Microcredito per grandi idee

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Al via il bando di microcredito per finanziare imprese create da cittadini extra UE

Un progetto di Fondazione Finanza Etica, PerMicro, Banca Etica e Arci. Grazie a un fondo di garanzia i beneficiari potranno ottenere prestiti fino a 25.000 euro.

 

Fondazione Finanza Etica, PerMicro, Banca Etica e Arci lanciano un bando dedicato all’imprenditoria sviluppata da cittadini di Paesi non UE.
Il bando mette a disposizione un fondo di garanzia che permetterà ai beneficiari di accedere a microcrediti fino a 25.000 euro.
Il plafond complessivo a disposizione permetterà di finanziare almeno 25 progetti.

L’obiettivo è quello di sostenere idee progettuali di sviluppo di microimprese già esistenti e di incentivare la nascita di nuove presentate da cittadine e cittadini di Paesi Terzi o dalle loro associazioni. Uno strumento in più per favorire l’integrazione, l’autonomia e la realizzazione delle persone di origine straniera che vivono in Italia.

L’imprenditoria straniera negli ultimi anni è cresciuta e ha migliorato la sua posizione nel mercato del lavoro in Italia

 “Un’indagine UnionCamere 2017 ci dice che le imprese straniere crescono cinque volte più della media nazionale e da sole costituiscono il 42% delle nuove imprese registrato nel 2017” afferma Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica. “Non sono solo imprese “semplici” per struttura e per gestione, ma crescono anche le imprese più strutturate e complesse, con le spalle più larghe e più forti per resistere, forse, a questa congiuntura negativa. Tuttavia, l’accesso al credito è una delle componenti più complesse dell’avvio di questo tipo di imprese. Con questo bando vorremmo dare loro quella fiducia necessaria per immaginare la partenza di una nuova impresa”.

La prima selezione delle idee progettuali sarà a cura di Fondazione Finanza Etica. I progetti selezionati saranno direttamente contattati da PerMicro, che avvierà le procedure per il microcredito. La rete di Banca Etica e di ARCI supporterà le imprese e le associazioni a concorrere al bando.

Il bando è aperto fino a esaurimento del fondo di garanzia. La prima scadenza di presentazione è prevista per la mezzanotte di domenica 29 novembre.

Tutte le informazioni, su questo e altri bandi, visitando con-etica.it

Per salvare il clima, cambiamo la finanza

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Il Gruppo Banca Etica aderisce alla mobilitazione globale per il clima promossa dai Fridays For Future

Le iniziative in campo dell’unico Gruppo bancario italiano interamente dedito alla finanza etica che investe esclusivamente su progetti rispettosi dell’ambiente

 

Per salvare il clima, cambiamo la finanza!

Fondazione Finanza Etica invita dipendenti, soci e clienti a praticare scelte di consumo a basso impatto ambientale e a far conoscere sempre più la propria scelta di finanza etica. Una scelta che rappresenta l’elemento centrale di uno stile di vita orientato alla salvaguardia del pianeta e della dignità delle persone.

 

Le banche continuano a svolgere un ruolo chiave come principali finanziatori dell’industria del carbone, del petrolio e del gas.

Così ritardano la transizione da un’economia basata sui combustibili fossili a un’economia basata sull’efficienza e sulle energie rinnovabili.

Banktrack, organizzazione internazionale che monitora gli impatti sociali e ambientali delle scelte delle banche, spiega che le banche, come tutte le aziende, producono gas serra direttamente attraverso le loro attività. Tuttavia, il loro contributo più importante alle emissioni di gas serra è indiretto, attraverso il finanziamento di clienti e progetti che generano emissioni.

 

Per impedire che la crisi climatica si sviluppi ulteriormente e porre fine alla nostra dipendenza dai combustibili fossili, le banche devono smettere di finanziare l’industria dei combustibili fossili.

Ma questo non sta accadendo!

Secondo l’ultimo rapporto “Banking on Climate Change“, pubblicato nel marzo 2020, tra il 2016 e il 2019 solo 35 banche globali del settore privato hanno incanalato l’incredibile cifra di 2,7 trilioni di dollari in progetti e aziende di combustibili fossili a livello globale. Più di 975 miliardi di dollari di questi investimenti sono andati all’espansione dell’industria dei combustibili fossili.

