È online il nuovo Bilancio Sociale 2020 di Fondazione Finanza Etica

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Bilancio Sociale 2020

Scarica il Bilancio Sociale 2020

 

Il Bilancio Sociale per noi non è moda, ma operazione di trasparenza

 

Redigere un bilancio sociale, per una fondazione culturale, non può essere un mero adempimento formale o tanto meno una “moda” oggi canonizzata dalle norme europee sulla responsabilità sociale d’impresa. Per noi, invece, è un modo di dare attuazione a un valore costitutivo della finanza etica: la trasparenza.

Il Manifesto della finanza etica, infatti, la qualifica come trasparente,. E chiarisce:

“L’intermediario finanziario etico ha il dovere di trattare con riservatezza le informazioni sui risparmiatori di cui entra in possesso nel corso della sua attività, tuttavia il rapporto trasparente con il cliente impone la nominatività dei risparmi. I depositanti hanno il diritto di conoscere i processi di funzionamento dell’istituzione finanziaria e le sue decisioni di impiego e di investimento. Sarà cura dell’intermediario eticamente orientato mettere a disposizione gli opportuni canali informativi per garantire la trasparenza sulla sua attività”.

La trasparenza non è esplicitamente contemplata come principio costituzionale. Tuttavia la Corte Costituzionale vi ha più volte fatto riferimento per costituire, in via ermeneutica, la base di molte leggi e norme a tutela dei diritti dei cittadini nei confronti dell’Amministrazione, fondandone così la garanzia giurisdizionale. Così non è improprio scorgere in questo strumento tecnico – il bilancio sociale – un riverbero del modo di essere delle organizzazioni (non solo pubbliche) che nella Costituzione trova ispirazione.

 

Il Bilancio Sociale parla di una pluralità di portatori di interesse

Ma se la trasparenza è un modo di essere e non solo di agire, allora il bilancio sociale è uno strumento per guardarsi dentro e provare a interpretarsi con un paradigma diverso da quello tradizionale e un po’ desueto dell’impatto economico. Che è indubbiamente il parametro con cui per lo più le imprese, le organizzazioni, ma sempre più, purtroppo, anche gli enti pubblici tendono a misurarsi.

“Dato il patrimonio o il capitale a disposizione, quanta ricchezza ho prodotto durante lo scorso anno? E a chi la ho distribuita?”.

Domanda più che legittima. Anzi direi quasi scontata, ovvia. Tipica però di uno shareholder, di colui che possiede l’impresa.

Ma il punto di vista dello stakeholder, di colui che è portatore di un interesse non necessariamente economico nei riguardi dell’organizzazione è diverso, più articolato, diciamo pure più complesso.

Una corretta visione della funzione del bilancio sociale dovrebbe rispondere a questa pluralità di portatori di interesse che, per noi della finanza etica, sono anche e soprattutto portatori anche di valori. E dovrebbe misurarsi su questa difficile e complicata frontiera.

Questo abbiamo tentato di fare nel nostro primo bilancio sociale, quello delle attività svolte nel 2020. Che deve essere letto come un prototipo, con il quale iniziamo a disegnare la fitta rete di portatori di interesse e valori con cui questa piccola fondazione costruisce quotidianamente relazioni e progetti. E che ne determinano l’identità, appunto complessa e multiforme.

 

La nostra immagine, sempre in movimento.

 

In questa prima edizione del bilancio sociale ci siamo osservati e descritti attraverso gli occhi di chi nella fondazione lavora (lo staff, fatto di lavoratrici e collaboratori) e di chi ne determina gli indirizzi e la governa (il Consiglio d’Indirizzo). Abbiamo così avuto l’occasione per riflettere sui risultati di un anno di lavoro, ma anche sulle difficoltà e i limiti registrati in questo periodo, peraltro caratterizzato dalla pandemia.

È sempre così in ogni costruzione umana: siamo ineluttabile imperfezione, a differenza degli algoritmi a cui sempre più tendiamo ad affidare le nostre scelte nella pericolosa illusione di raggiungere la perfezione attraverso una versione artificiale della nostra intelligenza. È proprio, invece, soltanto la nostra fallace, ma unica, intelligenza che ci fa scartare di lato e scegliere strade diverse da quelle fin troppo note.

Così, da questo primo prototipale Bilancio Sociale 2020, abbiamo colto il bisogno di misurare meglio il nostro impatto, non espresso soltanto in termini economici, su una più ampia platea di stakeholder: lo faremo con il Bilancio Sociale 2021. Ma l’apertura, la trasparenza resteranno il tratto distintivo di questo work in progress. Niente operazioni di marketing, effetti speciali e grafiche spettacolari: solo quel che serve per capire. Cipria e belletto servono a mascherare il vero volto delle cose. Ma alla fine non funzionano perché il trucco si scioglie, si deteriora e mostra il volto cadente e consunto dietro la maschera.

Noi abbiamo scelto di indagarci e rappresentare le cose come sono. Che è, insieme, la condizione per conoscersi, cambiare direzione e dare un senso al nostro esserci. Questo senso per noi è quello di essere sempre in cammino, in cerca di (nuovi) orizzonti.

A Pitagora chiedevano “perché l’uomo è al mondo”; lui rispose “per osservare il cielo”. Questa sarebbe la nostra maggiore ambizione, anche attraverso il bilancio sociale.

