce una notizia «piacevolmente sorprendente»: le assicurazioni Generali hanno seriamente deciso di dire addio al carbone.

«Ci sono voluti due anni di campagna di pressione condotta da Greenpeace e Re:Common, promotrici di azioni e appelli pubblici e protagoniste di accalorati interventi all’assemblea degli azionisti della società, ma il risultato è senza dubbio di portata storica».

Così scrive Luca Manes di Re:Common su Valori.it.

Nell’aggiornamento della sua “Strategia sui cambiamenti climatici”, Generali ha infatti introdotto un piano operativo che punta a ridurre in maniera significativa la sua esposizione verso il carbone, in fase di dismissione in vari paesi europei. La società ha ufficializzato che non fornirà più coperture assicurative per la costruzione di nuove centrali a carbone, senza alcun tipo di eccezione. Non accetterà neanche come nuovi clienti società attive nel comparto carbonifero.
Dal lato investimenti, Generali si libererà completamente delle sue partecipazioni azionarie nel settore del carbone entro l’aprile del 2019. Progressivamente lascerà anche quelle obbligazionarie, portandole a scadenza e addirittura valutando la possibilità di dismetterle anticipatamente.

«Il lavoro di Greenpeace e Re:Common, sostenuto dagli attivisti che in questo lasso di tempo hanno partecipato ad azioni in varie località italiane, ha convinto Generali a fare un importante passo in avanti sul tema della tutela ambientale», continua Manes.
Un lavoro di cui sono stati parte integrante gli interventi degli azionisti critici in assemblea, mobilitati da Re:Common: Grassroots Foundation (Polonia), Greenpeace, DKA (Germania), We Move, e altri. All’azione si è aggiunta Fondazione Finanza Etica, che ha posto domande anche in rappresentanza della rete europea di azionisti attivi SfC – Shareholders forChange, con 162.000 azioni.

L’azione critica degli azionisti è continuata anche nell’assemblea del 2019, per testare sul campo gli impegni presi dalla società nel novembre dell’anno prima. È stata anche richiesta maggiore decisione nel raggiungimento degli obiettivi dichiarati.

Anche nel caso di Generali, l’azionariato critico è stata una delle tante azioni che hanno convinto la società a cambiare strategia. È un’azione complementare che, come si è visto, porta il confronto con le imprese a un livello nuovo, senza però sostituirsi alle altre strategie.

 

Per le strategie di azionariato critico, cosa è e come funziona, si può leggere il nostro rapporto Azionariato critico. Storia, strumenti e successi, a cura di Mauro Meggiolaro. È il primo lavoro organico in Italia che descriva la storia dell’azionariato critico dalle sue origini.

La stagione dell’azionariato critico della Fondazione per il 2020

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La stazione dell'azionariato critico della Fondazione per il 2020

In questa stagione di azionariato critico 2020 causa della pandemia le assemblee saranno in remoto. Fondazione Finanza Etica ha scelto comunque di utilizzare gli spazi esistenti per l’engagement.

 

L’azionariato critico durante la pandemia Covid-19

A causa della crisi determinata dalla pandemia da Covid-19, le assemblee degli azionisti si svolgeranno tutte in remoto. Non ci sarà la possibilità di intervenire fisicamente e di persona in assemblea da parte degli azionisti.
Le modalità di partecipazione dipenderanno dalle legislazioni e dalle normative d’emergenza emanate dai diversi paesi sedi delle imprese: Italia, Germania, Svezia nei nostri casi. Si parteciperà attraverso soggetti delegati che “portino la voce” di tutti gli azionisti; oppure con la presentazione di domande a risposta scritta da presentare prima dello svolgimento dell’assemblea.

L’espressione di voto degli azionisti avverrà in remoto, attraverso il rappresentante designato (individuato dall’azienda, sulla base della normativa italiana) o la banca depositaria delle azioni (Svezia).

Saranno assemblee asettiche. Si riduce le possibilità di interlocuzione diretta del management  l’attenzione dei media sulle stesse tematiche sollevate dagli azionisti critici e anche la dinamica fra gli azionisti e fra questi e la direzione dell’azienda.

In questa situazione Fondazione Finanza Etica ha scelto comunque di utilizzare gli spazi esistenti per continuare l’engagement. Approfondiremo le tematiche già sollevate negli anni passati:

  • impegno sui cambiamenti climatici e divestment,
  • politiche eque e trasparenti di remunerazione del management,
  • politiche fiscali dell’azienda

Solleveremo questioni nuove, in particolare l’impatto che la pandemia e le sue conseguenze economiche produrranno sulle attività tipiche delle aziende.

 

Le domande per la stagione assembleare 2020

Di seguito alcune delle domande e delle problematiche che, per ciascuna delle 7 aziende ingaggiate dalla Fondazione, saranno sollevate durante la stagione assembleare 2020.

ENI

ENI AGM 2015

Insieme a Enel, Eni è la veterana del nostro azionariato critico, iniziato nel 2008.

