All’assemblea degli Azionisti di H&M forti dei risultati del 2020

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Il 6 maggio andremo, anche quest’anno in streaming, all’assemblea di H&M. Saremo più agguerriti che mai, visto il buon risultato dell’anno scorso. Vi ricordate come era andata?

Le domande che l’anno scorso abbiamo posto al colosso svedese della fast fashion sono state rivolte all’altissimo impatto ambientale del loro comparto di logistica e dei trasporti, alla pubblicità ingannevole che il brand fa su alcune linee di prodotto e sui diritti dei lavoratori non solo in Cina, ma anche negli USA. Le abbiamo costruite grazie alla ricerca realizzata dal Centro Nuovo Modello di Sviluppo, finanziata grazie all’Erogazione Liberale 2018 di Etica SgrRisposte come sempre standard, che non ci hanno soddisfatto per niente.

 

La mozione della Fondazione

La cosa più interessante dell’attività di azionariato critico su H&M, tuttavia, è il fatto che la legislazione svedese consente di presentare una mozione in assemblea anche ai possessori di una sola azione dell’azienda (in Italia bisogna possedere almeno il 2,5% delle quote).

La Fondazione, con una sola azione, ha potuto presentare una mozione per chiedere che la remunerazione del CEO fosse collegata a chiari e verificabili obiettivi di sostenibilità.

Mauro Meggiolaro ha partecipato all’AGM online il 7 maggio.

Tuttavia, a un certo punto, Sven Unger, presidente della riunione, ha richiesto che la Fondazione presentasse la risoluzione. Attraverso la chat dell’AGM è stato possibile scrivere, in inglese, perché fosse importante la trasparenza della società nei suoi obiettivi di remunerazione ESG, specialmente per quanto che riguarda i diritti dei lavoratori. Tramite Mauro Meggiolaro, la Fondazione ha quindi richiesto che la propria risoluzione fosse votata da tutti gli azionisti. E in effetti tutti gli azionisti l’hanno votata.

La risoluzione ha ottenuto il 3,6% dei voti a favore da parte di 419 azionisti. Si tratta indubbiamente di un buon inizio, considerando che il 77,5% delle azioni con diritto di voto è detenuto dalla famiglia Persson, cioè la famiglia che ha fondato H&M e suo principale azionista. Ciò significa che il 16% delle azioni con diritto di voto non detenute dai Persson ha votato con la Fondazione. Risultato ancora più notevole, perché  raggiunto senza alcuna attività di lobby o promozione della risoluzione.

 

Gli azionisti più noti che hanno votato a favore della nostra risoluzione

Amundi, Blackrock, BNP Paribas, Caisse des Depots et Consignations, CalPERS, CalSTRS, Calvert, Catholic United Investment Trust, Christian Brothers Investment Services, Desjardins, Natixis, Evangelical Lutheran Church in America, Robeco, Folksam, Fonds de Reserve pour le Retraites, Handelsbanken, Invesco, JPMorgan Chase Bank, Mercy Investment Services, Michigan Catholic Conference, Ministers and Missionaries Benefit Board of American Baptist Church, Nordea, Pictet, Pimco, Russell, Schwab, Skandia, PME, STAP, APG, Church of England, TIAA-CREF, Union Investment, United Church Fund, United Nations Pension Fund, Walden, World Trade Organisation Pension Plan.

 

Cerchiamo volontari del Servizio Civile

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Calendario Colloqui Servizio Civile Regionale

Avviso per la selezione di n.2 volontari da impiegare nel progetto di Servizio Civile Regionale (Toscana)

30/04/2020

Nell’ambito del progetto Giovanisì della Regione Toscana –  Servizio civile la Regione Toscana ha stabilito una proroga anche per l’anno 2021, finanziata con risorse FSC 2014/2020, .

Fondazione Finanza Etica seleziona 2 volontari da impiegare nel progetto “EDUCARCI ad un approccio critico alla finanza e all’uso consapevole del denaro”.

I volontari selezionati prenderanno parte alle attività di formazione, sensibilizzazione e promozione della Finanza Etica e dell’uso responsabile del denaro per contribuire a promuovere la partecipazione dei cittadini, giovani e adulti, nella definizione di un percorso di cittadinanza economica all’interno di una dimensione collettiva, secondo dei parametri di sostenibilità oltre che di utilità.

Il servizio civile si svolgerà presso la sede operativa di FFE a Firenze in viale Amendola 10, per 25 ore settimanali su 5 giornate lavorative.

