La Fondazione a Trieste all’assemblea di Fincantieri
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Il direttore di Fondazione Finanza Etica ha presentato all’amministratore delegato di Fincantieri in presenza a Trieste le domande degli azionisti critici sull’impatto strategico delle politiche della società nel settore militare e sulle condizioni lavorative nei cantieri veneti
Ascolta le impressioni a caldo di Simoni Siliani dopo il confronto in assemblea con Fincantieri
Almeno un avvio di dialogo c’è stato con Fincantieri. Complice anche lo svolgimento dell’assemblea in presenza e non soltanto attraverso il rappresentante designato, ovvero “a porte chiuse” in faccia agli azionisti, come prevede la normativa voluta dal governo Meloni per non disturbare il manovratore e per comprimere gli spazi di democrazia d’impresa e i diritti degli azionisti. Fincantieri è stata l’unica fra le grandi imprese quotate partecipate dallo Stato a scegliere questa modalità. Così è stato possibile guardarci in faccia, conoscersi, parlarsi, anche se non ci siamo intesi. Ancora. Quanto meno si è potuto apprezzare da parte dell’impresa che gli azionisti critici non lo sono per partito preso, ma perché sono davvero preoccupati del futuro e della reputazione della “propria” azienda.
La crescita di Fincantieri nel settore militare e sue implicazioni reputazionali
Fincantieri ha imboccato da qualche anno una per noi pericolosa china verso il settore militare. I dati di “SIPRI Top 100” riferiti alle maggiori imprese produttrici di armamenti del mondo, dimostrano che Fincantieri ha registrato una crescita costante della percentuale militare del proprio fatturato: dal 30% del 2018 al 36% nel 2022. Il piano industriale della società prevede un ulteriore incremento di questo settore fra il 25% e il 35% entro il 2025.
Per noi è sbagliato e pericoloso rispondere con un aumento degli arsenali militari alla crescente instabilità globale e alle guerre ai confini dell’Europa. Ma è un errore anche dal punto di vista delle strategie aziendali. Quello militare è infatti un settore industriale molto volatile, sia dal punto di vista produttivo che da quello finanziario. È un settore fortemente esposto a rischi di corruzione e con impatti generalmente ridotti sull’occupazione, in quanto a bassa intensità di lavoro. Infine, produrre armi anche di mare, espone a importanti rischi reputazionali a seconda dei paesi per cui si lavora.
Avere venduto le motovedette alla Guardia costiera libica non è stato un gran servizio alla credibilità internazionale dell’Italia. Come anche aver venduto le fregate FREMM, prodotte da Fincantieri, all’Egitto di Al-Sisi, non esattamente un campione in materia di diritti umani. Su questo tema, alla nostra domanda relativa agli accordi di vendita con l’Egitto, la società ha risposto di avere seguito seguite le stesse modalità di assicurazione dell’export usate per le navi da crociera; si tratta, cioè, del canale dei finanziamenti bancari e non quello di strutture pubbliche.
Le risposte di Fincantieri
Le strategie nel settore militare
Su questo punto le risposte non sono state molto tranquillizzanti. L’Amministratore delegato ci ha spiegato che la sicurezza militare è diventato un “bisogno sociale”. Ha anche affermato che gli investimenti nel settore della Sicurezza corrispondono alla seconda lettera – la S – del trinomio ESG. A noi sembra di ricordare, per la verità, che quella S corrispondesse a “Social” e che produrre armi sia abbastanza distante dagli investimenti Sociali.
Le strategie nel settore tecnologico
Più interessante è stata la riflessione dell’Ad sul ruolo di Fincantieri nel settore, che ha definito “tecnologico”. Ci ha spiegato che vi è una osmosi e una porosità fra gli investimenti tecnologici nel campo civile e in quello militare nelle due direzioni. L’Ad vede un futuro nella produzione di sottomarini di piccola taglia, anche droni guidati da Intelligenza Artificiale. Il loro utilizzo sarà orientato al controllo e agli interventi su infrastrutture sottomarine di trasporto dati o energia o di recupero relitti e cadaveri, di cui il Mediterraneo è pieno. In ogni caso sottomarini a propulsione a celle di idrogeno e non a energia nucleare, come ormai la gran parte dei sottomarini di potenze nucleari come la Francia o la Gran Bretagna, per fermarci all’Europa. Soluzioni tecnologiche a problematiche civili, derivanti da trasformazioni di strumenti militari.
Preoccupa invece il non considerare che possono esservi rischi reputazionali nello stabilire contratti per navi militari con paesi del Mediterraneo, ritenuti praticabili solo perché compatibili con la “piattaforma geostrategica Occidentale” e “regolarmente autorizzati” dalle strutture governative, senza avere una policy propria in materia di rapporti con paesi e regimi che violano i diritti umani o che sono coinvolti in conflitti, anche a bassa intensità. Ricordiamo, infatti, che anche le bombe vendute da RWM all’Arabia Saudita e utilizzate nel conflitto in Yemen erano state “regolarmente autorizzate”, salvo poi tardivamente e per troppo poco tempo embargate dal governo Conte e di nuovo regolarizzate dal governo Meloni. Ma il danno economico e reputazionale per RWM era già stato fatto.
Impatto sul lavoro e condizioni dei lavoratori
Abbiamo anche interloquito con Fincantieri relativamente ai temi della corretta retribuzione dei lavoratori delle ditte appaltatrici lungo la filiera produttiva di Finmeccanica.
Vi è stata un’inchiesta della magistratura che avrebbe fatto emergere un sistema di sfruttamento della manodopera nei cantieri navali di Venezia: circa duemila lavoratori irregolari, perlopiù bengalesi e dell’Est Europa, retribuiti con paghe misere e senza diritti. Appalti Fincantieri per i quali anche esponenti della società sono stati rinviati a giudizio per il reato di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. I processi sono in corso e quindi nessuno di noi può esprimere sommari giudizi di condanna. Ma intanto il danno reputazionale c’è.
Per questo abbiamo chiesto a Fincantieri come intende monitorare il sistema degli appalti per ridurre questi rischi e, comunque, se intende ovviare progressivamente a una situazione che vede pochi dipendenti della società e moltissimi nel sistema degli appalti con minori garanzie. Su questo punto il dialogo è appena agli inizi. La società spiega che: ha aperto 90 posizioni per personale proprio; che sta introducendo tecnologie (grandi saldatrici robotizzate) che rendano il lavoro meno faticoso e pericoloso; che sta lavorando a migliorare il sistema di monitoraggio delle società appaltatrici affinché rispettino le normative vigenti in termini di sicurezza sul lavoro e corrette retribuzioni secondo i CCNL del settore. Vedremo. Non ci aspettiamo che un sistema così vasto e strutturale di appalti sia risolto in un giorno, ma vogliamo vedere concreti passi avanti secondo una strategia di medio periodo credibile, concordata e verificata con i sindacati.
Per certo l’azionariato critico, anche con Fincantieri, non è una passeggiata di salute. Richiede perseveranza, pazienza, determinazione e approfondimento continuo. Oltre alla disponibilità ad un dialogo costruttivo con l’azienda. Per il bene dell’azienda. Che è anche “nostra”.
Simone Siliani
Direttore Fondazione Finanza Etica