Revoca dell’embargo all’Arabia Saudita. Ricomincia la festa?

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embargo arabia saudita

Foto di Edward Musiak, Flickr

Il Governo di Giorgia Meloni ha revocato il (parziale) embargo di armi all’Arabia Saudita, durante il Consiglio dei Ministri del 31 maggio scorso.

Si trattava di un embargo parziale, nei fatti. Ma la corretta lettura degli indirizzi del Parlamento in combinato disposto con la Legge 9 luglio 1990, n. 185, “Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”, non autorizza affatto una simile interpretazione restrittiva.
Infatti la legge all’art.1 comma 6 dice, semplicemente e chiaramente, che «L’esportazione ed il transito di materiali di armamento [tutti, non solo alcuni] sono altresì vietati: a) verso i Paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia o le diverse deliberazioni del Consiglio dei ministri, da adottare previo parere delle Camere; …».

Questo era (o è tuttora) lo stato dell’Arabia Saudita nei riguardi del conflitto in Yemen. Invece il Governo (quello Meloni, ma anche il precedente Draghi) ha evidentemente interpretato la norma in modo arbitrario. Ha stabilito infatti l’embargo solo per il tipo di armi prodotte ed esportate da RWM Italia (bombe e proiettili di missili). Tracce di queste armi sono state inequivocabilmente rinvenute sul “campo di battaglia” in Yemen.
Tanto è vero che, rispondendo a una domanda di Fondazione Finanza Etica durante l’Assemblea degli azionisti del 2022, la società Leonardo S.p.a. scrive che essa è destinataria di autorizzazioni all’esportazione di materiali di armamento all’Arabia Saudita durante il regime di embargo, ma armi diverse da quelle che furono causa dell’embargo (naturalmente senza specificare quali).

In ogni modo, con la revoca dell’embargo parziale, la festa ricomincia, come testimonia l’attivismo di politica e imprese del settore armamenti sul fronte saudita.

Ma è corretta la sollevazione dell’embargo? A nostro avviso no, per almeno due motivi. Ed è inoltre pericolosa perché foriera della ripresa delle ostilità – dopo la fragile tregua – in Yemen.
Intanto le motivazioni. Dice il Governo: siccome c’è una tregua in Yemen e l’Arabia Saudita sta facendo degli sforzi diplomatici per consolidarla, allora possiamo tornare ad esportare armi. Infatti, «Su questo sfondo e alla luce della mutata situazione del conflitto, in linea con la scelta fatta nell’aprile scorso nei confronti degli Emirati Arabi Uniti, il Consiglio dei Ministri ha attestato che l’esportazione di bombe e missili verso l’Arabia Saudita non ricade nei divieti di esportazione stabiliti dall’articolo 1, commi 5 e 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185, essendo conforme alla politica estera e di difesa dell’Italia».

Siamo proprio sicuri che sia così? Il comma 6 dell’articolo 1 stabilisce anche che l’esportazione di armi sia vietata «d) verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani, accertate dai competenti organi delle Nazioni Unite, dell’UE o del Consiglio d’Europa». Forse questa è una fattispecie da indagare maggiormente rispetto all’Arabia Saudita, visto che ha suscitato i dubbi anche del Segretario di Stato USA Blixen, durante la sua recente visita in quel paese.
E, in ogni caso, non risulta una iniziativa dell’Italia nelle sedi internazionali atta a valutare la posizione dell’Arabia Saudita sul rispetto dei diritti umani.

In secondo luogo, la ripresa dell’esportazione delle armi “embargate”, cioè missili e bombe, è il viatico migliore per porre le basi di una ripresa del conflitto. D’altra parte le armi si costruiscono e si esportano affinché esse vengano usate e “consumate” al fine di alimentare l’economia circolare del prodotto: produzione-vendita-consumo-produzione-vendita…
Che questa sia una drammatica realtà lo conferma la dichiarazione di Leonardo Jacopo Maria Mazzucco, analista presso Gulf State Analytics. «Ci sono ragioni consistenti per credere che Riyadh continuerà a dare la priorità all’acquisto di missili nei suoi appalti per la difesa. Infatti, affaticate da anni di intense intercettazioni dei raid aerei degli Houthi, le scorte saudite di assetti antiaerei necessitano di un costante rifornimento per operare a pieno regime in caso di una brusca ripresa delle ostilità». E chi è che potrebbe, almeno potenzialmente si vorrà ammettere, riprendere le ostilità se non chi le ha favorite, alimentate e vi ha preso parte per sette lunghi anni, se non l’Arabia Saudita?

Ecco come funziona il sistema. La pace non paga per chi lucra sulla produzione e commercio di armi. Occorre, dunque, ricreare le condizioni per un (nuovo) stato di conflitto.
I capofila di questa economia di morte in Italia sono Leonardo e Fincantieri. D’altra parte questo canale con l’Arabia Saudita non si è mai interrotto. Rispondendo alle nostre domande in Assemblea degli azionisti lo scorso anno, Leonardo S.p.a. ha ammesso di aver ricevuto dal Governo ben 11 autorizzazioni al commercio di materiale d’armamento verso quel paese.

La gran cuccagna ricomincia: si parte per un altro giro di giostra.

 

Simone Siliani
Direttore di Fondazione Finanza Etica