 

Simone Siliani

Direttore Fondazione Finanza Etica

Graduatoria Servizio Civile – Toscana

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graduatoria servizio civile toscana

Pubblichiamo la graduatoria per il progetto di Servizio Civile – Educarci ad un approccio critico e ad un uso responsabile del denaro – FINANZIATO CON IL FSC 2014-2020.

In base alla valutazione dell’idoneità dei candidati allo svolgimento dello specifico progetto di servizio civile, sulla base del cv e di un colloquio, l’ente ha stilato la graduatoria dei candidati qui di seguito riportata.

La graduatoria è definitiva, fatte salve le verifiche di competenza dell’ufficio regionale per il Servizio Civile.

 

È possibile visionare la graduatoria >QUI<

 

La stagione assembleare 2021

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la stagione assembleare 2021

 

Seguire la stagione assembleare 2021. Ovvero di grandi noie e qualche buon risultato

In tempi di Covid l’azionista critico è come un ghepardo in gabbia, costretto a guardarsi a ripetizione documentari sulle gazzelle che sfrecciano nella savana. Con la differenza che almeno si può fare qualche inseguimento per procura. È quello che è successo anche nella stagione assembleare 2021, che si è conclusa da poco. 

Pur essendo tutti parte di una grande famiglia europea, ogni Paese ha però le sue usanze. E così in Italia le assemblee degli azionisti non sono state trasmesse nemmeno a distanza. Se ne è avuta notizia dalle convocazioni, se ne sono lette appassionate cronache sui verbali. Ma le porte erano chiuse e le telecamere spente. E agli azionisti non è restato che spedire domande scritte e attendere, pazienti, le risposte. 

In Germania, invece, si è potuto seguire i lavori in diretta dallo schermo del computer, ma senza interagire. Alle domande scritte, inviate con largo anticipo, sono seguite risposte orali. Da appuntare a mano, con l’uso di una penna o di un lapis, per cancellare agevolmente eventuali errori, visto che ogni registrazione è vietata e le imprese tedesche non sono avvezze a pubblicare verbali. 

In Svezia non si sono persi l’ennesima occasione per dimostrarsi più cool di tutti gli altri: assemblee in streaming e possibilità di interagire in diretta via chat. Però solo se si capisce lo svedese, perché non sono previste traduzioni né sottotitoli in altre lingue. Inte för allt smör i Småland, che letteralmente significa “neanche per tutto il burro dello Småland”, e cioè tutto l’oro del mondo. 

E visto che i mezzi per garantire la partecipazione virtuale hanno lasciato a desiderare, ci siamo organizzati con le contro-assemblee online, dove in assenza di contraddittorio abbiamo potuto suonarci e cantarci i nostri stornelli preferiti. Con un pubblico peraltro molto superiore a quello che generalmente frequenta le assise ufficiali. 

 

A furia di “rompere”, si aprono crepe durante la stagione assembleare 2021

Non sono mancate, però, le soddisfazioni. Come quando il colosso della moda H&M ha ceduto e ci ha finalmente rivelato il modo in cui calcola i bonus che paga ai suoi manager. Era il terzo anno consecutivo che glielo chiedevamo. Oppure quando Enel ci ha invitato a confrontarci sulla “povertà energetica”, l’impossibilità di molte famiglie di accedere ai servizi energetici di base. Un problema molto sentito in Spagna. O, ancora, quando Eni ha risposto alle 99 domande che abbiamo inviato, assieme a Greenpeace e Re:Common, sul piano di transizione energetica della società, che continua a non convincerci. Per la prima volta si sono uniti alla nostra azione anche gli studenti di Scomodo, la più importante rivista universitaria italiana. 

Indimenticabile anche lo scambio, per ora solo in forma scritta, con la multinazionale belga della chimica Solvay. Abbiamo chiesto di darci spiegazioni sulle spiagge caraibiche generate dagli scarichi della società a Rosignano, in Toscana. Su Report hanno detto che le conseguenze sulla salute non sarebbero proprio trascurabili. Solvay però dice che è tutto a posto. Scaricherebbe solo «calcare inerte e altri materiali naturali, come gesso e sabbia. Non tossici, né pericolosi». Sarà, ma la cosa non ci convince del tutto. 

 

Lotta dura contro chi produce armi

Molte magre, invece, le soddisfazioni (se si può usare questo termine) con Rheinmetall, l’impresa tedesca che in Sardegna produce le bombe che finivano sulla popolazione yemenita. Nella diretta a senso unico con gli azionisti, il marmoreo amministratore delegato Armin Papperger non ha fornito, in pratica, alcuna informazione utile. Rispettiamo le leggi e tutto il resto sono dati sensibili. Vi basti così. 

Però non ci basta. E visto che l’impresa non ci risponde siamo andati da uno dei suoi maggiori investitori: il famoso fondo pensione norvegese. “The Fund”, come si definiscono loro stessi. «Il più grande azionista singolo nei mercati azionari globali», con 1.140 miliardi di euro di patrimonio. 

Nel maggio del 2020 abbiamo scritto al fondo, che detiene il 2,69% di Rheinmetall, per chiedergli di vendere le azioni dell’impresa. Ora pare che i norvegesi vogliano approvare un nuovo criterio per escludere gli investimenti in società che vendono armi a Stati in guerra. Un primo passo verso una probabile, futura vendita dei circa 104 milioni di euro in azioni dell’impresa tedesca detenute da “The Fund”. 

Se succederà, sarà anche un po’ merito nostro. 

 

Mauro Meggiolaro, analista di Fondazione Finanza Etica