Lettera al fondo sovrano norvegese perché disinvesta da Rheinmetall

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Lettera degli azionisti critici al Fondo sovrano norvegese affinché disinvesta dal colosso tedesco delle armi Rheinmetall

Pagare le pensioni coi profitti delle armi? Non è etico ed espone a rischi finanziari

Lettera degli azionisti critici, guidati dalla Fondazione, da Shareholders for Change-SfC, Bank für Kirche und Caritas (BKC) e insieme a un gruppo di investitori istituzionali e ONG europee, al Fondo sovrano norvegese affinché disinvesta dal colosso tedesco delle armi Rheinmetall.

Il fondo pensione norvegese, istituito nel 1990 per investire gli utili pubblici del settore petrolifero norvegese, è il più grande fondo sovrano del mondo con un patrimonio complessivo in gestione di oltre 930 miliardi di euro. È stato uno dei primi colossi a dotarsi di una policy di selezione degli investimenti secondo criteri di sostenibilità. Eppure il fondo è attualmente uno dei principali azionisti del produttore di armi tedesco Rheinmetall; la sua partecipazione è del 2,57% (circa 116 milioni di euro).

 

I contenuti della lettera al fondo sovrano norvegese

Gli investitori critici chiedono al fondo sovrano norvegese di riconsiderare il suo investimento in Rheinmetall, che fornisce bombe all’Arabia Saudita per la guerra nello Yemen, e di avviare un dialogo critico con l’azienda sulle sue pratiche di esportazione di armi.

 «Dal 2004 il fondo sovrano norvegese investe secondo precise linee guida di sostenibilità e disinveste regolarmente dalle aziende che non vi aderiscono», spiega Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica. «Riteniamo che investire in Rheinmetall sia in netto contrasto con le linee guida del fondo». «Il Fondo infatti non investe in società che producono armi che violino i diritti umani fondamentali». 

Tommy Piemonte, responsabile della ricerca sulla sostenibilità presso BKC, descrive così le ragioni dell’appello:

«Gli investitori dovrebbero smettere di sostenere le aziende che esportano armi in Paesi coinvolti in violazioni dei diritti umani o che contribuiscono a tali violazioni. Soprattutto se questo è in contrasto con le loro politiche di investimento».

 

La guerra nello Yemen non ha alcuna legittimità dal punto di vista del diritto internazionale.

Dal 2015 ha già ucciso oltre 100.000 persone, tra cui 12.000 civili in attacchi diretti. Nel corso del conflitto, un gran numero di bombe utilizzate dall’alleanza guidata dall’Arabia Saudita sono state prodotte e fornite dalla controllata italiana di Rheinmetall RWM Italia SpA.  

 L’11 dicembre 2019, un gruppo di organizzazioni per i diritti umani guidate dal Centro europeo per i diritti umani e costituzionali di Berlino (ECCHR), dall’organizzazione yemenita per i diritti umani Mwatana e da Rete Italiana per il Disarmo, ha presentato alla Corte penale internazionale dell’Aia un esposto contro i produttori di armi che avrebbero consapevolmente sostenuto le violazioni dei diritti umani nello Yemen, fornendo armi all’Arabia Saudita. 

 

L’engagement degli azionisti critici a Rheinmetall

Già dal 2017 Bank für Kirche und Caritas e Fondazione Finanza Etica partecipano alle assemblee annuali degli azionisti di Rheinmetall, chiedendo al Consiglio di Amministrazione di interrompere l’esportazione di armi verso Paesi che sono coinvolti in violazioni dei diritti umani. Finora Rheinmetall ha ignorato gli appelli degli azionisti.

Ma le sue pratiche di esportazione potrebbero comportare azioni legali e sanzioni per l’azienda in una causa per violazione dei diritti umani. Questo causerebbe perdite finanziarie che non piacerebbero agli azionisti.

«Speriamo di riuscire a convincere il fondo pensione norvegese a fare pressione sugli amministratori di Rheinmetall. Potrà così evitare i rischi reputazionali e legali legati a Rheinmetall e i conseguenti, possibili rischi finanziari». Aggiunge Tommy Piemonte.

La lettera è stata co-firmata da una ventina di investitori e ONG tedeschi e italiani tra cui Rete Italiana per il Disarmo, Comitato Riconversione RWM, GLS Bank, Pax Bank, Steyler Bank, Greenpeace Germany, ECCHR, Urgewald e CRIC (Corporate Responsibility Interface Centre). 

 

 

 

 

 

 

Nomine governative. Leonardo

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Gen. Carta alla presidenza di Leonardo. Per Rete Italiana Disarmo e Fondazione Finanza Etica scelta inopportuna e contraria alle norme su export delle armi.

Il Generale Carta indicato per la Presidenza di Leonardo: scelta inopportuna e contraria alle norme sull’export di armi

 

Da numerose segnalazioni della stampa apprendiamo che il Governo avrebbe indicato il gen. Luciano Carta (attuale direttore dell’AISE Agenzia informazioni e sicurezza esterna) per la presidenza di Leonardo. Leonardo è tra i principali produttori di armamenti e di sistemi di difesa al mondo; il Ministero dell’economia e delle Finanze (MEF) è azionista di riferimento. In base al “golden power” sulla società  il MEF è in grado di definire la lista di maggioranza nel Consiglio di Amministrazione (da cui poi viene deciso anche il Presidente) nonostante le azioni possedute siano poco più del 30% del totale.