Quest’anno ci concentriamo – insieme a Re:Common e a Greenpeace – sulla strategia di abbattimento di emissioni di gas serra pari all’80% al 2050 contenuta nel Piano strategico.

La indeterminatezza degli interventi che Eni dichiara di voler mettere in atto non fa altro che mostrare che il vero obiettivo del Piano è la corsa all’aumento della produzione di idrocarburi (petrolio e gas) per i prossimi sei anni (2020 – 2025), con una crescita media annua del 3,5% all’anno e una crescita in termini assoluti del 23% fino al 2025.
Da quella data si avvierà una graduale diminuzione della produzione, con progressiva sostituzione del petrolio con il gas e l’orientamento di parte degli investimenti verso altri business: rinnovabili, distribuzione di energia nel mercato retail, bio-raffinerie, ecc.).

Rimandare l’adozione di misure di drastica riduzione delle emissioni di gas serra di sei anni è incompatibile con la gravità e l’urgenza dell’emergenza climatica in corso.

Eni non rende noti gli obiettivi di riduzione delle emissioni nel breve-medio periodo.
Eni pone molta enfasi alla riduzione del petrolio a favore del gas, il cui presunto maggiore contributo alla riduzione delle emissioni rispetto al petrolio, e allo stesso carbone, è discutibile e messo in discussione da numerosi studi.
Sono forniti obiettivi di assorbimento della CO2 tramite progetti di conservazione forestale (REDD+) al 2025, 2035 e 2050. Tuttavia, non sono forniti dettagli su alcun progetto di conservazione e non si spiega a che punto siano le “collaborazioni” con i governi citati, per lo più africani.

Anche per i progetti di assorbimento della CO2 tramite CCS (Carbon Capture e Storage), una tecnologia ancora immatura sulla quale però Eni proietta obiettivi molto ambiziosi, sono molto vaghi. Il primo di questi, a Ravenna, partirebbe non prima del 2025.

Ogni piano di seria risposta ai cambiamenti climatici da parte di Eni viene spostato in avanti di sei anni, mentre ci troviamo già adesso nel mezzo di un’emergenza straordinaria che non ammette esitazioni nelle risposte.

Assicurazioni Generali

L’addio di Generali al carbone

Dopo i primi due anni di azionariato critico, la compagnia assicurativa triestina ha compiuto significativi passi avanti nella strategia di disinvestimento da imprese del settore delle fossili, dell’engagement con imprese dell’Europa dell’est ancora investite operanti nel settore nonché del disimpegno da contratti assicurativi rispetto a impianti e attività estrattive svolte da società del carbone.

Quest’anno l’azionariato critico di FFE si concentra sull’esistenza all’interno del Gruppo di diverse società con sede in paesi, europei ed extra-Ue, che si trovano ai primi posti nell’indice di opacità finanziaria (Financial Secrecy Index) dell’ONG Tax Justice Network.
In tutto si tratta di 56 società in Lussemburgo, Svizzera, Irlanda, Singapore, Isole Vergini Britanniche, Hong Kong, Olanda.
La Fondazione chiede a Generali l’ammontare dei profitti generati da queste imprese, il numero dei dipendenti, la tax rate media pagata per tali profitti e il ruolo che tali società svolgono all’interno del Gruppo.

Vogliamo capire se tali società abbiano un ruolo chiave in eventuali pratiche di elusione fiscale che riteniamo ingiuste in sé, perché sottraggono risorse al welfare di molte nazioni, ma anche rischiose perché espongono la società a possibili sanzioni da parte delle autorità fiscali.

H&M

H&M AGM 2019

La società svedese leader nel settore dell’abbigliamento low cost, oggetto di engagement fin dallo scorso anno, insieme alla Clean Clothes Campaign (Campagna Abiti Puliti),  sui temi dei diritti dei lavoratori e della equa retribuzione lungo tutta la catena di fornitura, quest’anno sarà interrogata anche sulle politiche di retribuzione del CEO attraverso una mozione presentata da Fondazione Finanza Etica, che sarà posta in votazione nell’assemblea degli azionisti.
Sarà chiesto di rendere pubblici gli obiettivi quantificabili di sostenibilità che il management deve raggiungere per determinare una parte della retribuzione, nonché la percentuale della componente variabile rispetto a quella fissa della stessa retribuzione.

Riteniamo  che sia fondamentale la trasparenza sulle politiche di remunerazione dei manager, in particolare in questo periodo di crisi nel quale a moltissimi lavoratori e cittadini sono chiamati a fare ingenti sacrifici. E riteniamo fondamentale che le remunerazioni dei manager delle grandi società quotate siano legati a obiettivi di sostenibilità. Su questo H&M non è assolutamente trasparente e continueremo a fare pressione sulla società per ottenere informazioni chiare.

ENEL

Azionariato critico Enele

Facciamo pressione sugli amministratori di Enel dal 2008.

Negli anni abbiamo criticato i piani della società sul carbone e il nucleare, insieme a Greenpeace Italia e Re:Common, e ci siamo opposti al progetto per la costruzione di cinque grandi dighe in un’area incontaminata della Patagonia cilena.