Il Servizio civile è una importante opportunità formativa e umana oltreché professionale per quei giovani con un’età compresa tra i 18 anni (già compiuti) e i 29 (quindi chi non ha ancora compiuto il 30° anno, ovvero 29 anni e 364 giorni) al momento della presentazione della domanda e in possesso dei requisiti indicati nel bando.

Durata e rimborso

Per il progetto Educarci si richiede un impegno settimanale di 25 ore per 12 mesi, ai giovani in servizio sarà corrisposto un assegno mensile di € 433,80.

Scadenza e domanda di partecipazione

La scadenza per la presentazione della domanda è venerdì 28 maggio 2020 ore 14:00;

La domanda di partecipazione può essere presentata esclusivamente on line, accedendo al sito: https://servizi.toscana.it/sis/DASC e seguendo le apposite istruzioni.

 

Per conoscere le modalità di partecipazione al bando ed i requisiti richiesti consultare il sito della Regione Toscana.

Fondazione Finanza Etica effettuerà una selezione dei volontari interessati a partecipare alla realizzazione del progetto sopra menzionato presso la sede operativa di Firenze, in viale Amendola 10.

 

Per ulteriori informazioni sul progetto e le modalità di selezione scrivi a:

palmisano.fondazione@bancaetica.org

Per  informazioni sul bando è possibile contattare:

Regione Toscana – Direzione Diritti di cittadinanza e coesione sociale – Settore Innovazione Sociale E-mail: serviziocivile@regione.toscana.it

Confermato lo stop alle bombe italiane verso il conflitto in Yemen

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Il TAR del Lazio respinge il ricorso di RWM Italia: confermato lo stop alle bombe italiane verso il conflitto in Yemen

Riconosciuto dai giudici il rischio di uso degli ordigni contro i civili e che la salvaguardia della popolazione è più importante dei ritorni economici

 

Amnesty International, Comitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibile, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei Focolari, Oxfam Italia, Rete Italiana Pace e Disarmo, Save the Children Italia accolgono con soddisfazione la decisione del TAR del Lazio. Il TAR con una ordinanza della scorsa settimana ha respinto le istanze avanzate dall’azienda RWM Italia contro la decisione del Governo di revoca definitiva delle licenze all’esportazione di missili e bombe d’aereo verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Si tratta degli ordigni di fabbricazione italiana utilizzati dalla coalizione a guida saudita nel conflitto in Yemen anche per bombardamenti indiscriminati contro la popolazione civile.

La decisione del Governo, presa a fine gennaio 2021 come primo caso del genere da quando è in vigore la Legge 185/90 sull’export militare, applica una Risoluzione parlamentare votata a dicembre 2020 che chiede al Governo di trasformare in revoca la sospensione delle autorizzazioni già votata dal parlamento nel luglio del 2019. Entrambi questi passaggi sono un positivo risultato della mobilitazione e delle pressioni del coordinamento della società civile italiana che, fin dall’inizio delle ostilità in Yemen, ha chiesto di bloccare le forniture di armamenti dal nostro Paese che vengono impiegati in quel sanguinoso conflitto.

 

La decisione del TAR del Lazio

Le nostre Organizzazioni valutano positivamente la decisione del TAR del Lazio sia per il risultato concreto sia, soprattutto, per le motivazioni addotte. Benché si tratti di una decisione cautelare è infatti significativo che, a distanza di pochi mesi, due giudici – uno penale (a riguardo dell’azione legale penale contro l’export di queste armi) e uno amministrativo – abbiano riconosciuto due punti fondamentali su cui si fonda la nostra mobilitazione. Nel provvedimento si legge infatti che risultano ampiamente circostanziati e seri i rischi che gli ordigni oggetto delle autorizzazioni rilasciate da UAMA possano colpire la popolazione civile yemenita, in contrasto con i chiari principi della disciplina nazionale e internazionale e che il ricorso di RWM non può essere accolto.

La salvaguardia e l’incolumità della popolazione civile prevale rispetto a quello della ricorrente alla conservazione della propria quota di mercato.

I commenti delle organizzazioni della società civile

A tal proposito l’avvocata Francesca Cancellaro (che rappresenta le organizzazioni della società civile nell’azione legale promossa nel 2018 da Mwatana, ECCHR e Rete Italiana Pace e Disarmo) ha dichiarato: “Si tratta di una ulteriore conferma che la direzione è quella giusta, un altro tassello verso la giustizia per le vittime yemenite uccise da armamenti esportati illegittimamente dal nostro Paese”.

