azionariato critico Eventi -

Azionariato critico: come il nuovo decreto attacca la partecipazione.

Anche quest’anno realizziamo la quarta edizione del workshop sull’azionariato critico, nel corso di Corporate Governance della prof.ssa Giulia Romano, Facoltà di Economia, Università di Pisa.

Con circa 80 studenti, proviamo a rispondere a domande che fondano la nostra attività di engagement: che cos’è l’azionariato critico? cosa lo differenzia dal semplice dialogo con le imprese? perché lo facciamo, e con chi?

Le persone partecipanti si cimenteranno in gruppi di lavoro, analizzando società su cui Fondazione Finanza Etica esercita azionariato critico e formulando domande sui criteri ESG. Alcune di queste domande, negli anni passati, sono state così pertinenti da diventare parte delle richieste che abbiamo realmente inviato alle imprese durante le assemblee degli azionisti.

L’azionariato critico e il nuovo decreto legislativo

Ma proprio ieri, nel raccontare il nostro lavoro, abbiamo dovuto spiegare anche cosa significa, per noi, trovarsi di fronte a un processo insostenibile. Parliamo dello Schema di decreto legislativo per la riforma del Testo Unico della Finanza (TUF), che introduce un nuovo articolo 125-bis.1 sulle “Modalità di svolgimento dell’assemblea”. Questo decreto, approvato dal Consiglio dei Ministri e che ora deve passare l’iter legislativo in Parlamento, consente alle società quotate di svolgere le assemblee esclusivamente attraverso un rappresentante designato dalla società stessa – senza nemmeno una modifica statutaria, ma per semplice decisione del consiglio di amministrazione.

Una norma che ignora deliberatamente la procedura di infrazione già avviata dalla Commissione Europea (INFR(2025)4004) per il non corretto recepimento della Direttiva sui diritti degli azionisti. Secondo la Commissione, questa pratica viola il diritto degli azionisti di scegliere liberamente i propri rappresentanti e di intervenire all’assemblea, limitando di fatto il dibattito e la partecipazione democratica.

Eppure, il decreto insiste nella stessa direzione, aggravando la violazione: introduce infatti la possibilità di fissare una soglia minima di possesso azionario (fino all’1‰ del capitale sociale) per poter parlare in assemblea. Un sistema che divide gli azionisti in “serie A” e “serie B”: chi possiede abbastanza azioni può esprimersi, gli altri devono tacere.

Un decreto che va contro la Costituzione

È difficile immaginare una misura più lontana dai principi di democrazia economica che la nostra Costituzione, all’articolo 47, richiama con chiarezza, quando afferma che “la Repubblica favorisce l’accesso al risparmio e all’investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”. Ma la parte più grave è che questo schema di decreto estende la stessa logica anche alle cooperative, la forma d’impresa per eccellenza democratica – “una testa, un voto” – consentendo che anche lì le assemblee possano svolgersi per mezzo di un rappresentante designato.

Si tratta dunque non di una semplificazione, ma di un attacco ai principi fondamentali della partecipazione.

Perché gli azionisti – piccoli o grandi che siano – non sono “disturbatori”, ma proprietari in quota parte delle aziende in cui investono. E il diritto di fare domande, discutere e votare è il fondamento stesso di una governance responsabile e trasparente.

Barbara Setti