Dal 2008 Enel è molto cambiata, in particolare con il passaggio di consegne dal precedente amministratore delegato Fulvio Conti all’attuale CEO Francesco Starace (nominato nel 2014). Francesco Starace ha impresso una svolta storica alla società, abbandonando per sempre i piani di sviluppo di carbone e nucleare del suo predecessore e puntando tutto su una rapida transizione alle energie pulite. Questo è avvenuto anche grazie alla pressione degli azionisti critici.

Nonostante Enel si sia avviata su un percorso di profondo rinnovamento, i problemi però non mancano. E, soprattutto, la transizione deve essere continuamente monitorata, per assicurarsi che gli obiettivi intermedi, di volta in volta fissati, siano rispettati. È quello che cerchiamo di spiegare, con meno successo, anche ad Eni: ben vengano piani di decarbonizzazione completa (o quasi) al 2030 o al 2050, ma servono anche obiettivi anno per anno, per permettere agli azionisti di misurare progressi concreti e progressivi.

Ad Enel chiederemo  a che punto sia la transizione, in particolare in Spagna e in Cile, dove l’uscita dalle centrali a carbone non sembra andare come previsto.

E faremo domande sulla parte di ricavi e profitti che la controllata Enel Distribuzione ottiene dai cosiddetti “oneri di dispacciamento” (per la gestione delle reti elettriche) in bolletta, che per molti osservatori sarebbero ingiustificatamente elevati e permetterebbero alla società di fare dumping sui prezzi di altri servizi, buttando fuori mercato altri piccoli e medi operatori.

 

Rheinmetall

Partecipiamo all’assemblea di Rheinmetall, gigante tedesco degli armamenti, dal 2017, su proposta della Rete Italiana per il Disarmo, di cui la nostra Fondazione fa parte.

In Sardegna Rheinmetall produce, attraverso la controllata RWM Italia, le bombe che sono esportate all’Arabia Saudita e sono utilizzate per bombardare lo Yemen. Una guerra che sta durando da 5 anni, senza alcuna legittimazione internazionale e ha provocato migliaia di vittime tra i civili, tra i quali tantissimi bambini.


La società non ha mai dimostrato segni di apertura.
Nel frattempo il governo italiano ha sospeso le esportazioni, almeno fino al luglio del 2020 anche se non sappiamo cosa succederà dopo l’estate.
Per questo torneremo, virtualmente, in assemblea per capire meglio come si è concretizzata la sospensione dell’export e della produzione e se riprenderà dopo l’estate.
Assieme ai movimenti pacifisti tedeschi inizieremo inoltre a fare pressione sui grandi azionisti di Rheinmetall, tra cui il fondo sovrano norvegese, che investe 117 milioni di euro nella società (il 2,57% del capitale totale). A loro chiederemo di disinvestire da Rheinemtall: se la società non ci risponde, non ci resta che cercare di convincere i suoi azionisti a ritirare i propri investimenti, per motivi etici.

Acea

Partecipiamo all’assemblea di Acea dal 2017, insieme all Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.
Alla società e al suo azionista di maggioranza (il Comune di Roma) abbiamo chiesto, sin dall’inizio, di rendere effettivo il risultato del referendum del 2011 sull’acqua pubblica. La controllata Acea Ato 2, che gestisce l’acqua a Roma e provincia, viene letteralmente spremuta da Acea, risparmiando (come si è visto) sugli investimenti e aumentando i costi dell’acqua in bolletta.

Siamo convinti, assieme ai milioni di italiani che hanno portato al successo del referendum, che l’acqua sia un bene comune e non debba essere sfruttato per produrre profitti da distribuire in borsa, tra gli altri alla famiglia Caltagirone e al gigante francese Suez.

Quest’anno torneremo in assemblea, che non è ancora stata fissata.
Chiederemo quali e quanti investimenti siano stati effettuati dopo la grave siccità del 2017, che portò alla luce perdite della rete idrica, per rotture o allacci abusivi, pari al 40% del volume totale di acqua distribuita. A che punto siamo oggi?
Cercheremo inoltre di capire se si siano concretizzati i piani di reinvestimento degli utili di Acea Ato 2, in modo che i profitti siano lasciati all’interno della società (per provvedere al miglioramento delle reti idriche) e non siano, invece, destinati totalmente agli azionisti.

Leonardo

Gen. Carta alla presidenza di Leonardo. Per Rete Italiana Disarmo e Fondazione Finanza Etica scelta inopportuna e contraria alle norme su export delle armi.

Partecipiamo all’assemblea di Leonardo (ex Finmeccanica), il principale produttore di armi italiano e uno dei primi in Europa, dal 2016.

Quest’anno le domande che faremo alla società saranno incentrate sulla gestione, a nostro parere scorretta, dell’emergenza da Covid-19, che ha portato allo sciopero di tutte le sigle sindacali il 23 marzo scorso.

I sindacati hanno lamentato l’assenza di misure adeguate per proteggere i lavoratori.
Leonardo avrebbe cercato di minimizzare la portata dello sciopero, dichiarando che il 70% dei lavoratori avrebbero comunque deciso di lavorare il 23 marzo. Fonti sindacali parlano invece di una percentuale di adesione pari al 74%, almeno nella parte “manufacturing” e quindi all’interno degli stabilimenti.

