azionariato critico Storie di successo -

Il primo engagement con Fincantieri. Un dialogo poco incoraggiante

 

 

Un dialogo poco incoraggiante

La prima volta di Fondazione Finanza Etica all’assemblea degli azionisti di Fincantieri non è stata molto incoraggiante. La società, di cui siamo azionisti con 100 azioni, per un valore complessivo di circa 50 euro, non ha dimostrato alcuna volontà di intraprendere un effettivo dialogo. 

 

Assemblea a porte chiuse. Per motivazioni incomprensibili

Anche Fincantieri ha usufruito della possibilità offerta dal governo Meloni di svolgere l’assemblea a porte chiuse, cioè in remoto, senza la possibilità di interlocuzione da parte degli azionisti e solo attraverso il rappresentante designato. Ma le motivazioni addotte dall’azienda nel rispondere alle nostre domande sono davvero originali.
A detta del management la scelta è dovuta non solo alle “notevoli difficoltà organizzative connesse a tale modalità”, “ma anche alla luce della necessità di garantire la parità di partecipazione alla seduta assembleare da parte di tutti gli azionisti”. Non prevedendo alcuna reale possibilità di partecipazione, quindi, si garantisce secondo Fincantieri a tutti gli azionisti la possibilità, pari a zero, di partecipare: una uguaglianza al ribasso. Anche se, “in conformità alle best practice, la Società ha previsto che gli azionisti legittimati alla partecipazione all’Assemblea possano
assistere ai lavori assembleari attraverso una piattaforma di streaming passivo”.
Ma “assistere”, nella lingua italiana, non è sinonimo di “partecipare”. 

 

La risposta della Consob

Su questa originale interpretazione della normativa da parte di Fincantieri ha però messo la pietra tombale il presidente di Consob (l’organo di controllo del mercato finanziario italiano), Paolo Savona. In audizione davanti alla Commissione Finanze del Senato ha osservato che svolgere le assemblee esclusivamente tramite il rappresentante designato, come durante la pandemia,

incide sui diritti degli azionisti e sulla partecipazione assembleare e non appare in linea con i principi ispiratori della direttiva Shareholders Right.

 

Le domande sulla governance

Nelle domande circa la governance e, in particolare, sulla scelta di attribuire al presidente della Società Claudio Graziano una serie molto vasta di deleghe esecutive (a nostro avviso una eccessiva concentrazione di potere su questa figura) e sulle competenze dei consiglieri e il mix di competenze nel CdA, è calata una fitta nebbia di parole a vuoto per non rispondere nel merito le domande. Fincantieri sceglie la strada della tautologia.
La domanda: “il fatto che al Presidente del CdA siano state attribuite anche delle deleghe esecutive non rappresenta un elemento di eccessivo potere nelle mani del Presidente stesso?”. Risposta (tautologica): “in data 16 maggio 2022 il Consiglio di Amministrazione, in conformità con quanto fatto dai precedenti Consigli di Amministrazione, ha deliberato di conferire al Presidente Claudio Graziani deleghe riportate nella Relazione sul governo societario e gli assetti proprietari, disponibile sul sito internet della Società”. Una risposta non-risposta.

 

Il modello di business verso il militare

La Società fornisce “non risposte” alle nostre domande sul modello di business e in particolare sulla virata della Società verso il militare. Chiediamo di conoscere la distribuzione dei ricavi, all’interno del prospetto ricavi di Fincantieri SpA, relativo al macro-segmento “Shipbuilding” (71% complessivo) e “Military (31,3%) e ai loro prodotti. Risposta: “la Società non fornisce dettagli”.

Chiediamo, in relazione al Piano industriale adottato, cosa prevede la Società circa la distribuzione dei ricavi e il loro ammontare nei prossimi 2 anni per le diverse aree di business. Chiediamo, di nuovo, l’incidenza dell’area business “military”. Nella risposta solo alcuni dati percentuali. Fincantieri, inoltre, non cita mai la categoria “military”, introducendo invece la categoria “naval”, mostrando di non voler intendere qual era il nostro precipuo interesse: capire se nei prossimi due anni la Società prevede un maggior peso della produzione militare nei ricavi complessivi. Dati che non si ricavano con chiarezza  dal Piano industriale 2023-2027, al quale pure la Società fa continuo rinvio nelle sue “non risposte”.

 

La Politica di Remunerazione

Stessa musica nelle domande sulla Politica di Remunerazione. Chiediamo, tradizionalmente in tutte le società che ingaggiamo, attraverso quali parametri è misurato il raggiungimento degli obiettivi prefissati per accordare (o meno) la parte dell’incentivo variabile della retribuzione del Presidente del CdA. La risposta di Fincantieri è: “Gli obiettivi sono misurati in ragione di specifici indicatori predeterminati e saranno oggetto di valutazione da parte del Comitato per la Remunerazione e del Consiglio di Amministrazione”. Facendo finta di non capire la domanda: abbiamo chiesto quali sono questi indicatori, non se esistono.

Lo stesso accade per la domanda sul peso degli indicatori individuati per la remunerazione dell’Ad e del Direttore Generale. Noi chiediamo quanto pesano gli specifici indicatori e la Società risponde che prestano costante attenzione all’indice di sostenibilità.

Nessuna risposta sulle domande relative agli infortuni sul lavoro.

 

Le fregate vendute all’Egitto

Sulle domande sulle fregate militari classe FREMM prodotte e vendute da Fincantieri all’Egitto abbiamo, finalmente, fra le righe, alcune notizie. La Società ha venduto le unità FREMM al governo egiziano a un prezzo superiore a quello originariamente previsto dal contratto originario verso la Marina Militare Italiana. Perché? Perché nei documenti programmatici della Marina Militare Italiana era prevista anche una quota relativa al supporto logistico che, non essendo incluso nel contratto di vendita verso l’Egitto, va espunta. Naturalmente ogni altro dettaglio viene negato in quanto “elementi sensibili” dal punto di vista contrattuale. Tuttavia conferma Fincantieri che “potrebbero” esserci nuove iniziative commerciali del genere verso l’Egitto, che si conferma ottimo cliente per l’industria militare italiana, nonostante la non splendida performance in termini di diritti umani del paese di Al-Sisi.

La Società risponde blandamente, mostrando la solita tabellina utilizzata per altre domande, che prevede di spostare nel prossimo triennio la produzione su sistemi militari, rispetto a quello civile. E indica fra i principali clienti esteri di Fincantieri per il prossimo futuro gli USA, il Qatar e l’Arabia Saudita. Anche se non fornisce alcuna informazione circa gli introiti dall’export.

 

Ma se nella complessa arte della tautologia e del depistaggio la Società si è dimostrata maestra, dovrà comunque accedere a un confronto diretto. Fondazione Finanza Etica infatti farà richiesta di avviare un dialogo, secondo le modalità stabilite dalla policy di Fincantieri.
Perché il nostro engagement non si esaurisce nel momento topico dell’Assemblea degli Azionisti; si svolge infatti durante il corso dell’anno, alla ricerca non solo di informazioni, ma anche di una collaborazione leale per costruire un profilo più rispettoso dei criteri ESG, particolarmente delicato per un’azienda che costruisce ed esporta armi. Un Made in Italy di cui non sentiamo francamente bisogno.


Simone Siliani