L’azionariato critico nell’era del Corona

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azionariato critico nell'era del Corona

Ciabattoni, mutande e calzini colorati. L’azionariato critico nell’era del Corona.

 

Prendiamo un’impresa, magari una multinazionale cattiva che estrae petrolio come se non ci fosse un domani e lo sbrodola nel delta di fiumi tropicali. Una di quelle imprese che ci fa incazzare, scendere in piazza a manifestare, ci spinge a boicottare o a condividere post indignati sui social.

Ecco, un’impresa così nove volte su dieci è quotata in borsa. Cioè il suo capitale è nella mani di migliaia di azionisti, che la controllano e decidono, a colpi di maggioranza, cosa sia giusto e sbagliato fare: grandi investitori di Wall Street, Hong Kong, Londra o Dubai ma anche pesci piccoli e piccolissimi come me e te che stai leggendo. Di solito i grandi si mettono d’accordo e decidono tutto loro: «petrolio fino all’ultima goccia!», «profitti, profitti, basta con queste pippe etiche, mica siamo la Croce Rossa!».

 

Però noi piccoli non è che non possiamo fare nulla. Se vogliamo possiamo comprarci anche noi delle azioni, ne basta anche solo una. Per dire, un’azione del gigante italiano del petrolio e del gas ora costa 8,78 euro, meno di un aperitivo a Milano.

 

Con un’azione diventiamo azionisti, cioè comproprietari dell’impresa. Piccoli, piccolissimi proprietari ma con tutti i diritti che hanno anche i grandi: partecipare all’assemblea annuale, fare domande critiche ai manager guardandoli in faccia e votare le strategie di sviluppo, i bilanci, i piani di remunerazione, i bonus, ecc.

Si chiama azionariato critico ed è nato negli Stati Uniti oltre 40 anni fa.

Fondazione Finanza Etica lo pratica dal 2008 con Eni (petrolio e gas), Enel (energia), a cui si sono aggiunte poi Leonardo e Rheinmetall (armi), Acea (acqua), Generali (assicurazioni), H&M (vestiti). Le assemblee si tengono tutte tra aprile e maggio, quando sono pronti i bilanci dell’anno precedente, che devono essere approvati.

Ci andiamo con organizzazioni e movimenti come Re:Common, Rete Italiana per il Disarmo, Forum Acqua Pubblica, Campagna Abiti Puliti e con il sostegno di Greenpeace, Amnesty International, Legambiente e della rete europea Shareholders for Change (azionisti per il cambiamento).

Facciamo domande, decine di domande molto puntigliose. Siamo dei rompiballe.

Le imprese ci rispondono e, a volte, grazie anche alla nostra insistenza, decidono di cambiare qualcosa: inquinare un po’ di meno, investire un po’ di più nelle energie pulite, scrivere meno baggianate sui bilanci di sostenibilità.

 

Nella stagione 2020 il virus ci ha impedito di partecipare di persona alle assemblee generali.

 

L’abbiamo fatto però da casa, in ciabatte, mutande e calzini colorati (il nostro segno distintivo), inviando le domande via mail, seguendo le assemblee su internet o organizzando delle contro-assemblee in streaming. Non ce l’aspettavamo a dire il vero ma ne sono successe delle belle anche quest’anno: abbiamo fatto votare una nostra proposta, in diretta internet, all’assemblea di H&M a Stoccolma.


La contro-assemblea per criticare il piano di decarbonizzazione di Eni è stata vista da oltre 30.000 persone sui social.

Il resto ve lo raccontiamo mercoledì 17 giugno.

 

Mauro Meggiolaro