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L’Italia non ripudia la guerra

Le spese militari al 2% del PIL

La diretta conseguenza del discorso di guerra pronunciato da Draghi il 1° marzo al Senato è stata l’approvazione il 16 marzo dell’Ordine del giorno alla Camera dei Deputati. Il Governo così si impegna all’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2% del PIL. L’atto di indirizzo è stato proposto dalla Lega, sottoscritto dai deputati di Pd, Iv, M5S e FdI. Oltre, quindi, il perimetro della maggioranza: è stato votato infatti da 391 deputati su 421. I 19 voti contrari sono di Fratoianni e Stumpo, gruppo LeU; anche se LeU si è astenuto. A questi si aggiungono, tra i componenti del Gruppo Misto: 6 di Alternativa; 1 dei Radicali; 3 di Potere al Popolo; 2 dei Verdi Europei; 1 di Forza Italia; 1 dei 5 Stelle; 2 non iscritti a componenti. Su tutto il resto una coltre grigia di conformismo, come si confà ai tempi di guerra. Il dettaglio dei nomi dei votanti si trova qui.

L’Osservatorio MileX ha chiarito come questa indicazione di raggiungere la spesa del 2% del PIL derivi da un accordo del 2006 fra i Ministri della Difesa dei paesi Nato; accordo confermato, nel 2014, in Galles dal vertice dei Capi di Stato e di Governo. In quel vertice si era specificato che il 20% della spesa doveva essere dedicata a nuovi sistemi d’arma.

 

Che tipo di decisione è stata presa?

Con questo voto in Parlamento si compie un salto di qualità rispetto alle decisioni maturate fra il 2006 e il 2014. In primo luogo si dà una motivazione specifica di tipo militare per questa crescita della spesa. Con la guerra in Ucraina, peraltro,  l’opinione pubblica è più disponibile a un incremento di spesa, calcolato nell’ordine di 13 miliardi l’anno. Allo stesso tempo, però, questa decisione si allontana da vere motivazioni di sicurezza. L’incremento (variabile) della spesa pubblica è vincolato a un parametro che comprende la produzione di ricchezza privata (PIL); questo però avviene indipendentemente da una valutazione delle effettive esigenze della spesa militare.

Si afferma che l’aggressione russa all’Ucraina ha compattato l’Europa, spingendola finalmente a costruire una difesa comune. Ma, paradossalmente, si parte dal fondo di questo progetto. Viene stabilito infatti un aumento di spesa militare di uno dei paesi della Ue senza che questa abbia neppure abbozzato un progetto concreto di difesa comune, tanto meno un progetto approvato dagli Stati membri. Si tratta, nella sostanza, di un regalo generoso a scatola chiusa alle industrie del settore militare. 

 

Se vuoi la pace, prepara la pace

La sentenza latina si vis pacem, para bellum trova dunque qui la sua celebrazione. L’aumento delle armi prodotte e in circolazione è la migliore garanzia che prima o poi queste armi da qualcuno verranno effettivamente usate.

Peraltro, ciò è contrario all’accordo Minsk II del 2015 tra Francia, Germania, Russia e Ucraina, per stabilizzare il Donbass. Fra i vari punti, infatti, l’accordo prevedeva la completa demilitarizzazione dell’area; il disarmo e la smobilitazione delle milizie filo-russe; il ritiro dei combattenti volontari russi; la limitazione delle truppe ucraine nell’area.

 

Le industrie belliche ottime clienti della banche

Invece questa scelta alimenta un circuito economico sempre più innervato sulla produzione bellica. Di cui, oltre alle industrie produttrici, beneficeranno gli istituti finanziari. E sappiamo bene che le industrie sono ottime clienti delle banche, perché offrono garanzia di solvibilità, essendo finanziate dallo Stato. Non solo: nei casi di Leonardo e Fincantieri sono anche partecipate, dallo Stato. Solo per inciso, fra i gioielli di Fincantieri troviamo Submarine S1000, prodotto in partnership con la russa Central Design Bureau for Marine Engeneering “RUBIN”. 

13 miliardi in più all’anno nel bilancio della Difesa sono una manna anche per le banche e gli istituti finanziari di cui l’industria militare è prezioso cliente. Non di tutti, però.

 

La finanza etica rifiuta ogni finanziamento alla produzione e al commercio di armamenti

Il Gruppo Banca Etica esclude dal proprio universo finanziabile e investibile l’industria della difesa. I fondi di Etica Sgr non investono in titoli di debito russi, bielorussi o ucraini; anche nell’azionario, la Sgr non investe nelle aziende russe e bielorusse. Il processo di selezione rigorosamente passa un doppio screening per individuare i Paesi più virtuosi dal punto di vista socio-ambientale e le aziende più attente alla sostenibilità e al benessere collettivo.

Nella nostra accezione di sostenibilità il tema del rispetto dei diritti umani e civili è importante tanto quanto quello del rispetto dell’ambiente; per questo i paesi come quelli attualmente in conflitto sono fuori dall’universo investibile.

 

La sostenibilità della finanza che include gli armamenti

Non è un fatto scontato: società e banche che si dicono “sostenibili” non si fanno grandi problemi, infatti, a includere gli armamenti nelle loro attività tipiche. Fondazione Finanza Etica da anni svolge azionariato critico verso l’italiana Leonardo e la tedesca Rheinmetall. In assemblea denunciamo l’incongruità dell’eccessivo sbilancio verso il settore militare ai danni di quello civile; oltre al coinvolgimento in transazioni di armi verso paesi belligeranti (Arabia Saudita) o in aperta violazione dei diritti umani (Egitto)

Gli amministratori delegati delle due aziende hanno di recente spiegato il loro concetto di sostenibilità e testimoniato il cambiamento del clima. Alessandro Profuno (Leonardo) spiega che “la difesa è un elemento della sostenibilità e deve essere riconosciuta come tale. Senza sicurezza non si può avere sostenibilità” (Il Sole 24 Ore, 11.3.2022). Armin Pappenger (Rheinmetall) dichiara che “alcuni mesi fa la gente voleva metterci al bando, per dire che questa industria è molto cattiva e dannosa. Adesso il mondo è totalmente diverso” (il Fatto Quotidiano, 14.3.2022).

Non sarà così difficile trovare istituti finanziari che, definendosi sostenibili e responsabili, non si faranno scrupoli a finanziare queste aziende. E, forse, con un po’ di buona volontà e molta attività di lobby, magari anche il settore della difesa potrà rientrare nella tassonomia sociale e ambientale della Ue, così come vi è entrata la produzione di energia dal nucleare e dal gas.

Ecco, forse anche da questo si può comprendere la differenza che esiste fra la finanza etica e la finanza sostenibile

 

Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica