Avviare un’impresa. Se sei donna è ancora più difficile

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Il progetto “Giovanni donne: che impresa!”

 

Nel 2021 Fondazione Finanza Etica ha sostenuto, grazie il fondo utili di Etica Sgr, due progetti di sostegno all’imprenditorialità femminile contro la violenza di genere.

Giovani donne: che impresa!” ha accompagnato un gruppo di donne che hanno sofferto in ambito lavorativo le conseguenze di questa pandemia . 

La fase pandemica che stiamo vivendo, il brusco calo dell’occupazione femminile fotografato anche dall’Istat e la difficoltà a riattivare strade di uscita da questa crisi ha importanti risvolti di genere che hanno avuto e continueranno ad avere ricadute pensantissime sulle donne. Molte donne sono spinte dalla motivazione di mettersi in proprio, avviare un’attività che sia tutta loro; spesso però si apre una impresa senza avere realmente contezza di tutti i passi che servono perché sia duratura. 

“Giovani donne che impresa!” ha cercato di fornire un aiuto concreto sul piano del rafforzamento interiore e per capire meglio chi si è e quali sono i propri obiettivi; al fine di dare sostenibilità al loro progetto.

Presso il Centro Donna di Roma, gestito da Pangea, è stata realizzata  una attività di supporto, informazione e formazione rivolta al reinserimento nel mondo del lavoro attraverso l’avvio all’impresa, la creazione di autoimpiego e con la possibilità di accedere al microcredito.

 

L’intervista

Abbiamo fatto due chiacchiere con Simona Lanzoni, vice presidente di Pangea, e Gaia Orzi, coordinatrice e referente del progetto.

 

Da quali esigenze è nato il vostro progetto?

Per dare delle risposte concrete alle difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro per le giovani donne. Il periodo di pandemia ha acuito ancora di più questo problema. I dati citati dalla viceministra Cecilia Guerra sulla perdita del lavoro femminile sono spaventosi!

Si punta ancora troppo poco concretamente sulle potenzialità delle giovani donne in Italia che ..ancora non sono fuggite all’estero.

È fondamentale sostenere la leadership femminile con strumenti volti sia all’apertura di microimprese che nella ricerca del lavoro. Sono da considerare anche altre categorie fragili: le donne vittime di violenza, per esempio; o coloro che hanno altri tipi di vissuto migratorio, che hanno spesso qualche difficoltà in più da superare per inserirsi.

Viviamo in un mondo in cui ti dicono che ci sono una marea di strumenti per accedere al credito. Però nessuno spiega che non si nasce imprenditrici. E che non basta una buona idea per aprire una impresa che duri oltre i primi due anni!

Ci vuole capacità e tenacia, ma anche strumenti per strutturare il proprio lavoro e affrontarlo giorno dopo giorno.

Noi forniamo questi strumenti.

Mettiamo anche in guardia sul fatto che essere donne imprenditrici vuol dire fare i conti con discriminazioni e ostacoli affrontati in modo diverso dagli uomini. Un esempio tra tutti: la garanzia per avere accesso al credito; oppure come conciliare i tempi di cura della famiglia con la gestione del lavoro.

Per questo il progetto nasce dal desiderio di offrire alle donne un percorso gratuito di supporto e formazione all’avvio di impresa. Proponiamo strumenti che favoriscano l’inserimento lavorativo e che aiutino le donne a costruire o rafforzare la propria autonomia economico-finanziaria e capacità decisionale; anche per permettere loro di affrontare le sfide che le attendono.

 

Quali sono gli obiettivi di progetto?

L’obiettivo del progetto è quello di raggiungere le donne tra i 23 e i 40/45 anni che vogliono posizionarsi o riposizionarsi nel mondo del lavoro o della microimpresa. Il corso è gratuito per essere più inclusive possibili.

