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Nuove città

Smart cities, urban green ed economia di aggregazione: quando le comunità organizzano le alternative.

Il 22 gennaio 2020 la Commissione Europea Energia ha approvato la quarta Lista dei Progetti di Interesse
Comune (Pci) che la Banca Europea degli Investimenti è chiamata a finanziare nel prossimo biennio in Italia.
Una buona notizia. Che cosa ci troviamo, fra i progetti di interesse comune su cui punta l’Europa? Leggo con
cura, e resto senza parole. Ci trovo il raddoppio di Tap, l’interconnessione Tap/Snam Melendugno Brindisi, il nuovo gasdotto Poseidon che approderà a Otranto, il gasdotto Matagiola-Massafra, la Rete Adriatica Snam tra
Foligno e Sulmona, il Piano Regionale Territoriale (Prt) di Sulmona e il gasdotto Galsi tra Algeria e Sardegna, per la metanizzazione dell’isola.
Più che di interesse comune, questa lista appare il prolungamento di un gioco al massacro sul territorio italiano. Quel che è peggio, questa lista è una sonora smentita a tutti i propositi verso una nuova economia verde e sostenibile da parte dell’Italia, formulati dopo il varo della legge di bilancio. La prova che il governo non ha capito, o non vuole proprio capire, che il riscaldamento climatico si abbatterà sull’Italia con particolare virulenza, vista la posizione geografica e la peculiare conformazione della nostra penisola, e che occorre una vera conversione economica per proteggere il territorio e impedire che il peggio avvenga. Invece, ci si riempie la bocca con la storia del Green New Deal, ma la pulsione fossile ha ancora la meglio. Contro ogni ragionevolezza. La Lista dei Progetti di Interesse Comune cozza fragorosamente con gli accordi di Parigi, con la politica di decarbonizzazione dell’European Green Deal (Egd) appena approvato, con la dichiarazione di emergenza climatica varata dal Parlamento europeo. Che fare?

 

Città intelligenti

Non se ne esce proprio, in questa dialettica fra governi e istituzioni europee? Invece, passata la prima ondata
di depressione, è possibile immaginare un’agibilità di reale interesse comune a partire dai territori, percorsi
che valorizzino le specificità e potenzialità locali che sempre esistono, solo che si vogliano riconoscere? Le
piste di lavoro ci sono, eccome, ma faticano a decollare! Meritano la nostra speciale attenzione come interstizi
concreti di mobilitazione, per declinare da subito iniziative locali volte a contrastare i colossali danni prodotti da politiche restie al cambiamento di rotta che urge.
Qualche esempio?

Partiamo dalle smart cities, le città intelligenti che da qualche anno spuntano in diverse parti del mondo. Le
città intelligenti interpretano una rilettura strutturale del contesto urbano non solo alla luce della innovazione digitale (il cosiddetto “internet delle cose”), ma anche della sostenibilità e soprattutto della qualità della vita delle persone. Parliamo di città, ma la nozione si applica a quartieri e piccole realtà, perché è la visione che conta. Ci sono quattro pilastri fondamentali su cui si può avviare un cammino di trasformazione dalla gestione tradizionale del luogo di vita – spesso, ne abbiamo esperienza diretta, una gestione nel segno della cementificazione, dello sfruttamento economico ovvero del totale abbandono – a una amministrazione intelligente.
Questi elementi sono la riduzione dei consumi energetici; l’ottimizzazione dell’uso dell’acqua e della raccolta
dei rifiuti; il miglioramento e potenziamento dei trasporti pubblici; la riduzione del degrado urbano. È una filosofia diretta dalla funzione pubblica (l’ente locale nelle sue diverse ramificazioni) e improntata all’interesse
comune, che implica una collaborazione ordinata con il settore privato, lavorando su mobilità, sviluppo economico, salute, energia, sicurezza.
Così da ridurre l’impronta della città su ambiente e produzione di inquinamento. Così da favorire la riqualificazione del tessuto immobiliare e la ricostruzione del tessuto sociale. Non esiste, infatti, un’azione a beneficio dell’ambiente che non abbia vantaggi anche sulla qualità della vita delle persone.
Essenziale a questo nuovo modo di vivere la città, lo sanno gli enti pubblici che si sono cimentati con percorsi
di smart city, è il coinvolgimento di quanti abitano la città. I cittadini non devono più essere meri utilizzatori
ma co-progettisti della città (progettazione partecipata), e co-produttori di servizi rispondenti ai bisogni reali, con forme di compartecipazione grazie alle nuove infrastrutture di informazione e comunicazione (es. consultazione on-line tramite i social-network), oltre alle forme più tradizionali di governo partecipato.
Utopia, o processo realistico di democrazia?

