Economia di pace e fraternità

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Economia di pace e fraternità

Seminario “Economia di Pace e Fraternità”. Perugia ottobre 2018

Noi, che partecipiamo alla Marcia della Pace e della Fraternità 2018 da Perugia ad Assisi perché abbiamo deciso di fare della nostra vita un percorso di solidarietà e di pace, affermiamo la nostra aspirazione a ricondurre l’economia verso una gestione sapiente della convivenza umana, affinché questa importante attività sia, come deve essere, al servizio dello sviluppo integrale delle persone e promotrice di giustizia, di prosperità, di pace e benessere per tutti e tutte, su questa terra.

L’economia è forse la più grande palestra di relazione umane, costituita da tutte le attività di produzione di beni e servizi che possono essere negoziati, scambiati o comprati da chi ne ha bisogno o vi trova un interesse, personale e collettivo. Essa implica l’attivazione e la gestione di tutte le risorse necessarie a questo scopo. Il mercato nasce come promessa, e non come utopia, di una vita civile , come strumento di liberazione dalla dipendenza feudale. Se indirizzato bene un sistema economico può promuovere la dignità delle donne e degli uomini del nostro tempo, sostenere la creatività umana nel rispetto dell’ambiente naturale di cui fa parte, essere fattore di pace.

L’economia liberale che si è venuta affermando negli ultimi decenni produce certo grandi quantità di ricchezze ma è dannosa e va nella direzione sbagliata in quanto ci porta a consumare più di un terzo di quello che sarebbe possibile. Il suo orizzonte è l’ossessiva generazione di profitti e non la soddisfazione dei bisogni. Il suo impianto poggia sulla deregolamentazione fatta sistema e sul ruolo dello Stato che consiste, in buona sostanza, nel correggere le storture del mercato attraverso incentivi ed ammortizzatori. La speculazione finanziaria è il vero volto dell’economia del nostro tempo che si prende cura solo della massimizzazione a breve termine dell’investimento: un capitalismo finanziario (o finanzcapitalismo) che ignora i bisogni fondamentali della persona (cibo, acqua, casa, lavoro, educazione, salute, cultura, trasporti, energia) e anzi è disposto a scommettere sulla violazione dei diritti umani per accumulare capitale. Mentre la ricchezza globale nel 2017 è cresciuta del 6,4% (762 miliardi di dollari in 12 mesi) *, superando la percentuale della crescita demografica mondiale con un’impennata che avrebbe potuto porre fine alla povertà estrema sette volte **, povertà, fame e mancanza d’acqua potabile uccidono ancora un bambino ogni 6 secondi.

Il modello economico dominante genera enorme insicurezza e disuguaglianze crescenti nel nord e nel sud del mondo. Non rispetta l’ambiente, impoverisce suoli, aria e oceani, riduce drasticamente la biodiversità e produce cambiamenti climatici irreversibile su scala mondiale ***. Costringe uomini e donne ad accettare viaggi pericolosissimi e in condizioni inumane, perché, come scriveva Alessandro Leogrande,”sulla sua pelle è stato edificato un mondo che gli appare inalterabile”. Non assicura lavoro, ma considera il lavoro un costo da minimizzare anziché un modo per ciascuna persona di contribuire alla società ed al bene comune e disporre dei mezzi necessari per vivere una vita dignitosa. Rende tutti vulnerabili a crisi finanziarie che periodicamente fanno vacillare in un attimo produzioni e scambi, precipitando a intervalli imprevedibili milioni di persone nella umiliazione della disoccupazione e della povertà. E’ questa l’essenza della terza guerra mondiale di cui spesso parla Papa Francesco: il diritto all’esclusione, a fronte di un modello di sviluppo insostenibile, considerato come non negoziabile.

Soprattutto ci mette in competizioni gli uni contro gli altri a tutti i livelli, in tutti gli ambiti e quasi tutti i campi, allorché in un mondo di risorse naturali limitate che va verso i 10 miliardi di esseri umani, dunque nel quale ormai siamo tutti indipendenti, la ragione comanda di fare squadra e di prendere cura gli uni degli altri.

L’economia dominante è concepita su di un paradigma bellico. Non solo le guerre del passato, combattute in zone strategiche per l’accaparramento e il controllo delle materie prime, con la scusa della difesa della democrazia; non solo le guerre regionali, in nome di deliranti egemonie locali; non solo le “nuove guerre” per aprire sempre più vaste aree offshore destinate alle sperimentazioni sociali e finanziarie criminali. Ma una violenza ancora più efferata. Una guerra globale dichiarata ormai verso il prossimo, in cui ciascuna persona si trova mobilitata a difesa del proprio stile di vita. Intanto, la precarietà diffusa acutizza la polarizzazione fra chi ha e chi non ha.

