Mine anti-persona e munizioni a grappolo: dal 31 gennaio è vietato finanziarle.

  |   By  |  0 Comments

Mine anti-persona e munizioni a grappolo: dal 31 gennaio è vietato finanziarle. Ora tocca a banche e finanza fare la propria parte.

Dopo 10 anni di difficile iter parlamentare, il 31 dicembre 2022 è diventato concretamente operativo il divieto di finanziare le imprese produttrici di mine antipersona e di munizioni a grappolo, stabilito dalla Legge 9 dicembre 2021, n.220.

La legge introduce all’art.1

il divieto totale al finanziamento di società in qualsiasi forma giuridica costituite, aventi sede in Italia o all’estero, che, direttamente o tramite società controllate o collegate, […], svolgano attività [… relative alle] mine antipersona, munizioni e submunizioni cluster, di qualunque natura o composizione, o di parti di esse.

Il divieto vale per tutti gli intermediari abilitati (definiti nel dettaglio nell’art. 2). È inoltre vietato alle alle fondazioni e ai fondi pensione di investire il proprio patrimonio in queste attività.

 

Una legge esemplare

Una legge esemplare sotto molti punti di vista per la quale il movimento della finanza etica si è mobilitato da tempo, insieme a numerose associazioni che hanno dato vita alla Campagna Italiana Contro le Mine.

La legge è esemplare perché il divieto di finanziamento è assai ampio e coinvolge le società oggetto del divieto, le attività svolte, gli intermediari finanziari e il tipo di finanziamento.

Tutta la filiera è coinvolta nel divieto. Giustamente, trattandosi di sistemi d’arma complessi.

Di estrema rilevanza, dal nostro punto di vista, il dettaglio degli intermediari finanziari sottoposti agli obblighi della legge, che è ampio e prevede anche le succursali con sede legale in un altro paese Ue o Terzo, il settore assicurativo e quello dei fondi pensione. Di questi soggetti viene analizzata ogni forma di supporto finanziario, ad esempio credito, rilascio di garanzie finanziarie, partecipazioni, acquisto o sottoscrizione di strumenti finanziari.

 

Una legge importante, ma di complessa applicazione

Proprio il divieto totale rende complessa l’attuazione della L.220. Nessun elenco è stato fornito dai soggetti istituzionali preposti ai controlli sull’attuazione della legge e tanto meno dal Governo.

Non si tratta solo dell’adozione di presidi procedurali, complessi. Il fine dei controlli è quello appunto di “contrastare il finanziamento” delle mine antipersona e delle munizioni cluster e di “loro singoli componenti”. Si tratta delle singole componenti del sistema d’arma e non solo del prodotto finito. Dovrebbero essere individuate e sottoposte al divieto anche le società subcontractor della società madre produttrice di queste armi.

È una impostazione opportuna, che dovrebbe essere applicata anche ad altre armi controverse. Come nel caso delle armi nucleari, su cui Fondazione Finanza Etica ingaggia Leonardo S.p.A. nella sua attività di azionariato critico. In particolare sul coinvolgimento nell’arsenale nucleare francese attraverso MBDA-Systems.

Nella logica della finanza etica, condivisa dall’impostazione della L.220, infatti, partecipare a realizzare “singole componenti” del sistema d’arma comporta una responsabilità sull’intero prodotto.

 

Un iter normativo lungo e tortuoso

Il Trattato di messa al bando delle mine (Ottawa 1997) e la Convenzione sulle Munizioni Cluster (2008) sono le due leggi internazionali che ne impediscono l’uso, la produzione, il commercio e lo stoccaggio. La Campagna internazionale per la messa al bando delle mine prevede non solo l’adesione del più alto numero di Paesi, ma anche il completo smantellamento delle mine dal pianeta entro il 2025. A oggi ha visto l’adesione dell’80% dei Paesi (164). Ancora non vi aderiscono, tra gli altri, Stati Uniti, Cina, India, Israele, Egitto, Iran, Pakistan, Arabia Saudita, Marocco.