Il movimento dei Fridays for Future, che il 25 settembre celebra in tutto il mondo la Giornata mondiale di mobilitazione per il clima, ha da subito messo al centro dell’azione il ruolo delle banche e il potere delle persone che possono scegliere: affidare i propri risparmi a chi continua ad aggravare la minaccia climatica, o invece rivolgersi a chi investe su progetti green e rispettosi dell’ambiente e dei diritti umanicommenta la presidente di Banca Etica, Anna Fasano – . La spinta dell’opinione pubblica sta inducendo molte banche a pubblicizzare alcuni prodotti finanziari “green”, senza tuttavia rinunciare a collocare anche prodotti che investono in fonti fossili e altre attività inquinanti. La finanza etica adotta criteri più selettivi rispetto alla finanza cosiddetta “sostenibile” nel valutare dove investire il denaro dei risparmiatori e degli investitori”.

 

Da oltre 20 anni il Gruppo Banca Etica è l’unico in Italia interamente dedito alla finanza etica e mette la tutela dell’ambiente e dei diritti delle persone al primo posto nelle scelte di investimento.

Una politica radicale per coniugare rendimenti, tutela del risparmio e impatti socio-ambientali positivi che incontra sempre più il gradimento di persone e imprese: a oggi Banca Etica raccoglie risparmio per 1,6 miliardi di euro ed eroga finanziamenti a imprese sociali, associazioni e famiglie per oltre un miliardo di euro. Etica Sgr – la società di gestione del risparmio del Gruppo – ha masse in gestione che ammontano a circa 5 miliardi di euro.

Chi sceglie i prodotti finanziari del Gruppo Banca Etica pretende la certezza che il proprio denaro sia usato per finanziare iniziative che – per quanto possibile – non rechino danni, ma anzi favoriscano quella crescita sostenibile e inclusiva, ancora più necessaria dopo lo shock della pandemia. Per questo lavoriamo a una rendicontazione sempre più precisa degli impatti della nostra attività.

 

Gli impatti ambientali del Gruppo Banca Etica

Banca Etica
  • Nel 2019 Banca Etica ha finanziato – con € 13,5 mln – 25 organizzazioni che, con i loro progetti nel campo delle rinnovabili e con interventi di efficientamento energetico, hanno permesso di evitare l’immissione in atmosfera di quasi 5mila tonnellate di CO2 (pari alla quantità di CO2 assorbita in un anno dal Parco delle Cinque Terre).
  • Altri 7,6 milioni di euro sono andati a progetti che hanno permesso di riciclare quasi 204 mila tonnellate di rifiuti (pari alla produzione annua di rifiuti della città di Messina).
  • Ancora: 3 milioni di euro sono andati a progetti di agricoltura biologica che hanno impegnato quasi 5mila ettari coltivati a biologico (pari a 7mila campi da calcio).

Tutti dettagli sono disponibili nel Report di impatto di Banca Etica.

Etica Sgr

Chi desidera gestire il proprio risparmio in modo etico e attento al pianeta può trovare risposte anche nei fondi comuni d’investimento di Etica Sgr. Questi fondi presentano una rigorosa metodologia di selezione degli emittenti, che integra l’analisi ESG e l’analisi finanziaria.
Anche Etica Sgr lavora per ottenere – e rendicontare – l’impatto ambientale, sociale e di governance dei fondi, che va di pari passo all’obiettivo di ottenere potenziali performance finanziarie positive. Tra i risultati ambientali del 2019 emerge che, rispetto al mercato di riferimento, i portafogli dei fondi di Etica Sgr presentano:

  • il 69% in più di società che hanno definito obiettivi di riduzione delle emissioni,
  • il 34% in più di società che si impegnano pubblicamente a ridurre l’utilizzo di acqua e aumentare l’efficienza idrica,
  • il 25% in più di società che sviluppano iniziative per ridurre i rifiuti generati.

Tutti dettagli sono disponibili nel Report di Impatto di Etica Sgr.

Fondazione Finanza Etica

Siamo pionieri dell’azionariato critico in Italia: ogni anno – grazie all’acquisto di un numero simbolico di azioni di società controverse – intervieniamo alle assemblee generali dei colossi dell’energia, ma anche della finanza, per portare sotto i riflettori degli azionisti e dell’opinione pubblica gli impatti sociali e ambientali delle scelte delle grazie aziende.