Il mercato globale e i nuovi sistemi dell’informazione giocano sulla paura e siamo ormai insensibili alle sorti di chi vive lontano a noi, e pure di chi ci sta accanto. Come scrive Timothy Garton Ash, rischiamo la “de civilizzazione”, che è l’erosione delle basi fondamentali della vita civile ed organizzata, il ricorso alla guerra come strumento per risolvere le controversie e affermare la propria presunta civiltà, la fine della politica e dei corpi intermedi che ne facevano esercizio tanto nella gestione dei conflitti quanto nella pedagogia sociale, la delegittimazione di tutte le istituzioni – sovranazionali, nazionali, locali – in nome di nuove forme plebiscitarie di consenso. Dentro la stessa Europa, la fine dell’universalismo ed il rancore delle persone rimaste prive di garanzie, in un sistema che le esclude ma ancora le attira, è la cifra di una politica schiacciata su un eterno presente, incapace di una visione che non sia un incubo.

Bisogna quindi lavorare per costruire un modello economico in grado di superare la logica di regole commerciali ingiuste, degli scambi disuguali, dello sfruttamento di suoli, territori e persone. Commercio equo e cooperazione tra gli Stati sono ben più di un dovere morale, sono imperativi di buon governo, di buona economia (letteralmente “norme di gestione della casa”):
vogliamo mettere l’economia al servizio dell’essere umano e dell’ambiente, entrambi attori fondamentali per la sopravvivenza su questo pianeta;
vogliamo ripensare lavori e stili di vita, costruendo modelli nuovi di economia improntati alla sobrietà, al riuso, alle piccole produzioni, all’auto-mutuo aiuto, a nuove e più umane relazioni di mercato e di convivenza;
vogliamo che i paesi impoveriti non solo riescano ad uscire dalla loro condizione di fragilità, ma possano fare la loro parte degli investimenti necessari per fermare il cambiamento climatico e le sue conseguenze disastrose per l’intero pianeta, oltre che assicurare il benessere dei loro abitanti;
vogliamo fare crescere una economia diversa, fondata sul bene comune, sui bisogni essenziali, sui diritti di ogni persona, e rispettosa della natura. Una economia che non produca “umanità di scarto” e non lasci nessuno indietro (come affermano anche le Nazioni Unite con gli obiettivi di sviluppo sostenibile, SDGs)

In altre parole vogliamo passare da una economia di predazione tra individui, imprese e nazioni ad una economia della responsabilità in cui ciascuna persona valuta consapevolmente le conseguenze delle proprie azioni per se stessa, prendendosi cura della qualità della vita degli altri e delle generazioni che verranno.

Non dobbiamo cominciare da capo. Da molto tempo in Italia e nel mondo sono nate numerose iniziative che, grazie all’impegno di cittadini, associazioni, organizzazioni, si sono proposte di riportare l’economia e la finanza al servizio del bene comune. Le banche etiche, le cooperative, le mutue assicuratrici, le strutture di commercio equo, le imprese soaicli, i gruppi di acquisto solidale e gli organismi di benevolenza hanno dimostrato il valore e la robustezza di una economia sociale e solidale, mentre già cominciano ad emergere sperimentazioni attorno a nuovi modelli quali l’economia di comunione, del bene comune, circolare, della conoscenza aperta.

Sono le vie del futuro. Sostituiscono la cooperazione e la reciprocità alla concorrenza, il recupero e il riciclo allo spreco, la mutualità all’arricchimento personale, la gestione orizzontale e collettiva nella produzione dei beni e dei servizi al mero profitto, il benessere della comunità all’interesse del singolo, l’uso del denaro per promuovere la democrazia economica alla speculazione finanziaria, la condivisione delle conoscenza alla privatizzazione e mercificazione dei saperi, l’attenzione ed il coinvolgimento dei più deboli al loro sfruttamento. Sono forme di organizzazione economica e sociale che non trasformano gli individui in concorrenti condannati a competere sempre tra di loro ma ne fanno dei soggetti responsabili di se stessi e degli altri, riducendo lo stress, la paura e la solitudine, facendo venir meno molte regioni di conflitto. A partire da queste scelte e pratiche quotidiane ognuno di noi può partecipare alla generazione di una cultura della pace.