L’insieme delle lezioni e incontri con professioniste e professionisti ha il fine di fornire strumenti concreti per la costruzione dell’idea imprenditoriale. In parallelo si lavora sulla motivazione che spinge a prendere una tale strada, un percorso più “intimo” che valorizza le competenze personali e fa prendere consapevolezza di cosa vuol dire essere imprenditrice di se stessa, a prescindere dalla decisione di mettersi in gioco nel mondo del lavoro.

 

Come si è strutturato?

Il percorso si è strutturato in una serie di incontri che si sono svolti da settembre a dicembre 2021 e che hanno visto la partecipazione di 9 persone docenti esterne e 18 donne tra i 23 e i 45 anni.

Gli incontri si sono svolti in presenza a Roma presso il Centro Donna di Fondazione Pangea. La struttura degli incontri è variata molto a seconda dell’argomento e dell’insegnante, passando da classici incontri frontali a incontri estremamente dinamici con attività e giochi di gruppo. 

In questo momento, stiamo continuando a tenere vivo il gruppo con l’organizzazione di altri incontri informali per rimanere aggiornate sui percorsi delle partecipanti e proseguire l’attività di sostegno individuale, anche in vista di eventuali richieste di accesso al microcredito. Inoltre, questi incontri saranno un’occasione per far incontrare le partecipanti con alcune alcune donne che hanno seguito le edizioni precedenti del Corso, affinché possano raccontare la loro esperienza. 

 

Le partecipanti sono state selezionate mediante una call. Come è stata la risposta a questa proposta formativa? avete riscontrato interesse?

È andata molto bene! 

In seguito alla pubblicizzazione del Corso abbiamo ricevuto numerose candidature, tre volte superiori al numero dei venti posti che potevamo coprire. Con tutte le candidate abbiamo svolto colloqui per conoscerci a vicenda, conoscere la loro idea di impresa e spiegare la struttura del Corso, sia da un punto di vista strettamente pratico e organizzativo sia da un punto di vista di impostazione e obiettivi.

Siamo soddisfatte, perché solo 2 persone su 20 non hanno seguito il corso fino alla fine del suo percorso, con un tasso di abbandono quindi molto basso.

 

L’esperienza del percorso: quali sono i punti di forza che avete riscontrato, quali le cose da migliorare.

La formazione che offre Pangea, il mix di diverse lezioni sia sui temi che nelle modalità hanno una maggiore efficacia quando sono condotte dal vivo. Infatti, malgrado la pandemia ci abbia costretto tutti e tutte a interfacciarci online, per il corso Giovani Donne Che Impresa funziona meglio la formazione in presenza. Ciò perché il confronto diretto con i e le docenti, durante i giochi di ruolo, e la forte relazione di scambio e confronto tra le partecipanti, non ha paragoni fatta in presenza con quello che si produce online.

I punti di forza sono la qualità e l’originalità dell’offerta formativa, che automaticamente attiva l’atmosfera che il Corso riesce a creare durante gli incontri, sia tra docenti e partecipanti sia tra le partecipanti. Spesso sono legami e contatti che vengono mantenuti oltre il termine del Corso. Il capitale sociale che viene generato è il vero surplus.

 

Quali i prossimi passi?

Al fianco degli incontri con i docenti esterni stiamo organizzando altri incontri informali per rimanere aggiornate sui percorsi delle partecipanti e proseguire l’attività di sostegno individuale, anche in vista di eventuali richieste di accesso al microcredito. Inoltre, stiamo facendo incontrare le partecipanti con figure interessanti per ampliare e approfondire le conoscenze sui temi del mondo dell’impresa e per ascoltare l’esperienza di alcune donne, oggi micro imprenditrici, che hanno seguito le edizioni precedenti del Corso e possono raccontare la loro esperienza.

 

Vorremmo concludere chiedendo un consiglio, a noi e, più in generale, ai soggetti che erogano fondi e liberalità. Quali sono gli elementi principali da tenere presente, rispetto a questo target specifico?

Non si nasce imprenditrici e non basta una idea, lo abbiamo detto anche prima. A oggi il sistema italiano per l’avvio d’impresa è focalizzato completamente sui servizi finanziari al credito, microcredito incluso.