Nel sottolineare l’importanza di continuare nell’accertamento di responsabilità ed eventuali violazioni delle norme nazionali ed internazionali le nostre Organizzazioni ribadiscono ancora una volta la richiesta a Governo e Parlamento di estendere il blocco e la revoca alle esportazioni di armamenti verso tutti i Paesi coinvolti nel conflitto in Yemen e per tutte le tipologie di armamenti e sistemi militari.

 

Amnesty InternationalComitato Riconversione RWM per la pace ed il lavoro sostenibileFondazione Finanza EticaMovimento dei FocolariOxfam ItaliaRete Italiana Pace e DisarmoSave the Children Italia 

Le risposte di Acea non ci convincono

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Una analisi delle risposte di Acea fatte dalla Fondazione all’assemblea degli azionisti. Che non ci convincono per niente

 

Oggi 22 aprile si svolge l’assemblea degli azionisti di Acea, la società, controllata al 51% dal comune di Roma, che gestisce acquedotti, reti elettriche e la raccolta dei rifiuti nella capitale e in varie regioni italiane.

La Fondazione partecipa per il quinto anno consecutivo come azionista critico portando in assemblea 34 domande anche a nome del Coordinamento Romano Acqua Pubblica (CRAP) e, per la prima volta, della rivista Scomodo.

Purtroppo anche quest’anno le assemblee si svolgono a porte chiuse causa restrizioni da pandemia da COVID-19. Abbiamo quindi inviato domande prima dell’Assemblea, come previsto dalla normativa. Acea ha risposto martedì 20, con una serie di note molto più approfondite rispetto agli anni scorsi.

 

Domande chiare, risposte un po’ meno

Abbiamo chiesto conto delle perdite della rete idrica di Acea ATO2 (Roma e provincia) e di quelle elevatissime di Acea ATO5 (Frosinone e provincia). Sembrano esserci miglioramenti: Acea ATO2 perde il 42,7% (nel 2019 era il 44%), ma nell’ATO5 ancora il 68,36% (nel 2019 era il 76,10%!). Ma la situazione delle perdite, soprattutto per ATO5, è decisamente insostenibile.

Scomodo, tra le altre domande, ha chiesto ad Acea come sia stato recepito l’esito del referendum del 2011 per la gestione pubblica dell’acqua. La società ha risposto in modo molto convinto che devono essere salvaguardate le aziende miste pubblico-private quotate in borsa, per evitare di tornare a una frammentazione del servizio e ribadendo che in molti territori le gestioni pubbliche sono caratterizzate da situazioni di grave emergenza.

Quindi, per Acea, società ancora più grandi, quotate in borsa, sostenute da azionisti privati.
Noi non siamo per niente d’accordo.

Il 95% dell’utile di Acea, di circa 178 milioni di euro, è stato distribuito agli azionisti, a dimostrazione che la società gestisce il gruppo in una logica finanziaria e non industriale, privilegiando gli azionisti a scapito dell’attività operativa.

E non capiamo il senso dell’investimento di 190 milioni di euro per l’impianto di potabilizzazione del Tevere e di desalinizzazione dell’acqua marina sul litorale di Roma, che, ci dice Acea, sono progettati come impianti di emergenza nei giorni di attivazione di massima portata invece di ridurre le perdite degli acquedotti. Impianti, peraltro, che Acea si auspica possano beneficiare di finanziamenti pubblici, in particolare a valere sul Piano Nazionale Ripresa e Resilienza.

 

Aggiornamento delle ultime ore

L’anno scorso, in occasione delle AGM in Italia ci era stata garantita la possibilità di inoltrare ulteriori domande, per replicare alle risposte ottenute. Nonostante la normativa per quest’anno sia la medesima, Acea non ci ha concesso diritto di replica.

Abbiamo chiesto alla società di avere l’opportunità di inoltrare le stesse domande al loro ufficio Investor Relations. Magari così otteniamo una risposta scritta. Anche se sarebbe ancora più interessante poterci confrontare in call dopo l’assemblea.

Vi daremo informazioni a breve!

 

Foto di Hands off my tags! Michael Gaida

È inutile piangere sull’acqua versata

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Di una ricerca dell’European House-Ambrosetti sul valore (economico) dell’acqua

 

La ricerca Community Valore Acqua, giunta alla seconda edizione, fra i tanti dati mette in risalto come il settore in Italia soffre di un cronico deficit di investimenti: 40 euro per abitante all’anno, contro una media europea di 100. Ci consegna così la fotografia di una rete idrica nazionale “anziana”: il 60% ha più di 30 anni e il 25% oltre i 50. Una rete che fa acqua da tutte le parti. Perdiamo infatti il 47,6% di acqua potabile prima che arrivi ai nostri rubinetti. Il 10% in più dello scorso decennio.