In Italia, l’iter per una legge sulla messa al bando è iniziato nel 2010, a seguito anche di una importante raccolta di 30mila firme dalla Campagna Italiana contro le Mine.

Dopo essere stata approvata all’unanimità nel 2017, la legge fu rimandata al Parlamento dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perché il testo avrebbe potuto esonerare dalle responsabilità penali i vertici delle banche e degli istituti finanziari. Ci sono voluti altri 5 anni per l’approvazione, il 5 dicembre 2021.

 

Il ruolo degli investitori

Al 2018, 88 istituti finanziari hanno investito un totale di 8.700 milioni di dollari in 7 produttori di munizioni a grappolo. Lo descrive la ricerca Worldwide Investment in Cluster Munitions alla sua nona edizione.

È importante evidenziare come gli investimenti nei produttori di munizioni a grappolo di tutto il mondo siano in netto calo. Da 31 miliardi di dollari del 2017 (su 166 società investite) a 9 miliardi di dollari nel 2018 per 88 investitori. Di questi, ancora 7 hanno sede in Stati che hanno aderito alla Convenzione.

Il Gruppo Banca Etica e, dunque, tutte le sue società che rientrano fra gli intermediari abilitati della legge (Banca Etica, Etica Sgr, CreSud) hanno nel loro DNA costitutivo una clausola di esclusione che impone un divieto assoluto di finanziamento, a qualunque titolo, di qualunque realtà economica coinvolta nel settore militare (e non soltanto nei sistemi d’arma controverse).

Ma per essere efficaci nell’attuazione della legge, stiamo lavorando a costruire un elenco di imprese coinvolte nel settore militare, coerente con l’ampiezza dei destinatari del divieto individuato dalla legge, per offrirlo anche agli intermediari finanziari in una logica di dialogo, collaborazione e contaminazione.

La legge 220 è un passo avanti importante sulla strada del disarmo, ma come per ogni legge vale solo se viene realmente attuata. È questo il nostro impegno. Da sempre.

 

La pace passa dal disarmo nucleare

  |   By  |  0 Comments

pace

La pace passa dall’applicazione del Trattato New START, non nella sua sospensione, come ha dichiarato di fare Putin.

Vladimir Putin, nei giorni scorsi, ha dichiarato che intende sospendere l’applicazione da parte della Russia del Trattato New START per la riduzione delle armi nucleari. Si tratta di un nuovo giro di vite nella spirale della tensione fra le due maggiori potenze nucleari.

Il New Strategic Arms Reduction Treaty

Interrompere unilateralmente l’unico programma di riduzione dei sistemi d’arma nucleari a lunga gittata (questo significa “strategici”) fermerà il processo di eliminazione progressiva di queste armi. Il processo prevede di raggiungere il limite di 1.550 testate per ciascuno. Anzi, potenzialmente la Russia potrebbe riprenderne la produzione inducendo anche la controparte statunitense a fare altrettanto. Si rischia di assistere a una nuova corsa al riarmo nucleare, ancora peggiore degli anni pre-accordi tra Gorbaciov e Reagan. In un mondo non più bipolare, infatti, anche altre potenze nucleari potrebbero seguire il cattivo esempio.

Il New START non si limita a imporre una riduzione delle testate nucleari, ma prende in considerazione tutte le componenti del sistema che rende effettivamente operabili tali ordigni. Dai missili balistici intercontinentali, ai sottomarini nucleari lanciamissili passando per bombardieri pesanti e strumenti di lancio delle testate. Perché è ormai chiaro a tutti che per ridurre il rischio di conflitto nucleare bisogna intervenire sull’intero sistema d’arma. Non solo l’ordigno ma anche il vettore che lo trasporta.

Il caso Leonardo SpA

La società italiana produttrice di armamenti partecipa a un consorzio internazionale francese, attraverso la realizzazione di missili da crociera per trasportare una testata nucleare. Ma Leonardo afferma che, realizzando il vettore e non l’ordigno, non sta in realtà partecipando alla costruzione di un sistema d’arma nucleare.

Questo ha ribadito Leonardo durtante un nostro engagemente in qualità di azionisti critici.