Serve un cambio di stagione. Di fatto serve una seria strategia di investimenti sui servizi non finanziari all’accompagnamento all’avvio di impresa, che permettono di erogare anche formazione / accompagnamento individuale e di gruppo, verso una presa di coscienza di cosa vuol dire avviare una microimpresa, mettere le basi per l’avvio di una impresa o rendersi conto, prima di indebitarsi, che è meglio soprassedere e orientarsi nel cercare lavoro dipendente.

Ecco perché è necessario iniziare a ragionare in termini di percorso di accompagnamento all’avvio di impresa e non solo di semplice sostegno economico, che trova il tempo di una idea e dietro l’angolo dopo meno di due anni fallisce.

Giovani Donne che Impresa vuole essere, seppure nel suo piccolo, una micro risposta a questo bisogno. c’è sete di sapere su come si avvia un’ impresa , non diamolo per scontato!

 

 

Per fare una CSA ci vogliono partecipazione, solidarietà e fiducia

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CSA

Una ricerca, in corso di realizzazione e sostenuta da Fondazione Finanza Etica, indaga l’esperienza delle CSA – Comunità di Supporto all’Agricoltura. I risultati del Progetto NUMES.

 

Le Comunità a Supporto dell’Agricoltura (CSA) sono un’esperienza di economia solidale. Sono comunità che, seguendo i principi di autorganizzazione non gerarchica e di solidarietà, autoproducono cibo sano, locale e sostenibile. Si tratta di progetti vivi e attivi in diverse parti del territorio Italiano e rappresentano un fenomeno in rapido aumento.

Il Progetto NUMES parte dall’assunto che in un contesto economico come l’attuale, in cui l’emergenza economica, sociale e civile sta rendendo sempre più evidenti ed esasperando le crisi, l’economia solidale possa essere uno strumento di contrasto a questa crisi, diffondendo un approccio rivolto al rispetto e al sostegno reciproco.

Per questo ha iniziato a indagare le Comunità di Supporto dell’Agricoltura, perché riconosce nelle CSA una pratica virtuosa non solo sul piano economico e ambientale, ma anche su quello della giustizia sociale e del rispetto del diritto al cibo e alla sovranità alimentare.

 

I risultati della ricerca del Progetto NUMES

Ne parliamo con Alessandra Piccoli e Adanella Rossi, coordinatrici della ricerca. Alessandra Piccoli è ricercatrice presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Bolzano, Adanella Rossi è professoressa associata al Dipartimento di agricoltura, cibo e ambiente dell’Università di Pisa.

Adanella, qual è il punto di vista metodologico della ricerca?

Abbiamo realizzato una ricerca partecipativa. Non ci interessava solo approfondire il tema della CSA, conoscerle meglio, ma soprattutto coinvolgere le Comunità partecipanti della ricerca, perché non si sentissero solo un oggetto di studio, ma un soggetto propositivo.

Quante sono le comunità e come le avete coinvolte?

All’indagine hanno partecipato dodici Comunità, censite attraverso la Rete Nazionale Italiana delle CSA. Abbiamo inviato due questionari online, uno destinato a un referente per ogni Comunità e uno a tutti i soci che partecipano alla CSA. Ai questionari sono state affiancate dodici interviste a completamento della raccolta di informazioni.

Siete in grado di anticipare qualche risultato?

Sì, perché il progetto è decisamente a buon punto. Abbiamo concluso questa fase della ricerca, che ha evidenziato come le CSA operino prevalentemente in ambito urbano e periurbano e come la totalità delle CSA analizzate sono costituite da persone che vivono in questo ambito. In coerenza con le motivazioni di fondo, dunque, queste Comunità si sviluppano in un ambiente più urbano che rurale.

Qual è la storia di queste esperienze di economia solidale? Sono un fenomeno recente? 