E quindi? Beh, visto che la tariffa media italiana è particolarmente bassa (2,08 € per metro cubo, cioè 0,2 centesimo al litro), il consiglio di Community Valore Acqua è: aumentiamo le tariffe così si potrà investire per migliorare le rete di distribuzione e disperdere meno acqua. Ma qualcosa non torna. Infatti, il fatturato del settore del ciclo idrico è aumentato del 4,4% annuo nel periodo 2013-2019, arrivando alla cifra record di 21,4 miliardi di euro. Ma allora se il fatturato sale e la rete peggiora, aumentando la dispersione dell’acqua potabile, dove vanno a finire questi flussi di soldi?

Noi possiamo raccontarvi una storia, che forse non spiega tutto, ma qualcosa sì.

 

L’azionariato critico della Fondazione su ACEA S.p.A.

Acea S.p.A. è la più grande azienda mista pubblico-privata nel campo delle multiutility di gestione della risorsa idrica italiana. Attraverso le sue diverse controllate, Acea apre e chiude i rubinetti di molte grandi città italiane, a partire dalla Capitale.

Fondazione Finanza Etica dal 2017 svolge attività di azionariato critico nei confronti di Acea, insieme al Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua. Da questa esperienza, possiamo dire che le cose non stanno esattamente come le descrive European House-Ambrosetti.

Nel 2017 concentrammo la nostra attenzione su Acea Ato 2, società controllata da Acea, che gestisce il servizio idrico di Roma e Provincia, 96 comuni per un bacino di utenza di circa 4 milioni di cittadini.

Dal 2011 al 2016 Acea Ato 2 aveva visto una crescita del suo utile netto dell’85,75%, passando da 48,37 a 89,85 milioni di euro. Ciò grazie all’aumento delle tariffe deliberata dalla conferenza dei sindaci nel 2012: dopo il referendum del 2011 era stata abolita la remunerazione garantita del capitale investito del 7% Tuttavia, le norme stabilite dall’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente hanno consentito aumenti di tariffa che hanno portato all’aumento della remunerazione del capitale degli azionisti del 10%. La motivazione era data dalla necessità di aumentare gli investimenti da realizzare nel periodo 2012-2015 sia per migliorare la rete idrica, ma anche per ridurre la dispersione. Nel Comune di Roma, infatti, si arrivava a picchi di dispersione del 45% rispetto all’acqua potabile immessa nella rete.

Gli investimenti nel quadriennio erano previsti per 951,8 milioni di euro. Peccato che i bilanci degli ultimi quattro anni evidenziavano che soltanto 576,83 milioni erano stati effettivamente realizzati; 374,97 milioni sono rimasti, infatti, nel cassetto. Ma mentre molte risorse restavano al palo, i soci di Acea Ato 2 aumentavano la remunerazione del capitale del 3% rispetto al passato. Infatti, nella stessa assemblea generale di Acea del 2017 gli azionisti intascavano cedole milionarie. Fra questi il 51% era detenuto dal Comune di Roma, che certo ci avrà fatto il proprio bilancio, ma a scapito di investimenti nella propria rete idrica.

 

Remunerazione degli azionisti e crisi idrica

In quella assemblea Fondazione Finanza Etica intervenne e votò contro il piano di remunerazione delle azioni che distribuiva agli azionisti (i maggiori Comune di Roma con il 51%, Suez SA per oltre il 23% e a Francesco Gaetano Caltagirone per circa il 5%) il 93% degli utili,. Pochi mesi dopo, Roma è andata incontro a una gravissima crisi idrica. Un esempio che dimostra cosa mette in pericolo la risorsa idrica in Italia: non le basse tariffe, né soltanto il deficit di investimenti, bensì l’incapacità di realizzare gli investimenti programmati e l’ingordigia degli azionisti.

A questo livello occorre individuare le cause dei mali denunciati dalla ricerca Community Valore Acqua. Altrimenti è inutile piangere sull’acqua versata.

 

Simone Siliani, direttore Fondazione Finanza Etica

 

Foto di Peter H da Pixabay

L’azionariato critico della Fondazione per il prossimo triennio

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Gli ultimi dodici anni di azionariato critico della Fondazione

Negli ultimi dodici anni, la Fondazione ha partecipato a 41 assemblee. Ha sottoposto decine di domande a sette grandi gruppi quotati in borsa, in collaborazione con organizzazioni della società civile italiana e internazionale. Ottenendo risposte, spesso insoddisfacenti, che hanno poi portato alla formulazione di nuove domande, a incontri con il management delle imprese, prima e dopo le assemblee, e ad alcuni, importanti risultati.
Questo è il piano di azionariato critico di Fondazione Finanza Etica per il prossimo triennio.