Leonardo SpA partecipa al consorzio MBDA, appaltatore principale per i missili aria-terra a medio raggio ASMP-A (air-sol moyenne portée amélioré) che trasportano testate nucleari.Tuttavia, nel Bilancio 2020 dichiara il “non coinvolgimento in attività di produzione o manutenzione di armi nucleari”.

La stessa linea tenuta nel 2016 quando, confermando di detenere il 25% della joint venture MBDA, sosteneva che essa “produceva solo ed esclusivamente il vettore del missile e non è coinvolta nella produzione della testata nucleare, tecnologia quest’ultima di pieno possesso e controllo delle organizzazioni governative francesi preposte”.

Sono risposte fuorvianti ribadite in dichiarazioni di autocertificazione ai propri finanziatori. Una bizzarra interpretazione del significato di “non coinvolgimento” nella produzione di armi nucleari cu sui non sono d’accordo neppure i data provider che forniscono informazioni agli investitori sulle aziende quotate.

Rendimenti rischiosi

Per questo quest’anno torneremo a chiedere conto di questa partecipazione a Leonardo SpA durante l’assemblea degli azionisti, forti anche di ricerche autorevoli, come Risky Returns. Nuclear weapons producers and their financiers, realizzata dalla ong olandese PAX e dalla International Campaign to Abolish Nuclear Weapons. La ricerca classifica fra i maggiori “sistemi d’arma nucleare” proprio alcuni modelli di missili prodotti da MBDA, consorzio detenuto per il 37,5% da BAE Systems, 37,5% da Airbus e 25% da Leonardo SpA.

Quest’anno con noi ci sarà anche ICAN (premio Nobel per la Pace nel 2017), per interpellare Leonardo SpA su questa partecipazione alla realizzazione di armi controverse come quelle nucleari. Armi sulle quali esiste un Trattato internazionale per la messa al bando, TPNW, al quale l’Italia non ha aderito. E non solo.

Svilupperemo una campagna, insieme a Etica Sgr, ICAN, Rete italiana Pace e Disarmo per parlare con i cittadini di questo tema, per dialogare con le banche che finanziano Leonardo, per indurre domande e riflessioni sui rischi reputazionali di queste operazioni finanziarie e per proporre a risparmiatori e investitori istituzionali un reale disinvestimento. Quanto meno dalle armi nucleari.

L’Italia non ripudia la guerra

  |   By  |  0 Comments

guerra

Le spese militari al 2% del PIL

La diretta conseguenza del discorso di guerra pronunciato da Draghi il 1° marzo al Senato è stata l’approvazione il 16 marzo dell’Ordine del giorno alla Camera dei Deputati. Il Governo così si impegna all’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2% del PIL. L’atto di indirizzo è stato proposto dalla Lega, sottoscritto dai deputati di Pd, Iv, M5S e FdI. Oltre, quindi, il perimetro della maggioranza: è stato votato infatti da 391 deputati su 421. I 19 voti contrari sono di Fratoianni e Stumpo, gruppo LeU; anche se LeU si è astenuto. A questi si aggiungono, tra i componenti del Gruppo Misto: 6 di Alternativa; 1 dei Radicali; 3 di Potere al Popolo; 2 dei Verdi Europei; 1 di Forza Italia; 1 dei 5 Stelle; 2 non iscritti a componenti. Su tutto il resto una coltre grigia di conformismo, come si confà ai tempi di guerra. Il dettaglio dei nomi dei votanti si trova qui.

L’Osservatorio MileX ha chiarito come questa indicazione di raggiungere la spesa del 2% del PIL derivi da un accordo del 2006 fra i Ministri della Difesa dei paesi Nato; accordo confermato, nel 2014, in Galles dal vertice dei Capi di Stato e di Governo. In quel vertice si era specificato che il 20% della spesa doveva essere dedicata a nuovi sistemi d’arma.

Che tipo di decisione è stata presa?