La prima realtà italiana risale al 2010 e poi, goccia a goccia, ne segue un’altra nel 2012 e una terza nel 2013. Tuttavia, la maggioranza delle CSA italiane censite è nata tra il 2017 e il 2018.

È interessante anche capire da chi è venuta la spinta. Alessandra, questa spinta è partita dal mondo agricolo, cioè dai produttori, o ha risposto soprattutto a una esigenza dei “consumatori”?

A prendere l’iniziativa in sei casi su dodici sono stati gli agricoltori, ci dice la ricerca; dei restanti, 4 casi sono costituiti da un gruppo di consumatori e in due casi si è trattato di una iniziativa congiunta, parte di un percorso di economia solidale più ampio, all’interno di un Distretto di Economia Solidale, cioè reti locali che collegano le realtà di economia solidale di un territorio, e quindi Gas, produttori e fornitori, associazioni, in circuiti di idee, informazioni, prodotti e servizi.

Mi dicevi che avete fatto una mappatura delle parole chiave che, nell’opinione dei referenti, definiscono queste Comunità.

La prima parola è partecipazione e, a seguire, solidarietàfiducia. Sono questi gli elementi fondamentali dell’esperienza. Per chi ha promosso la nascita delle CSA risulta molto importante la solidarietà reciproca, meno il garantire accesso al cibo locale e biologico.

Cioè?

In molti casi la nascita della CSA è legata all’evoluzione di uno o più GAS, o comunque di quel modello, con il desiderio di arrivare a un rapporto più stretto, responsabile e di maggior supporto nei confronti di chi coltiva. La forma organizzativa di queste Comunità è sostanzialmente quella della cooperativa o dell’associazione di promozione sociale.

Che dimensioni hanno le singole Comunità?

Il numero di soci/famiglie varia fortemente, come anche quello degli agricoltori, che dipende dal numero delle famiglie. Ci sono CSA di piccole dimensioni, composte da 10-20 soci, fino alle più numerose, che ne contano tra 150 e 200.

Adanella, ci descrivi i principi economici su cui si strutturano?

Il costo annuale di una fornitura per 10-12 mesi l’anno si aggira tra i 400 e gli 800 euro, con costi minori per le CSA che non consegnano costantemente. Il valore economico prodotto dalle Comunità varia, conseguentemente, in modo significativo: da poche migliaia a centinaia di migliaia di euro.

Un elemento peculiare di solidarietà tra i soci è la cosiddetta “asta a offerta libera”: i costi complessivi di produzione, valutati sul bilancio preventivo, sono ripartiti tra i soci a partire da un’offerta libera dei singoli. In questo modo si consente di partecipare secondo le proprie effettive possibilità economiche. Questa modalità è applicata da 4 su 12 CSA indagate.

Sarebbe interessante un approfondimento sul modello di governance. Quali sono gli elementi che emergono dalla vostra ricerca?

In coerenza con l’importanza attribuita alla partecipazione, alle attività della Comunità partecipano anche i soci, a titolo di volontariato. I ruoli sono diversi: da quelli strettamente legati alle attività di campo (coltivazione, raccolta) a quelli legati alla logistica (preparazione delle cassette, distribuzione) a quelli di carattere gestionale (amministrazione, comunicazione). L’impegno è molto variabile, da poche ore all’anno a molte ore ogni settimana, secondo disponibilità e piacere.

In generale, la governance delle CSA è inclusiva, democratica e basata su metodi consensuali. L’organizzazione delle attività è fondata sull’adesione volontaria a gruppi di lavoro e solo raramente gestita da un direttivo nominato o eletto.

Quali sono le relazioni con le comunità e i territorio?

L’interazione con l’esterno è variabile. In generale, sono Comunità che sentono di non avere un ruolo politico forte, sebbene lo riconoscano in potenza. Si riconoscono, invece, come attori in ambito agricolo, alimentare e sociale.

E per quanto riguarda i consumatori? Alessandra, da cosa sono mossi, quali i loro bisogni?