«Ancora nel 2013 il fatturato di Leonardo prodotto dalle attività in campo civile era pari al 50,4% del totale. Poi è progressivamente sceso, fino quasi a dimezzarsi: nel 2019 era pari al 28%, contro il 72% di produzione militare», spiega Marco Piccolo Presidente di Fondazione Finanza Etica, azionista critico alle assemblee di Leonardo dal 2016 in collaborazione con Rete Italiana per Il Disarmo. «Eppure il terzo comma dell’Articolo 1 della legge 185/90 parla chiaro: il Governo predispone misure idonee ad assecondare la graduale differenziazione produttiva e la conversione a fini civili delle industrie nel settore della difesa. Non ci sembra che la nomina di un ex generale alla presidenza di Leonardo vada in questa direzione».

Rete Italiana per il Disarmo esprime forte preoccupazione per questa ipotesi. Se confermata, il gen. Carta passerebbe direttamente da un ruolo rilevante e attivo nei meccanismi di controllo e autorizzazione all’export di prodotti militari a quello di vertice della principale azienda militare italiana. Leonardo infatti è al primo posto per licenze concesse in due degli ultimi tre anni di cui si hanno dati, e destinataria del 67% delle autorizzazioni complessive rilasciate nel 2018.

“Non abbiano nulla contro il gen. Luciano Carta dal punto di vista personale, e non abbiamo motivo di dubitare in nessun modo della sua condotta nel corso delle sue funzioni ai vertici di AISE – dichiara Francesco Vignarca coordinatore di Rete Italiana per il Disarmo – Ma intendiamo richiamare al rispetto rigoroso e senza eccezioni di una norma che è stata pensata proprio per evitare conflitti di interesse o tentazioni di altro tipo. Situazioni che possono diventare problematiche se non si mette un freno al fenomeno delle ‘revolving doors’ nel settore della difesa”.

L’ipotizzato trasferimento del gen. Carta ad un ruolo di vertice in Leonardo risulta infatti chiaramente inopportuno, da diversi punti di vista, e anche in possibile contrasto con il testo attualmente in vigore della legge 185/90 che regola l’export di armamenti. L’articolo 22 di tale norma (“Divieti a conferire cariche”) precisa infatti che:

1. I dipendenti pubblici civili e militari, preposti a qualsiasi titolo all’esercizio di funzioni amministrative connesse all’applicazione della presente legge nei due anni precedenti alla cessazione del rapporto di pubblico impiego non possono, per un periodo di tre anni successivo alla cessazione del rapporto stesso, a qualunque causa dovuta, far parte di consigli di amministrazione, assumere cariche di presidente, vicepresidente, amministratore delegato, consigliere delegato, amministratore unico, e direttore generale nonché assumere incarichi di consulenza, fatti salvi quelli di carattere specificamente tecnico-operativo, relativi a progettazioni o collaudi, in imprese operanti nel settore degli armamenti.

Chiediamo dunque se sia stato compiutamente verificato se il gen. Carta abbia avuto incarichi o funzioni connessi in qualche modo all’applicazione della legge. Dalle modifiche del 2003 e 2012 in poi nel processo di autorizzazione all’export di armamenti è affidato un ruolo chiave anche al Dipartimento Informazioni per la Sicurezza della Presidenza del Consiglio. Il DIS fa parte con AISE del più articolato Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. Rappresenta infatti l’articolazione dell’Autorità Nazionale per la Sicurezza. In presenza di informazioni classificate (provenienti anche dall’AISE) esprime pareri vincolanti al rilascio delle autorizzazioni previste dalla Legge 185/90.

La UAMA ha sottolineato con proprie circolari alle aziende iscritte al Registro Nazionale delle imprese esportatrici la necessità di inviare anche all’AISE i dettagli sulle proprie attività contrattuali. In questo modo l’Agenzia si colloca pienamente nel processo autorizzativo della Legge 185/90.

Assumendo la carica di presidente di Leonardo, il Gen. Carta passerebbe a svolgere un ruolo di “promotore” di quelle operazioni che, da funzionario dei Servizi di Sicurezza con autorità e incarichi connessi al controllo sulle autorizzazioni all’esportazione di armi, era finora stato chiamato a definire anche sulla base di informazioni riservate. Un tipo di “conflitto di interesse” che la legge 185/90 ha inteso espressamente evitare.

A 30 esatti anni dall’approvazione della legge 185/90 l’opera di indebolimento del suo spirito e del suo dettato legislativo prosegue anche grazie a questi episodi – commenta Maurizio Simoncelli vicepresidente di IRIAD Archivio Disarmo – Ciò avviene anche a seguito delle modifiche alla legge negli ultimi anni e al continuo ricorso ad accordi di cooperazione militare, stratagemma utilizzato per eluderne le norme nel caso di decine di Paesi extra NATO e UE, come a suo tempo denunciò in Parlamento l’allora Deputato e oggi Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella”.

 

Roma, 21 aprile 2020

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