Con questo voto in Parlamento si compie un salto di qualità rispetto alle decisioni maturate fra il 2006 e il 2014. In primo luogo si dà una motivazione specifica di tipo militare per questa crescita della spesa. Con la guerra in Ucraina, peraltro, l’opinione pubblica è più disponibile a un incremento di spesa, calcolato nell’ordine di 13 miliardi l’anno. Allo stesso tempo, però, questa decisione si allontana da vere motivazioni di sicurezza. L’incremento (variabile) della spesa pubblica è vincolato a un parametro che comprende la produzione di ricchezza privata (PIL); questo però avviene indipendentemente da una valutazione delle effettive esigenze della spesa militare.

Si afferma che l’aggressione russa all’Ucraina ha compattato l’Europa, spingendola finalmente a costruire una difesa comune. Ma, paradossalmente, si parte dal fondo di questo progetto. Viene stabilito infatti un aumento di spesa militare di uno dei paesi della Ue senza che questa abbia neppure abbozzato un progetto concreto di difesa comune, tanto meno un progetto approvato dagli Stati membri. Si tratta, nella sostanza, di un regalo generoso a scatola chiusa alle industrie del settore militare.

Se vuoi la pace, prepara la pace

La sentenza latina si vis pacem, para bellum trova dunque qui la sua celebrazione. L’aumento delle armi prodotte e in circolazione è la migliore garanzia che prima o poi queste armi da qualcuno verranno effettivamente usate.

Peraltro, ciò è contrario all’accordo Minsk II del 2015 tra Francia, Germania, Russia e Ucraina, per stabilizzare il Donbass. Fra i vari punti, infatti, l’accordo prevedeva la completa demilitarizzazione dell’area; il disarmo e la smobilitazione delle milizie filo-russe; il ritiro dei combattenti volontari russi; la limitazione delle truppe ucraine nell’area.

Le industrie belliche ottime clienti della banche

Invece questa scelta alimenta un circuito economico sempre più innervato sulla produzione bellica. Di cui, oltre alle industrie produttrici, beneficeranno gli istituti finanziari. E sappiamo bene che le industrie sono ottime clienti delle banche, perché offrono garanzia di solvibilità, essendo finanziate dallo Stato. Non solo: nei casi di Leonardo e Fincantieri sono anche partecipate, dallo Stato. Solo per inciso, fra i gioielli di Fincantieri troviamo Submarine S1000, prodotto in partnership con la russa Central Design Bureau for Marine Engeneering “RUBIN”.

13 miliardi in più all’anno nel bilancio della Difesa sono una manna anche per le banche e gli istituti finanziari di cui l’industria militare è prezioso cliente. Non di tutti, però.

La finanza etica rifiuta ogni finanziamento alla produzione e al commercio di armamenti

Il Gruppo Banca Etica esclude dal proprio universo finanziabile e investibile l’industria della difesa. I fondi di Etica Sgr non investono in titoli di debito russi, bielorussi o ucraini; anche nell’azionario, la Sgr non investe nelle aziende russe e bielorusse. Il processo di selezione rigorosamente passa un doppio screening per individuare i Paesi più virtuosi dal punto di vista socio-ambientale e le aziende più attente alla sostenibilità e al benessere collettivo.

Nella nostra accezione di sostenibilità il tema del rispetto dei diritti umani e civili è importante tanto quanto quello del rispetto dell’ambiente; per questo i paesi come quelli attualmente in conflitto sono fuori dall’universo investibile.

La sostenibilità della finanza che include gli armamenti

Non è un fatto scontato: società e banche che si dicono “sostenibili” non si fanno grandi problemi, infatti, a includere gli armamenti nelle loro attività tipiche. Fondazione Finanza Etica da anni svolge azionariato critico verso l’italiana Leonardo e la tedesca Rheinmetall. In assemblea denunciamo l’incongruità dell’eccessivo sbilancio verso il settore militare ai danni di quello civile; oltre al coinvolgimento in transazioni di armi verso paesi belligeranti (Arabia Saudita) o in aperta violazione dei diritti umani (Egitto)

Gli amministratori delegati delle due aziende hanno di recente spiegato il loro concetto di sostenibilità e testimoniato il cambiamento del clima. Alessandro Profuno (Leonardo) spiega che “la difesa è un elemento della sostenibilità e deve essere riconosciuta come tale. Senza sicurezza non si può avere sostenibilità” (Il Sole 24 Ore, 11.3.2022). Armin Pappenger (Rheinmetall) dichiara che “alcuni mesi fa la gente voleva metterci al bando, per dire che questa industria è molto cattiva e dannosa. Adesso il mondo è totalmente diverso” (il Fatto Quotidiano, 14.3.2022).

