Feudalesimo globale
Feudalesimo globale
La strana non morte del neoliberismo e altre storie.
L’ho rivisto di recente I, Daniel Blake, il magistrale film di Ken Loach. Racconta la farsa di uno stato sociale alle prese contro persone in difficoltà. L’accanimento di una burocrazia che sfinisce e umilia con un sistema di sanzioni coloro che, per eventi della vita, fuoriescono dal mondo del lavoro o lo cercano, il lavoro. Siamo nell’Inghilterra della rutilante ricchezza e vivacità finanziaria.
La quinta economia del pianeta. Ma accanto a quello lustrinato c’è un altro paese, un popolo che non si ferma al primo ostacolo ma arranca, nelle lunghe file davanti alle banche del cibo, spesso senza fissa dimora. In uno stato di prostrazione che ricorda le pagine di Dickens. Nel 2018 il ministero della Solitudine è stato istituito per ridurre i suicidi nel paese e Philip Alston, rapporteur dell’Onu su povertà estrema e diritti umani, ha raccontato la devastazione del corpo sociale inglese in un rapporto, impietoso e acuminato come il film. Sono 14 milioni le persone che vivono in povertà (un quinto della popolazione); 1,5 milioni sono indigenti, cioè incapaci di procurarsi l’essenziale. L’Istituto degli studi fiscali parla di bambini a rischio, di un aumento nella povertà infantile del 7% tra il 2015 e il 2022, con proiezioni di espansione al 40%. Invece del luminoso futuro promesso, Brexit potrà solo peggiorare le cose.
Viviamo in società sempre più inique, meno disposte a produrre beni pubblici o a coprire rischi collettivi. I prodotti della ricchezza che continua ad aumentare, indisturbata, premiano una minoranza che si assottiglia e si separa dal resto dell’umanità. Come scrive il filosofo francese Bruno Latour, le élite trincerate nel loro sferzante benessere hanno sospeso ogni pretesa di guidare il mondo. Quello che fanno è nascondersi, barricate dietro i confini dell’egoismo, al massimo per spingere il piede sull’acceleratore dell’espansionismo economico su tutti i fronti, infischiandosene di rispettare gli indispensabili diritti degli accordi internazionali. Perché non credono più all’esistenza di un mondo da condividere.
Ma come siamo arrivati fin qui? La domanda muove la redazione di Mosaico di Pace a concentrarsi sul tema dell’economia, sulle forme di sfruttamento sempre più rapaci che attraversano ogni ambito della vita, delle relazioni tra persone e tra stati. Esemplificazioni di una guerra contro l’umano, che è guerra anche contro il pianeta. Lo ricorda con argomenti inconfutabili la Laudato Si’ di papa Francesco, per noi disamina di riferimento.
Fare mosaico di pace significa indagare le radici di violenza di un sistema che produce disuguaglianza sociale, economica, politica. Disuguaglianze verticali (interne allo stesso ambito) e orizzontali (attraverso i gruppi sociali). Disuguaglianze territoriali e generazionali. Significa comprendere i meccanismi di governance che riproducono il circuito vizioso di ricchezze assiepate nelle mani di pochi, e di precarietà che si diffondono, a pervadere la vita dei più. Significa agire nella consapevolezza che viviamo in un tempo di concentrazione di potere economico, finanziario, legale e tecnologico mai visto prima nella storia – un feudalesimo globale che fa impallidire le circoscritte gerarchie del medioevo. Significa denominare la distruzione della classe lavoratrice. Una comunità, scrive Marta Fana “che aveva in sé un connotato, quello di classe, che si caratterizza per una comunanza di interessi in costante conflitto con gli interessi di chi ogni mattina di sveglia e coltiva il culto della insaziabilità, dell’avidità che si fa potere”. La frammentazione dei processi produttivi e la disintermediazione del lavoro sono solo due giganteschi e dolorosi fenomeni che impongono la costruzione di nuove avanguardie dello sfruttamento, capaci di coinvolgere i lavoratori immigrati della schiavitù agricola e quelli immigrati impegnati nella logistica, accanto ai lavoratori italiani della grande distribuzione e dei servizi pubblici, per far convergere le battaglie che fermentano sui territori, intorno alle singole vertenze: forme distinte della stessa estrazione del valore prodotto dal lavoro.
Eppure, fare mosaico di pace vuol dire molto di più. Significa insistere su un’alternativa che va pensata e progettata, nel solco di decenni di elaborazione teorica e pratica. Oggi come non mai la ricerca sulle economie alternative esige di imporsi, per superare i limiti della buona pratica e farsi politica. Visione comune strutturante che sgorga dall’urgenza del poco tempo che resta. La crisi climatica è la nostra tragica opportunità. Da questa prospettiva politica partiamo, per accelerare l’economia e la società del bene comune.
Nicoletta Dentico, redattrice di Mosaico di Pace
Questo articolo è parte del Dossier “Economie per un futuro del pianeta“, a cura di Nicoletta Dentico e Marco Piccolo, pubblicato sul numero di marzo 2020 della rivista Mosaico di Pace, che ringraziamo per la disponibilità a ripubblicare.