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L’azionariato critico e la finanza etica

L’azionariato critico per Fondazione Finanza Etica

L’azionariato critico è per Fondazione Finanza Etica uno strumento per mettere in evidenza quali sono gli impatti sociali e ambientali delle scelte finanziarie in grandi imprese quotate e le loro scelte di sostenibilità. Per noi le grandi imprese dovrebbero guardare non soltanto i risultati finanziari di breve termine – tipicamente i dividendi per gli azionisti, bensì lo sviluppo a medio-lungo termine dell’impresa e il suo ruolo nella società.

 

Un diverso modo di essere grande impresa

Attraverso l’azionariato critico Fondazione Finanza Etica cerca di prefigurare un modo diverso di essere impresa. E di un tipo particolare d’impresa: quelle quotate in Borsa. Grandi imprese, cioè,  in termini di impiegati e fatturato, il cui successo è misurato nella capacità delle azioni di incrementare il capitale finale della società.

La raccolta di risparmio avviene, appunto, attraverso l’emissione di azioni o obbligazioni che sono collocate sui mercati regolamentati. Regolamentati da chi? Dal Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, dalla CONSOB, con funzioni di vigilanza e controllo; dal Testo Unico della Finanza e dall’Unione Europea, con la direttiva sulla trasparenza.

Nelle società quotate chiunque può decidere di investire denaro acquistando azioni, in qualche modo scommettendo che quelle azioni avranno un rendimento positivo. Ciò che conta è il rischio di mercato che si associa al rischio d’impresa.

Questa caratteristica delle imprese quotate determina che:

  • abbiano un gran numero di piccoli azionisti, il cui interesse è spesso molto “egoistico”, frammentato e, in genere, di breve termine. Detto in parole povere, al piccolo azionista al limite interessa poco che l’azienda sia florida e abbia una buona performance produttiva (meno che mai sociale e ambientale); basta che ogni anno gli garantisca un dividendo o comunque la crescita del valore delle azioni;
  • l’azienda è controllata, di solito (in Italia), da un azionista di riferimento che detiene di gran lunga il pacchetto azionario maggiore. È questo azionista il vero dominus dell’azienda.

 

Le Assemblee Generali degli Azionisti

A causa di queste caratteristiche, le Assemblee generali degli azionisti annuali diventano una mera formalità; mentre dovrebbero essere il momento di massima espressione dell’esercizio da parte degli azionisti della funzione di indirizzo e controllo sul management dell’azienda.

A voler essere più espliciti, questo dovrebbe essere il momento massimo della democrazia interna in cui i proprietari dell’azienda, tutti, grandi e piccoli, esercitano il loro diritto-dovere di governo attivo e responsabile dell’azienda. Invece tutto si svolge in un’atmosfera felpata e ipocritamente formale: (quasi) nessuna discussione sui punti di contenuto dell’ordine del giorno, in particolare il bilancio e il resoconto sull’andamento dell’azienda nell’anno precedente, nessuna valutazione sull’operato degli organi di governo e sul rinnovo (quando del caso) del CdA; poca attenzione agli atti che definiscono la policy di remunerazione degli amministratori e soprattutto dell’Amministratore delegato.

L’interesse dell’azionista di riferimento è che questo passaggio avvenga nel modo più rapido e indolore possibile, così da poter continuare a governare l’azienda decidendone gli indirizzi in altre sedi, meno aperte e democratiche. L’interesse dell’arcipelago dei piccoli azionisti (quando presenti) è quello di arrivare e approvare il punto sui dividendi, cioè sul valore delle azioni in cui hanno investito i loro soldi e, infine, sul “mitico” buffet conclusivo.

Molti di loro vedono l’assemblea come un’occasione di visibilità, nella quale hanno la possibilità di prendere il microfono e adulare l’amministratore delegato o mostrare le proprie conoscenze sull’analisi di bilancio o su altri temi.

 

Il ruolo degli azionisti critici

È chiaro che in questa pax societaria e in questo “cimitero” di democrazia interna all’azienda la presenza degli azionisti critici, attivi e responsabili diventa un mal sopportato elemento di disturbo. In realtà non fanno altro che esercitare un loro diritto-dovere di proprietari – in quota parte – dell’azienda, di “cittadinanza attiva” dentro questa comunità particolare che è l’impresa.

