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Crisi climatica e coronavirus: specificità e collegamenti

Crisi climatica e Corona virus: due emergenze e due minacce globali del nostro tempo che presentano specificità, eppure inaspettati collegamenti. Certamente reazioni diverse da parte della comunità internazionale e dei diversi attori presenti sulla scena.

 

Ci sono delle lezioni da imparare da questa crisi pandemica anche per quella climatica.
Spesso di segno contrastante.

Intanto, ve n’è una generale che attiene a come gli Stati e la comunità internazionale si sono dimostrati – in gradi diversi – capaci di indurre cambiamenti (talvolta forzati) nelle abitudini e stili di vita nei cittadini per contrastare la minaccia del virus. Perché è stato possibile per il Corona virus e non per i cambiamenti climatici? Ovviamente perché il virus ha prodotto perdite di vite umane qui ed ora, immediate e vicine a noi, dentro le nostre comunità, senza che né la politica né la tecnica ne avessero il controllo.

Un “nemico” capace di colpire con grande velocità ed efficacia e con una evidenza immediata. Mentre i cambiamenti climatici, che hanno potenzialmente e a larga scala degli effetti ben più devastanti, colpiscono con effetti più dilazionati nel tempo, in luoghi e modi più prevedibili e quindi dandoci l’illusione di avere sotto controllo il fenomeno. È’ una pericolosa illusione, però è così.

Ovviamente, tanto per il virus che per il clima abbiamo avuto i “negazionisti”, i “minimizzatori”, i “cinici”: come il premier britannico Boris Johnson con la sua teoria dell’immunità di gregge a fronte della quale si è detto pronto a sacrificare 318.000 cittadini. Ma in entrambi i casi, questi si sono dimostrati pericolosamente fallaci.

 

Ma questi cambiamenti di stili di vita e di organizzazione sociale, sono stati ottenuti da regimi politici assai diversi l’uno dall’altro.

Da regimi autoritari e autocratici (come la Cina) e da regimi democratici (come l’Italia e altri paesi europei), in paesi retti da leader populisti (Trump, Putin) e in repubbliche parlamentari (di nuovo, l’Italia mi sembra il caso più interessante). Un fenomeno interessante da osservare per i politologi ma, credo, di un qualche rilievo perché dimostra anche la forza (e anche la responsabilità) insospettabile della politica in regimi politici così diversi, anche in quelli in cui la politica da tempo si è ritratta dal ruolo di primo attore.

Allo stesso tempo, però, viene in evidenza la capacità delle comunità di mettere in campo risposte di cooperazione e coesione sociale che sono una risorsa importante, ben oltre la crisi immediata. Certo, anche qui non in modo univoco: penso ai cittadini in fuga dalle zone contagiate per cercare rifugio nel litorale delle case estive, o la riluttanza iniziale di alcuni paesi membri della UE ad attivare aiuti materiali per il paese membro più colpito. Ma il segno prevalente è quella della solidarietà.

 

Poi ci sono gli effetti diretti dell’una crisi sull’altra che, seppur sinteticamente, vale la pena qui segnalare.

Si può legittimamente immaginare che gli effetti pesanti e niente affatto di breve durata del virus sull’economia e sulla finanza potrebbero portare diversi paesi, le istituzioni internazionali e le imprese ad abbassare il loro impegno nella riduzione delle emissioni climalternati. In particolare la caduta del prezzo del petrolio può incoraggiarne il consumo e ridurre la domanda per prodotti a basso impatto, come i veicoli elettrici.

Insomma, si può pensare che le preoccupazioni per le emissioni possano diventare secondarie rispetto alla minaccia verso la salute pubblica, in qualche modo mettendo le due azioni in contrasto, mentre in effetti sono due facce della stessa medaglia (la salute pubblica).

 

Qualcuno ha anche messo in evidenza come alcune delle reazioni al Corona virus abbiano paradossalmente degli effetti benefici sulla lotta ai cambiamenti climatici.