Cinquanta anni di engagement

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Cinquanta anni di engagement

 

L’engagement riunisce tutte le attività che coinvolgono azionisti interessati a promuovere iniziative di responsabilità sociale

 

Il termine ENGAGEMENT è molto in voga, e non da oggi, nel mondo della finanza etica: fa riferimento a tutte le attività che coinvolgono gli azionisti impegnati a promuovere questioni di responsabilità sociale attraverso campagne e altre iniziative. L’obiettivo consiste nel sollevare questi stessi temi in assemblea e di proporre opportune risoluzion iper cambiare la policy dell’impresa. A volte le proposte sono accolte direttamente dal management che assume così un impegno formale; in altre occasioni la risoluzione proposta viene sottoposta al voto degli azionisti.

L’azionariato critico è promosso prevalentemente da ONG, movimenti e campagne. Sono proprio loro che hanno dato vita alla storia dell’engagement, negli anni ’70 del XX secolo. Ma il fenomeno ha avuto un prologo decisamente più antico. Gli ordini religiosi sono stati storicamente i primi, nel mondo occidentale, a sollevare il problema dell’impatto sociale degli investimenti. Negli Stati Uniti, negli anni venti del Novecento, i Padri Quaccheri e Metodisti avevano promosso la nascita dei primi fondi di investimento etici, escludendo dal portafoglio i titoli di imprese che producevano alcolici o operavano nel settore del gioco d’azzardo.

 

Fino agli anni ’10

Le prime strategie “positive” emergono negli anni successivi, quando le organizzazioni religiose fanno un passo avanti: il loro obiettivo finale non è più escludere le aziende dei settori controversi. Vogliono anche selezionare per il loro portafoglio i titoli di quelle aziende che ritengonopiù sensibili ai diritti umani e alle questioni ambientali (oggi parleremmo di strategia best-in-class).

Ma la vera svolta arriverà solo alcuni decenni più tardi. Fu con le campagne nei confronti delle aziende che investivano nel Sudafrica dell’apartheid che l’azionariato attivo fece il suo salto di qualità grazie all’attività dell’ICCR. L’ICCR nel 2019 ha partecipato alle riunioni di 184 società quotate e presentato 277 risoluzioni.

La prima grande esperienza di engagement registrata in Europa risale agli anni ’80. Nel 1986, a Colonia, in Germania, viene fondata la DKA  (Coalizione delle Azioniste e degli Azionisti Critici). L’associazione riunisce 28 sigle diverse in rappresentanza di organizzazioni ambientaliste, coalizioni pacifiste, associazioni di consumatori e whistleblower d’impresa. Nel 2019 gli attivisti di DKA sono intervenuti alle assemblee di quasi 50 imprese quotate tedesche: da Adidas a Bayer, da Volkswagen alla Rheinmetall, azienda che esporta in Arabia Saudita quelle stesse bombe utilizzate dall’esercito di Riyad nella guerra dello Yemen. Un conflitto, quest’ultimo, privo di legittimazione internazionale e capace a oggi di fare decine di migliaia di vittime tra i civili.

L’Italia sperimenta le prime iniziative di azionariato critico nel 1989 quando Legambiente avvia il progetto “azionisti ecologisti”. L’organizzazione ambientalista inizia ad acquistare quote esigue di grandi imprese italiane legate a vario titolo al settore del fossile come Montedison, Enimont, Enichem, Fiat, Sme, Sip ed Enel per promuovere la riconversione ecologica del loro business. La prima battagliasi combatte nel 1990. Gli attivisti chiedono all’assemblea Montedison la chiusura dellACNA di Cengio dove un incidente produsse una gravissima nube tossica.

Legambiente ACNA Cengio

Opera propria archivio personale indeciso 42, Wikipedia in italiano18 (CC BY-SA 4.0).

 

Gli anni ’10 e la svolta di Fondazione Finanza Etica

Fino al 2016 le attività di azionariato critico della Fondazione si sono rivolte esclusivamente alle due principali multinazionali italiane dell’energia Eni ed Enel. Dopo l’acquisto di una quota simbolica di azioni del colosso della Finmeccanica( oggi Leonardo) la Fondazione inizia a diversificare la sua presenza.

Nel 2017, d’accordo con il Forum Italiano dei Movimentiper l’Acqua, l’organizzazione interviene all’assemblea di Acea, la società municipalizzata dei servizi idrici del comune di Roma. Seguono le partecipazioni alle assemblee della società tedesca degli armamenti Rheinmetall a Berlino, della compagnia assicurativa Generali (con l’appoggio dell’associazione Re:Common) e del gigante svedese del fast fashion H&M (in collaborazione con la Clean Clothes Campaign).