 

Il triennio 2021-2024

Gli indirizzi dell’azionariato critico della Fondazione per il prossimo triennio ruotano attorno ad alcuni capisaldi.

Impegno contro il riscaldamento globale, cioè a favore di una conversione di tutta la finanza verso la sostenibilità ambientale e non solo di quote percentualmente marginali dell’attività finanziaria degli enti di credito e delle società d’investimento.

Impegno sui temi della sostenibilità sociale degli investimenti e degli impieghi del risparmio. In particolare, Fondazione Finanza Etica concentrerà il suo impegno nell’azionariato critico sulle questioni dei diritti umani, sociali e sindacali dei lavoratori lungo l’intera filiera produttiva delle imprese sulle quali la Fondazione svolgerà attività di azionariato critico.

Impegno sui temi relativi alla Governance delle imprese. La Fondazione si concentrerà sui temi dell’elusione fiscale attraverso transazioni o collocazione di imprese nei paesi a fiscalità agevolata o veri e propri paradisi fiscali. Valuterà inoltre le retribuzioni dei manager e i parametri ESG di valutazione. Grande attenzione sarà posta anche alle questioni di equilibrio di genere all’interno degli organi, della struttura e delle retribuzioni.

 

L’azionariato critico e la finanza etica

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L’azionariato critico per Fondazione Finanza Etica

L’azionariato critico è per Fondazione Finanza Etica uno strumento per mettere in evidenza quali sono gli impatti sociali e ambientali delle scelte finanziarie in grandi imprese quotate e le loro scelte di sostenibilità. Per noi le grandi imprese dovrebbero guardare non soltanto i risultati finanziari di breve termine – tipicamente i dividendi per gli azionisti, bensì lo sviluppo a medio-lungo termine dell’impresa e il suo ruolo nella società.

 

Un diverso modo di essere grande impresa

Attraverso l’azionariato critico Fondazione Finanza Etica cerca di prefigurare un modo diverso di essere impresa. E di un tipo particolare d’impresa: quelle quotate in Borsa. Grandi imprese, cioè,  in termini di impiegati e fatturato, il cui successo è misurato nella capacità delle azioni di incrementare il capitale finale della società.

La raccolta di risparmio avviene, appunto, attraverso l’emissione di azioni o obbligazioni che sono collocate sui mercati regolamentati. Regolamentati da chi? Dal Comitato Interministeriale per il Credito e il Risparmio, dalla CONSOB, con funzioni di vigilanza e controllo; dal Testo Unico della Finanza e dall’Unione Europea, con la direttiva sulla trasparenza.

Nelle società quotate chiunque può decidere di investire denaro acquistando azioni, in qualche modo scommettendo che quelle azioni avranno un rendimento positivo. Ciò che conta è il rischio di mercato che si associa al rischio d’impresa.

Questa caratteristica delle imprese quotate determina che:

  • abbiano un gran numero di piccoli azionisti, il cui interesse è spesso molto “egoistico”, frammentato e, in genere, di breve termine. Detto in parole povere, al piccolo azionista al limite interessa poco che l’azienda sia florida e abbia una buona performance produttiva (meno che mai sociale e ambientale); basta che ogni anno gli garantisca un dividendo o comunque la crescita del valore delle azioni;
  • l’azienda è controllata, di solito (in Italia), da un azionista di riferimento che detiene di gran lunga il pacchetto azionario maggiore. È questo azionista il vero dominus dell’azienda.

 

Le Assemblee Generali degli Azionisti

A causa di queste caratteristiche, le Assemblee generali degli azionisti annuali diventano una mera formalità; mentre dovrebbero essere il momento di massima espressione dell’esercizio da parte degli azionisti della funzione di indirizzo e controllo sul management dell’azienda.

A voler essere più espliciti, questo dovrebbe essere il momento massimo della democrazia interna in cui i proprietari dell’azienda, tutti, grandi e piccoli, esercitano il loro diritto-dovere di governo attivo e responsabile dell’azienda. Invece tutto si svolge in un’atmosfera felpata e ipocritamente formale: (quasi) nessuna discussione sui punti di contenuto dell’ordine del giorno, in particolare il bilancio e il resoconto sull’andamento dell’azienda nell’anno precedente, nessuna valutazione sull’operato degli organi di governo e sul rinnovo (quando del caso) del CdA; poca attenzione agli atti che definiscono la policy di remunerazione degli amministratori e soprattutto dell’Amministratore delegato.

