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Per fare una CSA ci vogliono partecipazione, solidarietà e fiducia

Una ricerca, in corso di realizzazione e sostenuta da Fondazione Finanza Etica, indaga l’esperienza delle CSA – Comunità di Supporto all’Agricoltura. I risultati del Progetto NUMES.

 

Le Comunità a Supporto dell’Agricoltura (CSA) sono un’esperienza di economia solidale. Sono comunità che, seguendo i principi di autorganizzazione non gerarchica e di solidarietà, autoproducono cibo sano, locale e sostenibile. Si tratta di progetti vivi e attivi in diverse parti del territorio Italiano e rappresentano un fenomeno in rapido aumento.

Il Progetto NUMES parte dall’assunto che in un contesto economico come l’attuale, in cui l’emergenza economica, sociale e civile sta rendendo sempre più evidenti ed esasperando le crisi, l’economia solidale possa essere uno strumento di contrasto a questa crisi, diffondendo un approccio rivolto al rispetto e al sostegno reciproco.

Per questo ha iniziato a indagare le Comunità di Supporto dell’Agricoltura, perché riconosce nelle CSA una pratica virtuosa non solo sul piano economico e ambientale, ma anche su quello della giustizia sociale e del rispetto del diritto al cibo e alla sovranità alimentare.

 

I risultati della ricerca del Progetto NUMES

Ne parliamo con Alessandra Piccoli e Adanella Rossi, coordinatrici della ricerca. Alessandra Piccoli è ricercatrice presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bolzano, Adanella Rossi è professoressa associata al Dipartimento di agricoltura, cibo e ambiente dell’Università di Pisa.

Adanella, qual è il punto di vista metodologico della ricerca?

Abbiamo realizzato una ricerca partecipativa. Non ci interessava solo approfondire il tema della CSA, conoscerle meglio, ma soprattutto coinvolgere le Comunità partecipanti della ricerca, perché non si sentissero solo un oggetto di studio, ma un soggetto propositivo.

Quante sono le comunità e come le avete coinvolte?

All’indagine hanno partecipato dodici Comunità, censite attraverso la Rete Nazionale Italiana delle CSA. Abbiamo inviato due questionari online, uno destinato a un referente per ogni Comunità e uno a tutti i soci che partecipano alla CSA. Ai questionari sono state affiancate dodici interviste a completamento della raccolta di informazioni.

Siete in grado di anticipare qualche risultato?

Sì, perché il progetto è decisamente a buon punto. Abbiamo concluso questa fase della ricerca, che ha evidenziato come le CSA operino prevalentemente in ambito urbano e periurbano e come la totalità delle CSA analizzate sono costituite da persone che vivono in questo ambito. In coerenza con le motivazioni di fondo, dunque, queste Comunità si sviluppano in un ambiente più urbano che rurale.

Qual è la storia di queste esperienze di economia solidale? Sono un fenomeno recente? 

La prima realtà italiana risale al 2010 e poi, goccia a goccia, ne segue un’altra nel 2012 e una terza nel 2013. Tuttavia, la maggioranza delle CSA italiane censite è nata tra il 2017 e il 2018.

È interessante anche capire da chi è venuta la spinta. Alessandra, questa spinta è partita dal mondo agricolo, cioè dai produttori, o ha risposto soprattutto a una esigenza dei “consumatori”?

A prendere l’iniziativa in sei casi su dodici sono stati gli agricoltori, ci dice la ricerca; dei restanti, 4 casi sono costituiti da un gruppo di consumatori e in due casi si è trattato di una iniziativa congiunta, parte di un percorso di economia solidale più ampio, all’interno di un Distretto di Economia Solidale, cioè reti locali che collegano le realtà di economia solidale di un territorio, e quindi Gas, produttori e fornitori, associazioni, in circuiti di idee, informazioni, prodotti e servizi.

Mi dicevi che avete fatto una mappatura delle parole chiave che, nell’opinione dei referenti, definiscono queste Comunità.

La prima parola è partecipazione e, a seguire, solidarietàfiducia. Sono questi gli elementi fondamentali dell’esperienza. Per chi ha promosso la nascita delle CSA risulta molto importante la solidarietà reciproca, meno il garantire accesso al cibo locale e biologico.

Cioè?

In molti casi la nascita della CSA è legata all’evoluzione di uno o più GAS, o comunque di quel modello, con il desiderio di arrivare a un rapporto più stretto, responsabile e di maggior supporto nei confronti di chi coltiva. La forma organizzativa di queste Comunità è sostanzialmente quella della cooperativa o dell’associazione di promozione sociale.

Che dimensioni hanno le singole Comunità?

Il numero di soci/famiglie varia fortemente, come anche quello degli agricoltori, che dipende dal numero delle famiglie. Ci sono CSA di piccole dimensioni, composte da 10-20 soci, fino alle più numerose, che ne contano tra 150 e 200.

Adanella, ci descrivi i principi economici su cui si strutturano?

Il costo annuale di una fornitura per 10-12 mesi l’anno si aggira tra i 400 e gli 800 euro, con costi minori per le CSA che non consegnano costantemente. Il valore economico prodotto dalle Comunità varia, conseguentemente, in modo significativo: da poche migliaia a centinaia di migliaia di euro.

Un elemento peculiare di solidarietà tra i soci è la cosiddetta “asta a offerta libera”: i costi complessivi di produzione, valutati sul bilancio preventivo, sono ripartiti tra i soci a partire da un’offerta libera dei singoli. In questo modo si consente di partecipare secondo le proprie effettive possibilità economiche. Questa modalità è applicata da 4 su 12 CSA indagate.