La vera svolta arriva nel 2017 quando la Fondazione aderisce al network internazionale SfC – Shareholders for Change. Si allarga l’elenco dei temi trattati in assemblea (che comprende ad esempio la retribuzione dei manager) ma aumenta soprattutto il peso effettivo delle attività di engagement. Intervenendo a nome di tutti i membri di SfC, la Fondazione si trovavinfatti a rappresentare, in alcuni casi, migliaia di azioni.

L’azionariato critico, nato come iniziativa simbolica dal punto di vista del possesso azionario, si trasforma a rigore di definizione in un vero e proprio azionariato attivo potenzialmente in grado di indurre le compagnie a cambiare le loro politiche. Negli ultimi dodici anni, Fondazione Finanza Etica ha partecipato a 37 assemblee di sette gruppi quotati in borsa, in collaborazione con organizzazioni della società civile italiana e internazionale ottenendo alcuni importanti risultati.

 

Questo articolo ripende alcune pagine di La finanza etica e sostenibile in Europa. Terzo rapporto, una pubblicazione di Fondazione Finanza Etica a cura di Matteo Cavallito, Emanuele Isonio e Mauro Meggiolaro.

 

 

Enel abbandona il progetto HidroAysén in Patagonia

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Enel abbandona il progetto HidroAysén in Patagonia

Nel 2009, 2010, 2011, 2012 e 2013 Fondazione Finanza Etica interviene alle assemblee di Enel a sostegno di Crbm (Campagna per la Riforma della Banca Mondiale, oggi Re:Common) e delle campagne. Ci si oppone alla costruzione di cinque grandi dighe nella Patagonia cilena (regione di Aysén). Il progetto è guidato dal consorzio HidroAysén, controllato con una quota maggioritaria da Enel.

Crbm fa intervenire in assemblea come azionisti il vescovo dell’Aysén, Luis Infanti, oltre a rappresentanti della comunità indigena Mapuche, minacciata dalla costruzione delledighe e attivisti di “Patagonia sin represas”(Patagonia senza dighe).

In Cile, migliaia dipersone protestano ripetutamente nella capitale Santiago.
In Italia, le domande e le proteste degli azionisti critici e il muro di gomma di Enel finiscono su tutti i principali organi di stampa.

Vescovo Luis Infanti sul Corriere della Sera

L’intervento del vescovo Luis Infanti all’assemblea di Enel come riportato dal Corriere della Sera il 30 aprile del 2010.

 

A sostegno del vescovo Luis Infanti, che interviene all’assemblea del 29 aprile 2010, scendono in campo anche i Missionari Oblati di Maria Immacolata, un ordine religioso che figura tra i fondatori della storica coalizione di azionisti attivi USA ICCR. Infanti viene delegato a parlare proprio dai Missionari, con 57.000 azioni.

Dopo una battaglia durata sei anni, nel 2014 il governo cileno decide di rigettare la valutazione d’impatto ambientale per il progetto Hidroaysén, che viene definitivamente archiviato.
Per gli azionisti critici è una chiara vittoria.
L’azionariato critico è stata solo una delle tante gocce che hanno aiutato a far traboccare il vaso. Da soli gli azionisti critici molto probabilmente non ce l’avrebbero fatta. Ma l’unione tra forze e metodi di opposizione diversi è riuscita a condizionare una scelta politica a cui l’impresa ha dovuto sottostare.

 

Per le strategie di azionariato critico, cosa è e come funziona, si può leggere il nostro rapporto Azionariato critico. Storia, strumenti e successi, a cura di Mauro Meggiolaro. È il primo lavoro organico in Italia che descriva la storia dell’azionariato critico dalle sue origini.

 

Foto di Raimundo España.

 

Retribuzioni dei manager. ENI si arrende a Fondazione Finanza Etica

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Retribuzioni dei manager ENI si arrende a Fondazione Finanza Etica

Nel 2012 Fondazione Finanza Etica interviene all’assemblea di Eni. Chiede perché, a favore del presidente e dell’amministratore delegato uscenti, Roberto Poli e Paolo Scaroni, sia stato pagato, nel 2011, un bonus discrezionale straordinario di fine carica da un milione di euro a testa, senza che siano esplicitati i criteri in base ai quai tale compenso sia stato calcolato.
«Perché un milione di euro e non 950.000 euroo 1,2 milioni di euro?», chiede la Fondazione. «Perché poi attribuire un compenso di fine carica all’amministratore delegato Scaroni, per il quale era già prevista la conferma della carica per un ulteriore mandato?».

Nel 2013 Eni introduce criteri sociali, ambientalie di governance (ESG) per la remunerazione variabile di lungo termine da attribuire al presidente e all’amministratore delegato, che pesano per il 10% del totale.
È un fatto positivo: significa che i due più importanti amministratori della società saranno pagati (o non pagati) anche in base al raggiungimento (o meno) di obiettivi sociali e ambientali e non solo finanziari.