L’interesse dell’azionista di riferimento è che questo passaggio avvenga nel modo più rapido e indolore possibile, così da poter continuare a governare l’azienda decidendone gli indirizzi in altre sedi, meno aperte e democratiche. L’interesse dell’arcipelago dei piccoli azionisti (quando presenti) è quello di arrivare e approvare il punto sui dividendi, cioè sul valore delle azioni in cui hanno investito i loro soldi e, infine, sul “mitico” buffet conclusivo.

Molti di loro vedono l’assemblea come un’occasione di visibilità, nella quale hanno la possibilità di prendere il microfono e adulare l’amministratore delegato o mostrare le proprie conoscenze sull’analisi di bilancio o su altri temi.

 

Il ruolo degli azionisti critici

È chiaro che in questa pax societaria e in questo “cimitero” di democrazia interna all’azienda la presenza degli azionisti critici, attivi e responsabili diventa un mal sopportato elemento di disturbo. In realtà non fanno altro che esercitare un loro diritto-dovere di proprietari – in quota parte – dell’azienda, di “cittadinanza attiva” dentro questa comunità particolare che è l’impresa.

Di più, crediamo che il loro agire corrisponda nello spirito e nella lettera al mandato contenuto nell’art. 41 della nostra Costituzione.

L’iniziativa economica privata è libera”, ma “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.

Cosa vuol dire, in concreto, se non il fatto che i cittadini che investono il loro risparmio nelle aziende quotate si rendano protagonisti di vigilare e indirizzare la “propria” azienda in una direzione coerente con questo dettato costituzionale? E, soprattutto, che quando la “propria” azienda devia da questo solco, tutti gli azionisti sarebbero chiamati a intervenire per quanto nei propri poteri a ricondurla dentro questi binari.

 

E il ruolo dello Stato

D’altra parte, prosegue l’art. 41, “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”. Sarebbe, dunque, anche compito dello Stato svolgere questa funzione. Il dettato costituzionale deve essere garantito tanto più quando lo Stato è l’azionista di riferimento; come nel caso di Eni, Enel e Leonardo, per quanto ci riguarda.

Questo attivismo aziendale da parte dello Stato è rafforzato dall’art. 43 della Costituzione: “A fini di utilità generale, la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti, determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”. L’interesse generale di cui parla l’art. 43 cosa è se non anche la tutela dell’ambiente e dei diritti umani che sono implicati nelle attività di dette imprese?

E, infine, l’art. 47 della Costituzione: la Repubblica favorisce il “diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”; si trasferisce così all’azionista almeno quota parte di quella responsabilità di indirizzo e controllo verso le finalità sociali delle aziende di cui sono proprietari.

 

L’azionariato critico e la finanza etica

L’azionariato critico consente anche di riflettere sul ruolo dell’azionista nelle imprese quotate e di partecipare alla vita delle imprese in un’ottica di democrazia economica.
In questo senso l’azionariato critico si lega alla finanza etica e a una riflessione sull’uso del denaro.

Essere un azionista non significa unicamente cercare i più alti profitti nel minor tempo possibile, ma in primo luogo diventare comproprietario dell’impresa. Questo implica diritti, ma anche doveri, primo tra tutti quello di partecipare attivamente alla vita dell’impresa.

L’azionista ha il dovere di interloquire con il management dell’impresa che gestisce, di fatto, il suo denaro. E, dal punto di vista della finanza etica, anche il dovere di sapere cosa l’azienda fa con il suo denaro.

Una riflessione particolare vale quando l’azionista di riferimento è lo Stato. Lo Stato, infatti, dovrebbe partecipare direttamente nella compagine sociale di una grande impresa non per massimizzare i ricavi, ma per realizzare obiettivi di sviluppo e di interesse comune. Questo tema è particolarmente rilevante nei casi di Enel, Eni e Leonardo, dove lo Stato è l’azionista di riferimento; o di Acea, nel quale il Comune di Roma è l’azionista di maggioranza.

 

Le contraddizioni dell’azionista Stato

Le contraddizioni che spesso la Fondazione rileva nel comportamento di questo azionista “speciale” dovrebbero essere oggetto di riflessione per tutti gli stakeholder di un Paese.

Se lo Stato, azionista di riferimento di Leonardo che produce anche armi, è lo stesso che ne autorizza la vendita a paesi in conflitto, ciò implica una responsabilità ulteriore del Governo. Così, se lo Stato è azionista di Eni, il cui management è implicato in un caso di corruzione internazionale, la responsabilità del Governo è ulteriore rispetto a quella di indirizzo nelle politiche energetiche.