Non sarà così difficile trovare istituti finanziari che, definendosi sostenibili e responsabili, non si faranno scrupoli a finanziare queste aziende. E, forse, con un po’ di buona volontà e molta attività di lobby, magari anche il settore della difesa potrà rientrare nella tassonomia sociale e ambientale della Ue, così come vi è entrata la produzione di energia dal nucleare e dal gas. Ecco, forse anche da questo si può comprendere la differenza che esiste fra la finanza etica e la finanza sostenibile.

Simone Siliani, direttore di Fondazione Finanza Etica

Contro la guerra per costruire la pace

  |   By  |  0 Comments

pace

 

21 settembre 2022. Giornata Internazionale della Pace.
Con papa Francesco contro la guerra, per costruire la pace

In questi giorni Fondazione Finanza Etica ha deciso di aderire all’appello lanciato dal Centro Promotore della Marcia Perugia Assisi

“21 settembre 2022. Giornata Internazionale della Pace. Con Papa Francesco contro la guerra, per costruire la pace”

Non è la prima volta che riceviamo appelli contro la guerra, né la prima volta che aderiamo.

Viene allora naturale chiedersi, vista la difficoltà a capire gli effetti di queste campagne e non cogliendo grandi cambiamenti nell’opinione pubblica, quanto effettivamente queste azioni siano in grado di incidere sulla realtà. Ecco allora che, allo slancio ideale e quasi ingenuo per una immediata adesione, subentra una riflessione apparentemente razionale, che ci invita a non disperdere le energie per concentrarci su qualcosa di più efficace… sì ma cosa? verrebbe da rispondere: “bah, lo vedremo domani”. Quasi un mantra, questo, che, se ci serve per acquietarci, in attesa di chissà quali grandi soluzioni e azioni, ci priva però dell’immediatezza richiesta da quella forza interiore che ci spinge a ribellarci a tutto ciò che riteniamo disumano, in primis la violenza e la guerra.

Una passione per l’umanità che non ci lascerà in pace fintantoché non avremo fatto tutto il possibile per debellare quella follia che è la guerra. Passione e ragione, insieme, possono allora aiutarci ad affrontare queste sfide, nel senso che ci permettono di sviluppare strategie in cui all’azione immediata, l’appello, la campagna, la mobilitazione (che toccano le coscienze delle persone) si possono associare gesti, comportamenti e scelte, anche economiche e finanziarie ( ed in questo caso che toccano le tasche…..), che di fatto “tolgono terreno” a chi tiene in piedi direttamente o indirettamente logiche di guerra. Tutto ciò funziona però se riusciamo a entrare in rete con gli altri, unire le forze per essere efficaci e dare una valenza politica e non solo morale al nostro impegno.

Non è più il tempo dei tanti se, dei tanti ma, dei tanti distinguo, quasi volessimo affermare un primato della purezza delle nostre azioni, ma vanno sfruttate tutte le occasioni che ci permettono di tenere alta l’attenzione dell’opinione pubblica e fare proposte concrete che, per la loro propositività, rompono quel pericoloso pessimismo sull’inutilità delle nostre azioni e danno un senso al nostro agire. Un tempo qualcuno aveva coniato l’espressione “l’importanza della pedagogia del gesto” riferendosi al commercio equo e solidale; oggi la situazione è sicuramente più complessa e gli scenari più oscuri, ma ciò nulla toglie all’importanza di questa sfida per il nostro sentirci umani.

Marco Piccolo, presidente Fondazione Finanza Etica