Però alla Fondazione i criteri di riferimento (la presenza della società negli indici azionari etici FTSE4Good e Dow JonesSustainability Index) non piacciono.
«Sono generici e arbitrari. Perché non è possibile adottare criteri più specifici, consultando i portatori di interesse della società?».
Nel 2015 c’è finalmente una svolta: la possibilità di attribuire bonus discrezionali straordinari viene cancellata (come richiesto da Fondazione Finanza Etica) e si cambiano i criteri ESG per attribuire una parte della remunerazione variabile ai manager. Dalla presenza di Eni in indici azionari etici si passa a due criteri specifici, come richiesto dalla Fondazione: la riduzione delle emissioni di CO2e deglii nfortuni sul lavoro.
In più si alza il peso dei criteri ESG dal 10% al 25%.
Un grande successo, che la Fondazione non manca di sottolineare nel corso del suo intervento all’assemblea dello stesso anno:

«Voteremo per la prima volta a favore della relazione sulla remunerazione. Siamo contenti che Eni abbia colto la nostra proposta di eliminare ogni bonus discrezionale, come quelli attribuiti una tantum nel 2011 all’allora CEO, PaoloScaroni, e al Presidente, Roberto Poli, per un milione di euro a testa. Allora avevamo criticato Eni per questa scelta. Eni dopo tre anni ci ha ascoltato e siamo contenti di questo, esprimiamo anche soddisfazione per la modifica dei criteri di attribuzione del bonus relativo alla sostenibilità ambientale e al capitale umano, che corrisponde al 25% dell’incentivazione variabile annuale. Come abbiamo proposto l’anno scorso all’Assemblea, tale bonus non avrà più come parametro la presenza di Eni in uno dei due indici etici Dow Jones Sustainability e FTSE4good, che ci sembrava un criterio poco oggettivo, visto che non condividiamo i criteri con i quali questi indici sono composti e creati ma farà riferimento a criteri più oggettivi, come la riduzione dell’emissione di CO2e l’indice di frequenza degli infortuni».

 

Per le strategie di azionariato critico, cosa è e come funziona, si può leggere il nostro rapporto Azionariato critico. Storia, strumenti e successi, a cura di Mauro Meggiolaro. È il primo lavoro organico in Italia che descriva la storia dell’azionariato critico dalle sue origini.

 

 

Azionariato critico con H&M

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Azionariato critico con H&M

 

L’assemblea del colosso svedese del fast fashion H&M, tenutasi a Stoccolma il 7 maggio del 2019, è un chiaro esempio di come una campagna della società civile possa trasformarsi in un’iniziativa di azionariato critico, coinvolgendo anche gli investitori istituzionali (fondi di investimento che hanno in portafoglio migliaia diazioni della società).

Tutto parte da una a una campagna lanciata dalla coalizione Clean Clothes Campaign (CCC, in Italia Campagna Abiti Puliti) nel maggio del 2018, che chiede alla società di mantenere fede a una promessa, fatta nel novembre del 2013: pagare un salario dignitoso (“living wage”) a tutti i suoi fornitori strategici. «Un provvedimento che interesserà 850.000 lavoratori dell’abbigliamento», aveva dichiarato l’impresa.

 

H&M non ha mantenuto le promesse sul salario di sussistenza. E la Campagna Abiti Puliti ha deciso di diventare azionista critico.

La promessa non viene mantenuta e gli attivisti decidono di scendere in campo anche come azionisti, con l’appoggio di Fondazione Finanza Etica.

I rappresentanti della campagna e la stessa Fondazione acquistano un numero simbolico di azioni di H&M e iniziano a studiare il regolamento assembleare del gruppo scandinavo e le norme del diritto societario svedese.
Scoprono presto che, in Svezia, è possibile presentare mozioni che richiedano il voto consultivo di tutti gli azionisti anche possedendo una sola azione. Si lavora quindi, alla stesura delle mozioni entro il termine stabilito (fissato per marzo, circa due mesi prima dell’assemblea).

La mozione della Clean Clothes Campaign (che sarà poi inclusa nell’annuncio di convocazione dell’assemblea come Item9b) chiede che tutti i profitti realizzati nel 2018 dal gigante internazionale della moda siano destinati a un fondo speciale, da mantenere in vigore fino a quando i salari dei lavoratori non siano almeno pari al livello di un salario dignitoso.

 

Con Shareholders for Change, 34.100 azioni critiche all’assemblea H&M

Anche Fondazione Finanza Etica presenta una mozione. Lo fa assieme a Meeschaert Asset Management, una società di investimenti parigina che è tra i fondatori di SfC – Shareholders for Change e detiene 34.100 azioni di H&M. La mozione ha un taglio più istituzionale rispetto a quella di CCC.

Anche Fondazione e Meeschaert Asset Management si concentrano sui diritti dei lavoratori, ma lo fanno in modo indiretto. Chiedono più trasparenza sui parametri di sostenibilità a cui sono ancorate le remunerazioni variabili dei top manager, che non sono resi noti dall’impresa.

A differenza di quello che accade in Italia, in Svezia non è prevista la possibilità di inviare domande all’impresa prima dell’assemblea e di ottenere risposte scritte entro il giorno dell’assemblea.
Tuttavia, grazie a un accordo informale tra gli azionisti critici e attivi e H&M, tale possibilità viene garantita in via eccezionale. Ad H&M vengono spedite nove domande a nome di Clean Clothes Campaign di SfC – Shareholders for Change (in particolare del membro svizzero della coalizione Forma Futura Invest AG).

