Mancini d’Arabia
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Fausto Biloslavo oggi su il Giornale, insieme a molti altri commentatori, si indigna giustamente sullo stratosferico ingaggio dell’ex CT azzurro Roberto Mancini in Arabia Saudita. Lo fa mettendo in rilievo la contraddizione fra le precedenti affermazioni e impegni di Mancini a favore dei diritti umani (bambini e immigrati) e l’efferatezza del regime di Riad proprio su questo terreno. Sacrosanto!La recente uscita del rapporto di Human Rights Watch dell’eccidio compiuto dall’esercito saudita ai confini dello Yemen contro gli immigrati etiopi è solo l’ultima delle nefandezze di quel regime.
Ma quella di Mancini non è neppure l’ultima né la più grave delle incoerenze italiane nei confronti di Riad.
La fine dell’embargo del commercio di armi verso l’Arabia Saudita
Forse è sfuggito a molti che il Governo guidato da Giorgia Meloni ha di recente sollevato il precedente embargo, decretato dal Governo “Conte 1” su indirizzo del Parlamento, sul commercio di armi verso l’Arabia Saudita.
È utile rinfrescare la memoria ai distratti.
Nel luglio 2019, il Governo italiano adottò una risoluzione votata dal Parlamento italiano. La risoluzione sospendeva le licenze di esportazione di bombe e missili verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti per 18 mesi. Infatti la L.185/90 fa (o, meglio, farebbe) divieto al nostro paese di commerciare armi ”verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite… (art.1, co.6 lett a). L’Arabia Saudita, infatti, era a capo di una coalizione di Stati arabi nella lunga e devastante guerra nello Yemen. Nella quale l’esercito di Riad aveva usato bombe acquistate dall’italiana RWM, con sede a Brescia e stabilimento produttivo a Cagliari.
L’embargo è durato poco meno di quattro anni perché il 17 aprile il Governo di Giorgia Meloni ha deciso di sollevare l’embargo. Con una doppia motivazione: sia perché l’impegno militare saudita in Yemen era cessato, sia perché “sembrano esserci segnali promettenti sul raggiungimento di un qualche accordo di pace che ponga fine alla guerra”.
Una decisione incauta
A noi di Fondazione Finanza Etica è sembrata subito una decisione incauta. Prima di tutto perché la tregua non è la pace. Inoltre, vendere armi (di qualunque tipo) a un paese responsabile di una guerra lunga oltre 7 anni che si trova in una situazione di tregua e il cui regime non è cambiato, non è forse questo un incentivo ad usarle di nuovo? Infine, esiste la lettera d) del citato co.6 dell’art.1 della legge 185/90 che vieta il commercio di armi “verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani”. E, allora, come la mettiamo con quella serie di sistematiche violazioni di tali diritti compiute dal regime saudita che oggi Biloslavo e gli altri condannano dalle colonne dei giornali italiani?
L’azionariato critico di Fondazione Finanza Etica
Nella nostra qualità di azionisti critici di imprese che si dedicano alla produzione e commercio di armi – quali Rheinmetall (il colosso tedesco proprietario dell’italiana RWM), Leonardo SpA, Fincantieri SpA e ThyssenKrupp – abbiamo a più riprese chiesto conto di questo commercio di morte.
Le risposte sono state più varie: da chi rispondeva che l’azienda non aveva venduto bombe da aereo (oggetto dell’embargo governativo, secondo una interpretazione riduttiva e sbagliata della legge) all’Arabia Saudita bensì altro materiale d’armamento (Leonardo SpA); a chi ha detto che pur vendendo armi all’Arabia Saudita sotto regolare licenza rilasciata dal Ministero degli Affari Esteri italiano, l’azienda “ha adottato una policy sui diritti umani e ribadisce il proprio impegno, nello svolgimento delle proprie attività, a rispettare e promuovere i diritti umani” (sempre Leonardo SpA); fino ad altri che orgogliosamente dicono che sono fornitori delle maggiori marine militari estere tra cui l’Arabia Saudita (Fincantieri SpA).
Ecco, il Governo Meloni, campione di coerenza, ha risolto il problema a tutti sollevando l’embargo e permettendo la ripresa di questo allegro e remunerativo commercio del Made in Italy di guerra.
Il problema sono i 25 milioni?
E ora tutti a stracciarsi le vesti per i 25 milioni del nuovo CT Roberto Mancini. Senza voler giustificare l’avido e incoerente allenatore, come può l’Italia discutere allo sfinimento di questo iniquo stipendio a Mancini, versato da un paese che ignora ogni diritto della persona, quando il governo italiano dà un simile esempio?
E, poi, la stampa libera può ignorare l’incoerenza del Governo, puntando il dito accusatore su Mancini: indicare la luna, guardando il dito, si direbbe.
Simone Siliani