Non è fuori luogo parlare di partecipazione alla vita delle imprese in termini di democrazia economica nemmeno per le imprese quotate ad azionariato diffuso. Quando infatti il capitale sociale è estremamente disperso, il potere si concentra in modo sproporzionato sui manager e sulla dirigenza. Ma il loro principale obiettivo è spesso di massimizzare il valore delle azioni per assecondare le aspettative degli azionisti di maggioranza.

L’azionariato critico pone l’accento sul ruolo attivo e la responsabilità etica di ognuno dei comproprietari. Diventa così anche uno strumento che permette di migliorare  la partecipazione dei piccoli azionisti e dei cittadini alle scelte delle imprese in campo finanziario.

 

Simone Siliani, Direttore di Fondazione Finanza Etica

Proteggere l’Amazzonia e i diritti delle popolazioni indigene

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Proteggere l'Amazzonia e i diritti delle popolazioni indigene

Gli investitori cattolici chiedono al governo brasiliano di proteggere l’Amazzonia e i diritti delle popolazioni indigene

 

La Commissione Speciale per l’Ecologia Integrale e l’Estrazione Mineraria della Conferenza Episcopale Brasiliana (CNBB), il Movimento Cattolico Mondiale per il Clima (GCCM) e la Banca della Chiesa cattolica tedesca, Bank für Kirche und Caritas (BKC), guidano un gruppo internazionale di quasi 100 istituzioni cattoliche di 18 paesi e chiedono al governo brasiliano un impegno maggiore per la protezione dell’Amazzonia e dei diritti delle popolazioni indigene che lì vivono.

 

La lettera, che è stata inviata il 29 marzo ad alti funzionari del governo brasiliano, tra cui il presidente Jair Bolsonaro e il vicepresidente Hamilton Mourão, contiene richieste concrete per la protezione della foresta pluviale e delle popolazioni indigene. La lettera chiede anche un ulteriore dialogo con il governo brasiliano nella speranza che i rappresentanti nel Paese a maggioranza cattolica ascoltino i brasiliani e si prendano cura della nostra casa comune.

Un sondaggio del 2019 ha rilevato che sette cattolici su 10 in Brasile pensano che preservare l’Amazzonia sia “molto importante” e l’85% ha risposto che considera un peccato l’attacco alla foresta amazzonica.
La distruzione della foresta pluviale amazzonica, essenziale per la protezione del clima mondiale, è aumentata maggiormente durante l’attuale mandato di governo.
La spietata deforestazione e il “taglia e brucia” dell’Amazzonia non solo hanno lasciato dietro di sé una scia di disastrosa distruzione ambientale, hanno anche portato alla privazione dei diritti civili, a sfollamenti e ad omicidi di indigeni che lì vivono.

Questo modello di sviluppo capitalista, che uccide la vita umana e l’ambiente è in netto contrasto con l’insegnamento cristiano sull’Integrità del Creato e con l’enciclica Laudato si’ di Papa Francesco

Queste le parole di Mons. Vicente de Paula Ferreira, Segretario della Commissione Speciale per l’Ecologia Integrale e l’Estrazione mineraria per la Conferenza Episcopale Brasiliana.

 

Le richieste delle organizzazioni cattoliche

Tra le richieste avanzate dal gruppo cattolico c’è l’attuazione di un piano coerente per combattere la deforestazione, che includa un budget specifico ed obiettivi intermedi misurabili.
Il gruppo cattolico chiede anche un ampliamento delle risorse per combattere gli incendi e l’agenzia brasiliana per la protezione dell’ambiente (IBAMA) nella regione amazzonica.

In linea con gli insegnamenti di Papa Francesco nella Laudato si’ e in Querida Amazonia, le organizzazioni cattoliche hanno chiesto al governo brasiliano di rispettare i diritti di proprietà fondiaria e i diritti umani delle popolazioni indigene.