Essere antropologo in un mondo di economisti

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Un omaggio a un antropologo eroe

 

Con questo articolo desidero rendere omaggio alla voce nobile e coraggiosa del più incredibile e folle  antropologo, David Graeber, venuto tragicamente a mancare la settimana scorsa. Con David, da molto tempo per me fonte di ispirazione, da un anno avevo stretto un rapporto di sincera amicizia; condividevamo il difficile ruolo di antropologi in un mondo dominato dagli economisti, ed è proprio di questo argomento che vorrei parlarvi brevemente.

David era un antropologo che scriveva di economia e questo è stato il primo motivo per cui mi sono interessato al suo lavoro. La gente a volte pensa che io abbia un background da economista – perché scrivo di finanza e denaro – ma in realtà ho una laurea in antropologia, una disciplina che spesso ha un rapporto conflittuale con le scienze economiche.
Ci sono opinioni diverse sulle ragioni di questo antagonismo, io lo descrivo così:

L’antropologia parte dalla constatazione che un essere umano – almeno nei primi anni di vita – non può vivere separato da un gruppo.

 

In altre parole, l’antropologia presume che ogni comunità umana preceda sempre i suoi singoli membri e che la cura e la riproduzione siano la conditio sine qua non di ogni forma di eroismo solitario.

I bambini non sopravvivono a lungo se vengono lasciati a se stessi e, quando miracolosamente ce la fanno, non sono in grado di parlare una qualsiasi lingua, il che rende quasi impossibile per loro ogni sorta di interazione sociale, relazione e scambio.

I bambini crescono, diventano adulti, acquisiscono fiducia in se stessi e prendono consapevolezza delle differenze marginali che esistono tra le persone. Ciò potrebbe portarli a credere di essere “individui” autonomi, ma per gran parte della storia umana non è andata così. L’idea di andare per la propria strada non era presa in considerazione dalla maggioranza delle persone, non c’era l’idea di un “sé” autonomo e indipendente senza un solido legame con un clan o una tribù.

Gli antropologi, quindi, sono stati tra i primi a rendersi conto che il termine – ‘individuo’ – ampiamente utilizzato nel nostro quotidiano, non è tanto una descrizione della realtà quanto un concetto ideologico che emerge all’interno di certi gruppi, in certe condizioni, in determinati tempi e luoghi. Più specificamente, è un concetto che fiorisce in presenza di grandi organizzazioni statali che eliminano la necessità di vivere in comunità.

All’interno di grandi stati-nazione si può effettivamente lasciare il proprio luogo di origine e vagare come un estraneo tra estranei, mentre il tutto è tenuto insieme da un sistema di regole (sistema giuridico, sistema monetario, astratte ideologie e bandiere nazionali per dare un qualche senso di unione di intenti a questi estranei).

 

Il pensiero eretico che emerge tra gli antropologi è che forse l’individuo è un prodotto dello stato moderno.

Questo è anche il motivo per cui l’antropologia contemporanea ha connessioni con l’anarchismo: gli antropologi sono stati tra i primi a intuire che il capitalismo è catalizzato dallo stato, piuttosto che esistere in opposizione allo stato.

Questo orientamento pone molti antropologi in opposizione alla maggioranza degli economisti mainstream. L’economia mainstream si è sviluppata negli stati moderni e ha concentrato la sua attenzione sulle popolazioni di quegli stati. Al contrario gli antropologi da sempre studiano popoli di regioni remote come la Papua Nuova Guinea dove l’organizzazione sociale è completamente diversa.

David Graeber riusciva a rendere evidente che lo spettro delle possibilità nell’organizzazione economica di una società è più ampio di quanto si creda.

Mentre i dipartimenti di economia di stampo conservatore provano a rendere universale la dinamica dello scambio monetario capitalista, l’antropologia economica è come un movimento di resistenza nel nostro subconscio che mantiene viva la conoscenza di modi diversi di vivere, molti dei quali esistono ancora all’ombra del nostro sistema economico dominante.

La prima volta che ho parlato con David è stato un paio d’anni fa, a una cena tra attivisti contro il debito illegittimo. Mi disse che era davvero difficile riuscire ad aiutare tutti i gruppi di attivisti che avevano bisogno di sostegno, ma che lui ci provava, sempre e comunque.

Questo è il motivo per cui David era per me un antropologo-eroe, il sapere antropologico per lui era vita, era politica.

 

 

Abbiamo conosciuto Brett Scott di persona all’edizione 2018 del festival di Internazionale, quando lo abbiamo invitato a presentare  Guida eretica alla finanza globale, la traduzione italiana, a cura di Fondazione Finanza Etica, della sua guida per hackerare il sistema finanziario. 