Ulteriori domande sono sottoposte all’impresa il giorno stesso dell’assemblea, con una rappresentante di Meeschaert Asset Management a presentare e chiedere di votare per la mozione di Meeschaert e Fondazione Finanza Etica e due rappresentanti di Clean Clothes Campaign a presentare la mozione della campagna.

Le mozioni vengono entrambe respinte dagli azionisti. E nelle sue risposte l’impresa conferma un atteggiamento di chiusura.
Ma gli interventi di CCC e Shareholders for Change hanno comunque una portata storica: per la prima volta ONG e investitori istituzionali socialmente responsabili sono riusciti a presentare una mozione su temi sociali (diritti dei lavoratori) e di governance (trasparenza dei criteri di remunerazione) all’assemblea del gigante mondiale del fast fashion H&M.
Il percorso è stato difficile e accidentato e fino all’ultimo non è stato chiaro se le mozioni e le stesse deleghe degli azionisti (i biglietti di ingresso per partecipare all’assemblea) venissero accettate o meno.
Ma ora la strada è segnata e, nei prossimi anni, sarà molto meno complicato seguire tutte le procedure.

Prima dell’assemblea, gli attivisti di CCC hanno consegnato 180mila firme di consumatori, che chiedono migliori condizioni di lavoro presso i subfornitori di H&M, all’amministratore delegato della società Karl-Johan Persson.
Un’azione classica, comune a molte campagne, che si accompagna agl iinterventi dei rappresentanti della società civile come azionisti critici. Perché, come si è detto, quando si tratta di fare pressione sulle imprese, nessuna strategia si elide ma tutte si sommano per il raggiungimento di un unico obiettivo: ottenere ascolto e, possibilmente, incidere sulle strategie di gestione delle aziende.

 

Per le strategie di azionariato critico, cosa è e come funziona, si può leggere il nostro rapporto Azionariato critico. Storia, strumenti e successi, a cura di Mauro Meggiolaro. È il primo lavoro organico in Italia che descriva la storia dell’azionariato critico dalle sue origini.

L’azionariato critico

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Azionariato critico gli azionisti rompiscatole che migliorano l'etica delle aziende

Cosa è l’azionariato critico e perché migliora l’etica delle aziende

Le dimensioni e il ruolo della finanza sono diventati sempre più rilevanti negli ultimi anni.
Una delle conseguenze più evidenti di questa tendenza è la cosiddetta “finanziarizzazione dell’economia”.
Con questo termine si indica il progressivo trasferimento di risorse – e di potere – dall’economia produttiva verso i mercati finanziari. Il capitale azionario di un numero sempre maggiore di imprese è detenuto da investitori istituzionali, quali fondi pensione e di investimento, fondi hedge, private equity. L’obiettivo di questi soggetti non è lo sviluppo di lungo termine delle imprese ma la massimizzazione del profitto, in termini di dividendi e plusvalenza sui titoli detenuti. Per soddisfare le richieste di questi attori, quindi, i parametri di riferimento per i dirigenti delle imprese diventano l’aumento del prezzo dei titoli sui mercati finanziari e lo stacco di dividendi generosi, con obiettivi di breve periodo.

In termini più generali le imprese fanno sempre più l’interesse degli azionisti – shareholders – mettendo in secondo piano le aspettative di altri portatori d’interesse – stakeholders – come lavoratori, clienti, fornitori, comunità locali.
Se le conseguenze negative della “finanziarizzazione” sono evidenti, un uso responsabile degli strumenti finanziari può dare nuove possibilità per monitorare il comportamento socio-ambientale delle imprese e per fare pressione affinché siano rispettati i diritti umani e l’ambiente, messi in secondo piano in nome del profitto.

In molti Paesi, organizzazioni della società civile e reti di piccoli azionisti hanno dato vita a una nuova forma di intervento: l’azionariato critico.

Grazie all’acquisto di azioni (anche in quantitativi simbolici), gli attivisti hanno iniziato a intervenire alle assemblee annuali delle imprese come azionisti, portando all’attenzione dei consigli di amministrazione di grandi società multinazionali le violazioni dei diritti umani o le controversie ambientali nelle quali sono coinvolte.
L’azionariato critico ha già dato risultati significativi.
Le grandi imprese, molto spesso sorde alle proposte dei consumatori, delle campagne e dei movimenti, sono generalmente più attente alle richieste provenienti dagli azionisti. Gli azionisti, infatti, in quanto “comproprietari”, acquistano il diritto di partecipare alla vita delle società e di ottenere risposte su questioni ambientali o sociali che possano avere un impatto negativo sui risultati finanziari dell’impresa.
La grande sfida dell’azionariato critico è proprio questa: dimostrare alle imprese che se non si interessano sufficientemente alle conseguenze delle proprie azioni sul clima, sugli ecosistemi o sulle comunità di riferimento, la loro condotta potrebbe mettere in pericolo la stessa capacità di generare profitti per gli azionisti, a causa della sottovalutazione di rischi potenziali, possibili sanzioni, danni alla reputazione, e quindi al marchio che per molte società, in particolare quelle che si rivolgono direttamente ai consumatori, è uno dei beni più preziosi.