Sarebbe interessante un approfondimento sul modello di governance. Quali sono gli elementi che emergono dalla vostra ricerca?

In coerenza con l’importanza attribuita alla partecipazione, alle attività della Comunità partecipano anche i soci, a titolo di volontariato. I ruoli sono diversi: da quelli strettamente legati alle attività di campo (coltivazione, raccolta) a quelli legati alla logistica (preparazione delle cassette, distribuzione) a quelli di carattere gestionale (amministrazione, comunicazione). L’impegno è molto variabile, da poche ore all’anno a molte ore ogni settimana, secondo disponibilità e piacere.

In generale, la governance delle CSA è inclusiva, democratica e basata su metodi consensuali. L’organizzazione delle attività è fondata sull’adesione volontaria a gruppi di lavoro e solo raramente gestita da un direttivo nominato o eletto.

Quali sono le relazioni con le comunità e i territorio?

L’interazione con l’esterno è variabile. In generale, sono Comunità che sentono di non avere un ruolo politico forte, sebbene lo riconoscano in potenza. Si riconoscono, invece, come attori in ambito agricolo, alimentare e sociale.

E per quanto riguarda i consumatori? Alessandra, da cosa sono mossi, quali i loro bisogni?

Le motivazione sono legate ad avere prodotti biologici, locali ed etici, ma anche una generica condivisione del progetto e il desiderio di sostenere un modello agricolo biologico, ecologico e solidale. La maggioranza di chi ha risposto al sondaggio svolge un ruolo attivo nella sua organizzazione, come volontario.

Tra i bisogni evidenziati, mi sembra importante sottolineare come la partecipazione a queste pratiche di Comunità abbia fatto crescere significativamente la loro consapevolezza riguardo sia alle pratiche agricole alimentari sia, e ancora di più, alla dimensione sociale e relazione della filiera agro-alimentare.

Vorremmo capire qualcosa sul campione socio-demografico. Sono scelte per persone abbienti? I giovani sono coinvolti?

La maggioranza delle famiglie aderenti è composta da 2-4 persone. Se è vero che il 54% si dichiara in condizioni economiche soddisfacenti, il 30% dice di essere in condizioni modeste, a riprova che non è un modello elitario. Sono invece minoritari i giovani, sia single che in coppia, con o senza bambini: il 65% dei rispondenti è composto da persone mature.

Quali conclusioni avete tratto, in sintesi?

La solidarietà verso gli agricoltori e tra consumatori emerge come un cardine del modello, che si affianca alla ricerca di cibo sano, locale ed ecologico. Le difficoltà nel mantenere stabile l’equilibrio economico e dare, quindi, sostenibilità all’innovatività del rapporto si affiancano alle sfide della dimensione sociale che, seppur fondamentale, richiede tempo e cura.

L’agricoltura supportata dalla comunità è, in Italia come altrove, una sfida, spesso consapevolmente politica, al sistema di mercato e alle sue logiche.

Quanto sia in grado di consolidarsi e offrire una reale alternative lo dimostrerà negli anni a venire.

 

Gli autori e le autrici del Progetto NUMES

Il progetto è coordinato dall’Area Nord-Est di Banca Etica e promosso dalla cooperativa Arvaia, in collaborazione con la Rete Italiana delle CSA, le associazioni Defeal e Ortazzo e l’azienda agricola Podere alla casetta. Il supporto scientifico è a cura delle Università di Bolzano, Pisa e Urbino.

 

Il progetto Portatori di Valore

Fondazione Finanza Etica gestisce un fondo liberalità assegnatole da Banca Etica e costituito da una percentuale degli utili dell’anno precedente, che prevede che una parte del fondo sia destinato al sostegno di progetti proposti dai Portatori di Valore o con loro direttamente co-progettati.

Il Progetto NUMES è stato presentato dall’Area Centro insieme ai Soci Lavoratori di Banca Etica.

I cosiddetti Portatori di Valore di Banca Etica sono costituiti dai seguenti stakeholder:

– le 5 aree territoriali (centro, nord-est, nord-ovest, sud e Spagna), che nascono dalla volontà della Banca di dare voce alle istanze locali e, contestualmente, sviluppare un’azione più radicata e coordinata sul territorio;

– i soci del Tavolo di Riferimento, costituito dalle seguenti realtà, alcune delle quali hanno contribuito a fondare la Banca: Acli, Agesci, Arci, Associazione Botteghe del Commercio Equo e Solidale, Aiab, Cgm (Consorzio Gino Mattarelli), Cisl, Cooperativa Oltremare, Cooperazione Terzo Mondo (Ctm-Altromercato), Fiba Cisl, Emmaus Italia Gruppo Abele, Mag2 Finance Milano, Mag Venezia, Mani Tese, Overseas, Uisp;

– lavoratori e lavoratrici del gruppo bancario Banca Etica e della Fondazione Finanza Etica, Fundación Finanzas Éticas, soci di Banca Etica.

 

Gli altri progetti sostenuti per la valorizzazione delle aree interne

L’Area Centro, insieme ai Soci Lavoratori, ha presentato il progetto COM-RES, ricerca-azione sulle aree interne resilienti. L’Area Nord-Ovest il progetto “Seminare comunità“, per la creazione di nuove comunità a presidio dei territori montani.