Ci aveva appassionato il libro, ancora di più ci ha colpito Brett, acuto, intelligente, anticonvenzionale, brillante, appassionato.

Abbiamo quindi deciso di proporre un estratto del suo ultimo articolo The anthropologist in an economist world in ricordo di David Graeber, pubblicato da Brett Scott sul suo blog Altereted States of Monetary Consciousness. Lo firma Domenico Villano, che per la Fondazione si è occupuato della curatela della versione italiana del libro di Brett Scott.

 

Foto di Thierry Ehrmann

Tramonto a Wall Street per i colossi del petrolio. Exxon esce dalla borsa

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Exxon

Exxon esce dalla borsa di Wall Street. Il settore oil&gas sempre più in crisi.

 

Significherà pure qualcosa il fatto che ExxonMobil, il gigante americano dell’oil&gas, uscirà dall’Indice Industriale di Wall Street. Vi era rimasto ininterrottamente dal 1928, quando era la Standard Oil di New Jersey, l’azienda più longeva da sempre sulla Borsa newyorkese. L’indice industriale Dow Jones Average copre tutte le industrie, con l’eccezione di quelle dei trasporti. È uno degli indici borsistici più longevo e riconosciuto, introdotto nel 1896 nella Borsa americana.

 

Lunedì scorso è stato annunciato che Exxon sarà sostituita nel listino da Saleforce.com, una compagnia di software, già parte del Gruppo Apple, che indica dove sta soffiando il vento.

Il fatto è che questa uscita di scena di ExxonMobil dall’indice industriale del Dow Jones è solo parte di una crisi verticale che tutto il settore oil&gas sta subendo e che si è solo accentuata in concomitanza con il Covid-19. Un declino che i più considerano irreversibile, da quando i governi hanno iniziato a fare sul serio sul cambiamento climatico.

Nel 2007, quando il prezzo del petrolio era alle stelle, la Exxon era considerata una delle più remunerative aziende del pianeta, valutata per più di 500 miliardi di dollari. Al vertice del successo dell’industria del petrolio Exxon aveva scommesso miliardi di dollari di investimenti sul boom del settore. A spingerla in questa direzione l’eccesso di greggio, in seguito alla scelta USA per il fracking. La scommessa si è rivelata un fallimento. Negli anni seguenti la Grande Recessione i governi hanno iniziato a investire nell’energia rinnovabile – diventate così presto competitive con il petrolio – per combattere i cambiamenti climatici. Allo stesso tempo le innovazioni tecnologiche si sono indirizzate verso l’efficienza e, in particolare, verso le auto elettriche o ibride. Il valore sul mercato della Exxon è rimasto stagnante per tutti gli anni ’10; ma dallo scorso gennaio è iniziato a declinare  in coincidenza con la crisi pandemica. Paradosso dei paradossi, in questo stesso periodo l’indice Dow Jones è cresciuto, mentre tutto il settore energetico, ad esempio, dell’indice S&P 500, che dieci anni fa ne rappresentava il 10%, oggi non ne vale più del 3%. Nel 2020 ExxonMobil ha registrato due quadrimestri in rosso consecutivi, con una perdita di oltre 1,7 miliardi di dollari, nonostante i tagli di spesa operati. E naturalmente il primo taglio annunciato dall’azienda è la sospensione dei suoi contributi al fondo pensionistico dei dipendenti.

Alcuni competitors europei della Exxon hanno, almeno apparentemente, deciso di cambiare strategia. Hanno annunciato obiettivi di riduzione delle emissioni e riorganizzazione del proprio portafoglio dal petrolio alle rinnovabili. Basti pensare alla scelta di BP di passare da una major dell’oil&gas a una azienda energetica.


Nonostante le evidenze il management di ExxonMobil sembra essere particolarmente conservatore e sicuro del proprio futuro. Recentemente il vicepresidente Neil Chapman annunciando una perdita di 1,1 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre, si è difeso dicendo che il management di Exxon non ritiene che nel lungo periodo il business cambierà. La popolazione mondiale continuerà a crescere e non ci sono segnali per credere che la domanda di gas e petrolio non continuerà a crescere con essa. E il vincitore sarà la compagnia meglio posizionata in questa direzione, cioè la Exxon. Ma al momento il mercato non sembra dargli ragione.

 

Simone Siliani

Direttore Fondazione Finanza Etica

 

Foto di Maureen Barlin: Leaving Is The Easy Way Out. Street art in Shoreditch, London 2018. Artista: BKFoxx