Inoltre, l’azionariato critico ha lo scopo di far capire agli amministratori che i “rompiscatole” sono fondamentali per mantenere vive le aziende, perché «nel cuore stesso delle organizzazioni c’è una lotta in corso tra coloro che cercano di affermare il potere e coloro che cercano di resistergli e forse distruggerlo. È questa lotta che dà alle organizzazioni un senso di vitalità e un impulso politico di rigenerazione».

 

Azionisti critici o attivi? Una differenza non solo formale

Mentre nel mondo anglosassone si usa generalmente il termine “shareholder engagement” per identificare tutte le iniziative di azionariato responsabile, in italiano si usano almeno due termini diversi, perché diversi possono essere gli attori, le condizioni di partenza, gli obiettivi, gli strumenti usati. In particolare si parla di “azionariato critico”, di cui tratta nello specifico questo rapporto, e di “azionariato attivo”.
In comune tra questi due concetti c’è il fatto di essere promossi da azionisti di una società, il desiderio di influenzare il comportamento di un’azienda di cui si possiedono azioni, l’idea di renderle più responsabili in termini ambientali, sociali e di governance (buon governo).
Ma ci sono anche molte differenze: nella scelta delle imprese con cui dialogare, nelle domande da porre in assemblea e non solo, negli obiettivi che si intende raggiungere.

In particolare, l’azionariato attivo ha lo scopo di migliorare ulteriormente il comportamento di imprese a cui viene spesso già riconosciuto un buon profilo di responsabilità sociale, che permette loro di essere selezionate, per esempio, all’interno dei portafogli di fondi comuni di investimento etici. Mentre l’azionariato critico è rivolto principalmente a imprese che sono accusate di gravi violazioni in campo socio-ambientale e di governance (per esempio per il sospetto coinvolgimento in casi di corruzione internazionale), e ha lo scopo di denunciare le conseguenze negative derivanti da tali comportamenti.
In Italia gli esempi più chiari di queste due strategie sono Fondazione Finanza Etica ed Etica Sgr.
Fondazione Finanza Etica promuove iniziative di azionariato critico dal 2007, acquistando un numero simbolico di azioni (spesso anche una sola) di aziende coinvolte in pratiche molto controverse che sono oggetto di campagne di associazioni ambientaliste, pacifiste o per la tutela dei diritti umani. Le azioni sono acquistate con il solo scopo di poter entrare a fare domande in assemblea e ottenere risposte come azionisti.
Etica Sgr, invece, investe attivamente (tramite i suoi fondi comuni di investimento etici) in imprese “buone”, selezionate in base a una serie di criteri ESG (ambiente, sociale, governance), di cui detiene consistenti pacchetti azionari.
Ecco come spiegano le due forme di azionariato responsabile i diretti protagonisti:

Aldo Bonati Etica Sgr  Aldo Bonati, Corporate engagement and networks manager di Etica sgr
«Le aziende con cui portiamo avanti attività di azionariato attivo sono presenti nel nostro portafoglio di investimento e, di conseguenza, hanno già superato una serie di selezioni. Per esempio escludiamo a priori aziende che producono armi, petrolio, tabacco. Sono quindi aziende che hanno superato un primo esame. Ma tutte hanno dei margini di miglioramento. Noi lavoriamo su questi, li individuiamo e poniamo delle domande al management, chiedendo anche modifiche e integrazioni nella strategia aziendale».

 

Andrea Baranes Banca Etica Andrea Baranes, già Presidente di Fondazione Finanza Etica e ora vice-presidente di Banca Etica.
«Fondazione Finanza Etica Utilizza l’azionariato critico come strumento per cercare di migliorare il comportamento di aziende che,a nostro avviso, non sono virtuose. Possiamo quindi parlare di vere e proprie critiche nei loro confronti. Scegliamo imprese che, in base alle nostre analisi e alle segnalazioni di realtà della società civile, hanno comportamenti altamente dannosi per l’ambiente o per i diritti umani. Imprese che costruiscono dighe con forti impatti sull’ambiente (come in passato Enel nella Patagonia cilena), che producono armi (come Leonardo e Rheinmetall), che continuano a estrarre petrolio (come Eni)».

 


In alcuni casi gli azionisti critici usano un linguaggio diverso, più aggressivo, rispetto agli azionisti attivi, che adottano un approccio più istituzionale. E, se necessario, accompagnano la partecipazione all’assemblea con manifestazioni o flash mob davanti alla sede dell’incontro o con l’esposizione di striscioni, in modo da attirare l’attenzione della stampa e degli altri azionisti.

 

 

Questo articolo ripende alcune pagine di Azionariato critico. Storia, strumenti e successi, a cura di Mauro Meggiolaro, il primo lavoro organico in Italia che descriva la storia dell’azionariato critico dalle sue origini.