Ad esempio lo sviluppo del telelavoro, se avesse una diffusione più ampia e duratura a seguito della crisi, potrebbe avere l’effetto di ridurre gli spostamenti casa-lavoro e dunque anche le emissioni.

E, almeno temporaneamente, l’effetto del Corona virus sarà quello di ridurre le emissioni: un rapporto di Carbon Brief evidenzia come in febbraio le emissioni di CO2 in Cina siano state del 25% inferiori a quelle dello stesso periodo del 2019, il consumo di carbone si sia ridotto del 36% e i livelli di NO2 del 37%. Ma lo stesso rapporto spiega come tale riduzione potrebbe essere assai inferiore a seconda della velocità del paese di superare la crisi del virus e di ritornare alla normalità.

Anche la cancellazione dei voli aerei, non solo in Cina, ha ridotto l’impatto di questo mezzo di trasporto sulle emissioni di gas climalteranti, ma – sostiene la International Air Transport Association – anche l’urgenza e l’impegno economico delle compagnie aeree a raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione stabiliti al 2027: le perdite stimate di 113 miliardi di dollari per il 2020 e di 21 miliardi nel 2021 per le compagnie aeree statunitensi non inducono certo all’ottimismo in questo campo.

Insomma, l’obiettivo di ridurre significativamente le emissioni al 2030 del 55% e addirittura a zero nel 2050 stabiliti dall’European Green Deal dell’Unione Europea non può essere raggiunto neppure assumendo che il 2020 sarà un’anno di eccezionale riduzione elle emissioni, perché occorrono interventi strutturali.

Che pure hanno a che vedere con una questione di grande rilievo ma spesso sottovalutato. Infatti, le fonti fossili pesano per il 60% sulle emissioni, quindi se dobbiamo raggiungere l’obiettivo di neutralità nelle emissioni al 2050 e di forte riduzione al 2030, occorre agire anche su altri settori, fra i quali certamente gli allevamenti, soprattutto bovini: che da soli valgono più del 10% dell’emissione globale di CO2; ma anche oltre il 20% di quella di metano.

 

Questa considerazione mette in campo il tema del legame fra crisi climatica e crisi pandemica dovuto al nostro modo di relazionarci con tutto il vivente.

Come specie siamo cresciuti in un rapporto di partnership. Di simbiosi con il pianeta e con tutta la vita che vi è contenuta: quando cambi le regole di questa relazione, come avvenuto per il clima e in genere nel rapporto con le altre specie animali, non puoi aspettarti che questo non abbia una qualche ricaduta, nel bene e nel male, con la nostra salute, con la nostra vita.

E non solo perché nel caso del Corona virus abbiamo l’evidenza che il contagio sia partito dal rapporto fra uomini e pipistrelli in un ambito di mercato, ma perché più in generale i cambiamenti climatici stanno producendo alterazioni importanti nei comportamenti di intere specie, ad esempio spingendo le migrazioni verso i poli. La fuga da zone calde verso zone più temperate da parte di intere classi e specie animali coincide con l’espansione di agenti patogeni, come sempre più ricerche stanno dimostrando. E del resto l’aumento dell’inquinamento atmosferico, specificamente con l’aumento del particolato in atmosfera, rende più vulnerabili i nostri polmoni all’aggressione di batteri e virus patogeni. I fenomeni dell’urbanizzazione, l’incremento del trasporto aereo, sono altri elementi che incidono pesantemente sui cambiamenti climatici e, più in generale, cambiano profondamente il nostro rapporto con il mondo naturale, con il vivente, oltre a contribuire alla diffusione di malattie e di agenti patogeni.

Se vogliamo ridurre i rischi di diffusione di malattie e prevenire i cambiamenti climatici – fra loro così intimamente legati – è necessario riconsiderare il modo con cui ci relazioniamo con l’intera biosfera e con le altre specie.

Tutto è connesso: è questa la lezione, non nuova, che dobbiamo imparare dalla crisi del Corona virus per il futuro.

 

Simone Siliani, direttore Fondazione Finanza Etica