Azionariato critico, ENI e lo Stato
Azionariato critico, ENI e lo Stato. Quale il ruolo del pubblico? La Costituzione dovrebbe fare da guida.
Se avessimo una tessera ad honorem dell’azionariato critico, questa oggi andrebbe a Luigi Zingales per la sua intervista uscita il 23 febbraio su L’Espresso. Come ex membro del CdA chiama in causa le responsabilità morali e politiche del Governo, azionista di riferimento di ENI.
In particolare nella mancata reazione di fronte alle vicende giudiziarie in cui l’azienda e i suoi vertici sono coinvolti. Si tratta dell’accusa di corruzione internazionale in Nigeria in riferimento al blocco petrolifero Opl 245.
In vista del rinnovo delle nomine dello Stato nelle società controllate, Zingales pone questioni pesanti e di metodo che ci sentiamo di sottoscrivere interamente. A partire dalla necessità che il Governo indichi delle linee guida da seguire nelle società controllate.
In realtà sono cose che andiamo dicendo da anni nella nostra attività di azionariato critico; e che valgono non solo per Eni, ma per tutte le società a controllo pubblico. Nel nostro caso l’azionariato critico è svolto in Eni, Enel, Leonardo, società nelle quali l’azionista di riferimento è lo Stato. Oltre che in Acea, dove l’azionista di riferimento è il Comune di Roma.
Con Zingales concordiamo sul fatto che lo Stato ha diversi profili di responsabilità in Eni. Per esempio il mancato controllo sulle omesse e ritardate dichiarazioni dell’ad Descalzi relative alla normativa sulle parti correlate. Questa omissione attiene agli interessi economici della moglie in una società che prestava servizi a Eni Congo.
Così come la mancata richiesta di chiarimenti e dimissioni al momento del rinvio a giudizio di Descalzi sul caso di corruzione internazionale in Nigeria; esponendo così il paese a un rischio reputazionale enorme.
Ma, in fondo, questo caso pone il tema fondamentale del ruolo dello Stato in queste società. E, per noi, anche del ruolo che ogni azionista può e deve svolgere in esse. In questa riflessione ci guida il dettato costituzionale.
L’art.41 della nostra Carta fondamentale dichiara che “L’iniziativa economica privata è libera“. Ma anche“non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Cosa vuol dire, in concreto?
Che i cittadini che investono il loro risparmio nelle aziende quotate si rendono protagonisti e forse responsabili di vigilare e indirizzare la “propria” azienda in una direzione coerente con questa norma. E, soprattutto, che quando la “propria” azienda devia da questo solco, tutti gli azionisti sono chiamati a intervenire per quanto nei propri poteri.
D’altra parte, prosegue l’art.41, “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” e, dunque, sarebbe anche compito dello Stato svolgere questa funzione. Tanto più, quando lo Stato che deve assicurare questo indirizzo e controllo è esso stesso l’azionista di riferimento di queste società: ad esso spetterebbe di farsi parte diligente per garantire l’effettività del dettato costituzionale.
Questo attivismo aziendale da parte dello Stato è rafforzato dall’art.43 che ammette che “A fini di utilità sociale la legge può riservare originariamente o trasferire … allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.
L’interesse generale di cui parla l’art.43 cosa è, ad esempio, se non la tutela dell’ambiente e dei diritti umani che sono implicati nelle attività di queste società?
E, infine, l’art.47, secondo il quale la Repubblica favorisce “l’accesso del risparmio popolare … al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”, non trasferisce forse in capo all’azionista di queste aziende almeno quota parte di quella responsabilità di indirizzo e controllo verso finalità sociali, contenuta negli articoli precedenti, delle aziende di cui sono proprietari?
Ora, questo insieme di norme evidenzia profili di responsabilità, anche giuridici, ma certamente politici per lo Stato. Esso non partecipa infatti direttamente nella compagine sociale di una società per massimizzare i ricavi, bensì per realizzare degli obiettivi di sviluppo e di interesse comune per la comunità nazionale rappresentata.
Le contraddizioni che spesso Fondazione Finanza Etica nel suo azionariato critico rileva, nel comportamento di questo azionista così “speciale” quale è lo Stato, dovrebbero essere oggetto di riflessione. Non solo per gli stakeholder dell’impresa, ma anche del Paese: per i cittadini elettori e per le istituzioni pubbliche.
Lo Stato, azionista di riferimento di Leonardo che produce anche armi, è lo stesso che ne autorizza la vendita a paesi in conflitto, in violazione della legge 185/90 sul commercio di armi. Ciò implica una responsabilità ulteriore in capo al Governo derivante proprio dall’essere azionista di riferimento di quell’azienda.
Analogamente se lo Stato è azionista di Eni, il cui management viene implicato in un caso di corruzione internazionale, il Governo ha una ulteriore responsabilità rispetto a quella più generale di indirizzo nelle politiche sull’energia e idrocarburi del Paese.
In questo senso non è fuori luogo dire che l’azionariato critico sollecita una riflessione sulla partecipazione alla vita delle imprese in termini di democrazia economica. Infatti, quando il capitale sociale è estremamente disperso, come nel caso delle società quotate italiane, il potere si concentra in modo sproporzionato sui manager e sulla dirigenza.
Ma questi hanno l’unico obiettivo di massimizzare il valore delle azioni al fine di assecondare le aspettative degli azionisti di maggioranza; oltre che di portare a casa retribuzioni personali legate ai risultati economici di dimensioni spropositate.
L’azionariato critico pone l’accento sul ruolo attivo e la responsabilità etica di ognuno dei comproprietari.
È dunque anche uno strumento che permette di migliorare la conoscenza e la partecipazione dei piccoli azionisti e dei cittadini alle scelte delle imprese in campo finanziario. Ma, certamente, chiede all’azionista di riferimento-Stato di assumersi le responsabilità di guida della società, indirizzandola ai fini dell’interesse generale del paese.
Simone Siliani, direttore Fondazione Finanza Etica