Le motivazione sono legate ad avere prodotti biologici, locali ed etici, ma anche una generica condivisione del progetto e il desiderio di sostenere un modello agricolo biologico, ecologico e solidale. La maggioranza di chi ha risposto al sondaggio svolge un ruolo attivo nella sua organizzazione, come volontario.

Tra i bisogni evidenziati, mi sembra importante sottolineare come la partecipazione a queste pratiche di Comunità abbia fatto crescere significativamente la loro consapevolezza riguardo sia alle pratiche agricole alimentari sia, e ancora di più, alla dimensione sociale e relazione della filiera agro-alimentare.

Vorremmo capire qualcosa sul campione socio-demografico. Sono scelte per persone abbienti? I giovani sono coinvolti?

La maggioranza delle famiglie aderenti è composta da 2-4 persone. Se è vero che il 54% si dichiara in condizioni economiche soddisfacenti, il 30% dice di essere in condizioni modeste, a riprova che non è un modello elitario. Sono invece minoritari i giovani, sia single che in coppia, con o senza bambini: il 65% dei rispondenti è composto da persone mature.

Quali conclusioni avete tratto, in sintesi?

La solidarietà verso gli agricoltori e tra consumatori emerge come un cardine del modello, che si affianca alla ricerca di cibo sano, locale ed ecologico. Le difficoltà nel mantenere stabile l’equilibrio economico e dare, quindi, sostenibilità all’innovatività del rapporto si affiancano alle sfide della dimensione sociale che, seppur fondamentale, richiede tempo e cura.

L’agricoltura supportata dalla comunità è, in Italia come altrove, una sfida, spesso consapevolmente politica, al sistema di mercato e alle sue logiche.

Quanto sia in grado di consolidarsi e offrire una reale alternative lo dimostrerà negli anni a venire.

 

Gli autori e le autrici del Progetto NUMES

Il progetto è coordinato dall’Area Nord-Est di Banca Etica e promosso dalla cooperativa Arvaia, in collaborazione con la Rete Italiana delle CSA, le associazioni Defeal e Ortazzo e l’azienda agricola Podere alla casetta. Il supporto scientifico è a cura delle Università di Bolzano, Pisa e Urbino.

 

Il progetto Portatori di Valore

Fondazione Finanza Etica gestisce un fondo liberalità assegnatole da Banca Etica e costituito da una percentuale degli utili dell’anno precedente, che prevede che una parte del fondo sia destinato al sostegno di progetti proposti dai Portatori di Valore o con loro direttamente co-progettati.

Il Progetto NUMES è stato presentato dall’Area Centro insieme ai Soci Lavoratori di Banca Etica.

I cosiddetti Portatori di Valore di Banca Etica sono costituiti dai seguenti stakeholder:

– le 5 aree territoriali (centro, nord-est, nord-ovest, sud e Spagna), che nascono dalla volontà della Banca di dare voce alle istanze locali e, contestualmente, sviluppare un’azione più radicata e coordinata sul territorio;

– i soci del Tavolo di Riferimento, costituito dalle seguenti realtà, alcune delle quali hanno contribuito a fondare la Banca: Acli, Agesci, Arci, Associazione Botteghe del Commercio Equo e Solidale, Aiab, Cgm (Consorzio Gino Mattarelli), Cisl, Cooperativa Oltremare, Cooperazione Terzo Mondo (Ctm-Altromercato), Fiba Cisl, Emmaus Italia Gruppo Abele, Mag2 Finance Milano, Mag Venezia, Mani Tese, Overseas, Uisp;

– lavoratori e lavoratrici del gruppo bancario Banca Etica e della Fondazione Finanza Etica, Fundación Finanzas Éticas, soci di Banca Etica.

 

Gli altri progetti sostenuti per la valorizzazione delle aree interne

L’Area Centro, insieme ai Soci Lavoratori, ha presentato il progetto COM-RES, ricerca-azione sulle aree interne resilienti. L’Area Nord-Ovest il progetto “Seminare comunità“, per la creazione di nuove comunità a presidio dei territori montani.