Di più, crediamo che il loro agire corrisponda nello spirito e nella lettera al mandato contenuto nell’art. 41 della nostra Costituzione.

L’iniziativa economica privata è libera”, ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Cosa vuol dire, in concreto, se non il fatto che i cittadini che investono il loro risparmio nelle aziende quotate si rendano protagonisti di vigilare e indirizzare la “propria” azienda in una direzione coerente con questo dettato costituzionale? E, soprattutto, che quando la “propria” azienda devia da questo solco, tutti gli azionisti sarebbero chiamati a intervenire per quanto nei propri poteri a ricondurla dentro questi binari.

 

E il ruolo dello Stato

D’altra parte, prosegue l’art. 41, “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Sarebbe, dunque, anche compito dello Stato svolgere questa funzione. Il dettato costituzionale deve essere garantito tanto più quando lo Stato è l’azionista di riferimento; come nel caso di Eni, Enel e Leonardo, per quanto ci riguarda.

Questo attivismo aziendale da parte dello Stato è rafforzato dall’art. 43 della Costituzione: “A fini di utilità generale, la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. L’interesse generale di cui parla l’art. 43 cosa è se non anche la tutela dell’ambiente e dei diritti umani che sono implicati nelle attività di dette imprese?

E, infine, l’art. 47 della Costituzione: la Repubblica favorisce il “diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”; si trasferisce così all’azionista almeno quota parte di quella responsabilità di indirizzo e controllo verso le finalità sociali delle aziende di cui sono proprietari.

 

L’azionariato critico e la finanza etica

L’azionariato critico consente anche di riflettere sul ruolo dell’azionista nelle imprese quotate e di partecipare alla vita delle imprese in un’ottica di democrazia economica.
In questo senso l’azionariato critico si lega alla finanza etica e a una riflessione sull’uso del denaro.

Essere un azionista non significa unicamente cercare i più alti profitti nel minor tempo possibile, ma in primo luogo diventare comproprietario dell’impresa. Questo implica diritti, ma anche doveri, primo tra tutti quello di partecipare attivamente alla vita dell’impresa.

L’azionista ha il dovere di interloquire con il management dell’impresa che gestisce, di fatto, il suo denaro. E, dal punto di vista della finanza etica, anche il dovere di sapere cosa l’azienda fa con il suo denaro.

Una riflessione particolare vale quando l’azionista di riferimento è lo Stato. Lo Stato, infatti, dovrebbe partecipare direttamente nella compagine sociale di una grande impresa non per massimizzare i ricavi, ma per realizzare obiettivi di sviluppo e di interesse comune. Questo tema è particolarmente rilevante nei casi di Enel, Eni e Leonardo, dove lo Stato è l’azionista di riferimento; o di Acea, nel quale il Comune di Roma è l’azionista di maggioranza.

 

Le contraddizioni dell’azionista Stato

Le contraddizioni che spesso la Fondazione rileva nel comportamento di questo azionista “speciale” dovrebbero essere oggetto di riflessione per tutti gli stakeholder di un Paese.

Se lo Stato, azionista di riferimento di Leonardo che produce anche armi, è lo stesso che ne autorizza la vendita a paesi in conflitto, ciò implica una responsabilità ulteriore del Governo. Così, se lo Stato è azionista di Eni, il cui management è implicato in un caso di corruzione internazionale, la responsabilità del Governo è ulteriore rispetto a quella di indirizzo nelle politiche energetiche.

Non è fuori luogo parlare di partecipazione alla vita delle imprese in termini di democrazia economica nemmeno per le imprese quotate ad azionariato diffuso. Quando infatti il capitale sociale è estremamente disperso, il potere si concentra in modo sproporzionato sui manager e sulla dirigenza. Ma il loro principale obiettivo è spesso di massimizzare il valore delle azioni per assecondare le aspettative degli azionisti di maggioranza.

L’azionariato critico pone l’accento sul ruolo attivo e la responsabilità etica di ognuno dei comproprietari. Diventa così anche uno strumento che permette di migliorare  la partecipazione dei piccoli azionisti e dei cittadini alle scelte delle imprese in campo finanziario.

 

Simone Siliani, Direttore di Fondazione Finanza Etica