 

Esempi

Esistono esperienze illuminanti da cui imparare molto.
Penso a Linz (Austria), dove la costruzione di una città
solare ha fornito il pretesto per ripensare un progetto di partecipazione sociale e integrazione ambientale.

 

Hammarby Sjostad

Hammarby Sjostad, Foto di Hans Kylberg

 

Penso a Hammarby Sjostad, un vecchio quartiere industriale di Stoccolma del tutto trasformato grazie alla bonifica dei terreni che ha poi favorito edilizia sostenibile, trasporti intelligenti, energie rinnovabili e costruzioni di nuove comunità urbane.

C’è Beddington, a sud di Londra, oggi quartiere completamente ecocompatibile.

Realtà concrete, ripensate nel solco di valori come inclusione, interazione, qualità, efficienza. Ma non serve
andare fuori Italia: belle iniziative si incontrano anche a Bologna, Torino, Genova.
Secondo i dati dell’Osservatorio nazionale Smart City, il 48% dei comuni italiani ha avviato almeno un progetto
Smart City negli ultimi tre anni, anche se il 63% del totale delle iniziative è ancora in fase sperimentale.
Siccome i fondi pubblici ci sono e sono in aumento, soprattutto in Europa, vale la pena orientarli in questa
direzione senza indugio. Gli indicatori dell’economia e del clima ci dicono che non c’è tempo da perdere.

Urban Green è il mobilitante progetto della città di New York volto a ridurre le emissioni di Co2 dell’80%
entro il 2050, attraverso una “grande opera” di riconversione edilizia per il risparmio energetico, e nuove strategie di riqualificazioni e riutilizzo degli immobili secondo stardard ecocompatibili per housing sociale e sostegno alle fasce meno abbienti della popolazione. Urban Green sta trasformando il volto della Grande Mela con i suoi orti urbani, i tetti giardini, la neo-umanizzazione di spazi e strutture abbandonate attraverso il verde di piccole coltivazioni gestite da giovani e anziani, piantificazioni cittadine, partecipazioni agricole per la creazione di nuovi mercati urbani di filiera corta, su cui imbastire l’educazione al cibo e l’alternativa alla grande distribuzione.
Si tratta di una colossale impresa culturale e di risocializzazione, prima ancora che di riconversione ambientale e urbana. Se succede a New York, si può replicare altrove, no?

 

Aggregazione

Infine, tanto per non perdersi d’animo, avete mai sentito parlare di economia di aggregazione?
Un’idea di economia che punta in origine a superare la frammentazione tra le piccole imprese, per permettere una più feconda interazione tra attività imprenditoriali complementari, sulla scena del mercato. Più interessante ancora è questa idea applicata all’associazione di territori limitrofi secondo appunto una visione
di complementarietà, come nel caso di Nizza Metropoli.
Nato con un investimento pubblico di 100 milioni di euro e 400 milioni di investimenti privati, Nizza Metropoli
è un euroterritorio di 49 comuni che hanno unito i loro bilanci (1,5 miliardi di euro) per ideare una nuova economia comune e una rete di collegamento che allarga le possibilità professionali e di vita delle persone. Gestito dal Consiglio della Metropoli, condivide i costi economici della gestione pubblica ed è riuscito a ripianare i conti degli enti locali più in difficoltà, con iniziative di riqualificazione che hanno prodotto lavoro, turismo responsabile e il recupero di attività artigianali a rischio di estinzione.

Un caso di economia di aggregazione in via di studio, in Italia, riguarda la costruzione di una città policentrica
fra Bari e Taranto. Qui vivono 2 milioni di persone. Qui insistono due porti, centri di ricerca, università, una
rete di piccole e grandi città, un distretto tecnologico aerospaziale. Un’area ricca di cultura e potenzialità che
potrebbe ridefinire la propria identità grazie a trasporti pubblici efficienti, una rete di attività interconnesse, l’ideazione di percorsi di economia sostenibile, per attirare le giovani competenze che oggi emigrano. Senza dubbio, un progetto di interesse comune da perseguire, per i prossimi anni: magari anche nell’ottica della riconversione di Ilva.

Sarà per la prossima lista?

 

Nicoletta Dentico, redattrice di Mosaico di Pace

 

Questo articolo è parte del Dossier “Economie per un futuro del pianeta“, a cura di Nicoletta Dentico e Marco Piccolo, pubblicato sul numero di marzo 2020 della rivista Mosaico di Pace, che ringraziamo per la disponibilità a ripubblicare.

 

Foto in testata: Beddington “BedZed”. Foto di Sutton Film Office