L’economia sociale e solidale comprende oggi una grande varietà di imprese private, istituzioni e altre strutture che hanno in comune valori, obiettivi e forme di organizzazione. Queste realtà non mirano a massimizzare i profitti ma investono i proventi delle loro attività a beneficio delle comunità in cui operano. Svolgono le loro attività economiche con un approccio di “mercato dentro la società” piuttosto che di “società di mercato”. Hanno a cuore la giustizia sociale, la solidarietà, la reciprocità, la mutualità e sono strutturate attorno ad un modello di gestione democratico in cui vengono privilegiati criteri e processi partecipativi e inclusivi. Senza nascondere i conflitti che si generano tra le persone per la presenza di interessi diversi e potenzialmente contrapposti (produttore/consumatore, risparmiatore/fruitore del credito, operatore/utente ecc.) valorizzano la dimensione fiduciaria che è insita nelle relazioni umane, stimolano il dialogo e promuovono la mediazione per arrivare a soluzioni di cui tutti possano beneficiare.

Per avanzare verso la pace è dunque urgente che ci impegniamo a capire meglio la rilevanza e l’impatto delle scelte economiche che facciamo sulla nostra vita e su quella degli altri, sulla sopravvivenza del pianeta e sulle possibilità di esistenza delle generazioni che verranno. E’ anche urgente agire di conseguenza per mettere il bene comune e i beni comuni al centro delle nostre attività e farne una discriminante della vita politica. Per questo invitiamo:

ciascuna persona a prendere coscienza delle varie forme di scambi economici e finanziari esistenti, del significato profondo, in termini umani, del loro uso e della necessità di scelte che mettano al centro le persone e l’ambiente;
le persone, le imprese, gli enti pubblici e le istituzioni a privilegiare nei loro acquisti i prodotti e servizi provenienti da chi segue modelli di economia sociale e solidale;
I cittadini e le cittadine a imparare dalle buone pratiche di partecipazione per contrastare le forme di abuso e a rivolgersi alle persone perché queste si impegnino a livello locale, nazionale e internazionale con giuste politiche economiche per lo sviluppo e la dignità umani;
i cittadini e le cittadine di ogni paese a fare dell’impegno a favore dell’economia sociale e solidale una discriminante assoluta al momento di scegliere i loro rappresentanti a funzioni elettive per incarichi pubblici e di responsabilità sociale;
i cittadini, i movimenti, le associazioni, le nuove imprese a prendere parte alla realizzazione del Forum Sociale Mondiale delle economie trasformatrici promosso da vari movimenti e reti internazionali;
gli operatori economici a mettere al centro delle loro attività produttive e commerciali la ricerca del bene comune e l’attenzione ai bisogni delle persone, del pianete, nel segno della trasparenza, della legalità, dei diritti umani e della democrazia;
gli enti locali a mettere le loro strutture, competenze e potere di convocazione e attivazione delle dinamiche cittadine al servizio della crescita di una economia di pace nei rispettivi territori, ispirandosi alle molteplici iniziative già in corso nel mondo e collegandosi agli altri enti locali attraverso le reti internazionali già esistenti;
i decisori politici nazionali (governi e parlamenti) ad adottare misure tese a favorire lo sviluppo delle varie forme di questa nuova economia, ispirandosi alle migliori pratiche in materia e sostanziarne la realizzazione con i finanziamenti necessari;
a insegnare alle nuove generazioni, sin dai primi anni di scuola, gli approcci di una economia compatibile con i diritti, con il bene degli esseri umani, con la natura;ù
i governi ad incrementare la cooperazione internazionale allo sviluppo, a fare della promozione dell’economia solidale e sociale un asse portante degli impegni in materia e impegnare le agenzie, i fondi e i programmi dell’Onu per lo sviluppo a farne una loro priorità;
i governi ad entrare nel Gruppo Pilota dell’Onu per l’economia sociale e solidale.

Vigileremo attentamente e con responsabilità su questi percorsi individuali e collettivi. Con spirito di cittadinanza attiva impugneremo le azioni sbagliate ovvero la mancanza di azione da parte delle persone elette, e ne trarremo le conseguenze. Si è globalizzato il mercato, ora è il momento dei diritti. E’ l’ora di tradurre nei fatti la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che proclama al suo primo articolo: “Tutti gli essere umani nascono liberi ed uguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”.