Tommy Piemonte, Responsabile della Ricerca sugli Investimenti Sostenibili presso BKC-Bank für Kirche und Caritas, ha dichiarato: “Siamo convinti della necessità di sfruttare appieno le nostre possibilità come partecipanti ai mercati finanziari cattolici e di alzare la nostra ‘voce’ avviando un dialogo di impegno con il governo brasiliano e provando a motivarlo al rispetto, finalmente, dei diritti umani e ambientali in Amazzonia“. BKC è tra i soci fondatori di SfC-Shareholders for Change, network di investitori critici fondata anche da Fondazione Finanza Etica

 

Il dialogo degli investitori istituzionali

Nell’ultimo anno, gli investitori istituzionali convenzionali hanno avviato dialoghi con il governo brasiliano. La neonata coalizione cattolica sta ora cercando di fare rete qui per raggruppare la pressione degli investitori.
In quanto alleanza cattolica così ampia, possiamo certamente dare un contributo utile allo sforzo comune, perché in un paese cattolico come il Brasile, forse una ‘voce cattolica’ sarà ascoltata e aumenterà la pressione sul governo“, sostiene Tomás Insua, Direttore Esecutivo del Movimento Cattolico Mondiale per il Clima.
Piemonte ha aggiunto: “Stiamo cercando di avviare un dialogo costruttivo per implementare le nostre richieste. Se, però, il governo brasiliano non prende una posizione ferma contro la deforestazione della foresta pluviale e la privazione dei diritti della popolazione indigena, noi, in quanto investitori cattolici, vedremo sempre più ritirarsi le nostre basi come investitori istituzionali attuali e potenziali nei titoli di stato brasiliani e in società di certi settori“.

L’intera lettera e i nomi di tutti i firmatari sono disponibili su >>QUI<<.

 

Foto di Pexels da Pixabay

Matthias: in Svizzera gli azionisti vogliono dire la loro sul clima

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Matthias: in Svizzera gli azionisti vogliono dire la loro sul clima

Si chiama “Say on Climate” e significa “dì la tua sul clima”. 

 

«L’idea è semplice», spiega Matthias Narr, responsabile internazionale per l’engagement della fondazione Ethos di Ginevra, uno dei tre soci svizzeri di Shareholders for Change. «Da oltre dieci anni alle assemblee annuali degli azionisti si possono votare i piani di remunerazione di amministratori e top manager. Possiamo dire come la pensiamo sui bonus, sui livelli delle paghe e sui sistemi che si usano per calcolarli. Ora chiediamo che si possa fare lo stesso per i piani di riduzione delle emissioni di gas serra, di cui molte imprese quotate in borsa si stanno dotando. Devono essere in linea con gli obiettivi dell’Accordo di Parigi».

Gli azionisti vogliono avere la possibilità di dire alle imprese: «Il vostro piano per la riduzione delle emissioni è troppo vago e quindi vi chiediamo di fornire più dettagli e nel frattempo votiamo contro o ci asteniamo», continua Matthias Narr.

Oppure, se il piano è buono, si può votare a favore, controllando però ogni anno se gli impegni sono stati rispettati e gli obiettivi intermedi raggiunti. In ogni caso si tratta sempre di voti consultivi: se passano, l’impresa non è obbligata a fare nulla. Ma un voto consultivo contrario da parte di una forte minoranza o addirittura dalla maggioranza degli azionisti fa comunque discutere; e, di solito, le imprese ne tengono conto.

 

Matthias, da 12 anni a servizio della finanza sostenibile

Matthias ha 40 anni e abita a Zurigo. Da 12 anni si dedica alla finanza sostenibile, prima come analista e poi come specialista di dialoghi con le imprese su temi sociali, ambientali e di governance. In tasca ha una laurea in scienze politiche con un indirizzo economico e giuridico internazionale.

Nei primi mesi del 2021 Ethos, che rappresenta oltre 220 fondi pensione svizzeri, ha chiesto di far votare i propri piani di decarbonizzazione dalle assemblee degli azionisti a due grandi gruppi con sede in Svizzera: il colosso del settore alimentare Nestlé e la multinazionale del cemento Lafarge-Holcim, . A una lettera, spedita nel dicembre del 2020, sono seguite decine di call e mail. E alla fine le due imprese hanno accettato la proposta.

Nestlé farà votare il suo piano già all’assemblea di quest’anno, il 15 aprile. Mentre Lafarge-Holcim si è impegnato a preparare un piano di transizione climatica per sottoporlo al voto degli azionisti nel 2022.

«Le cose stanno andando nella direzione giusta», spiega Matthias. «Ma è solo il primo passo. Questi voti dovranno diventare la normalità ed essere ripetuti ogni anno. Come dovrebbe essere normale che tutte le imprese quotate in borsa preparino un piano di riduzione degli impatti climatici con obiettivi e scadenze ben precisi».

Allo stesso tempo gli investitori devono sviluppare le competenze necessarie per valutare le strategie climatiche delle imprese. Questa è l’altro aspetto importante del meccanismo “Say on Climate“.

 

“Say on Climate” al centro dell’azionariato attivo di altri membri di Shareholders for Change

Fondazione Finanza Etica ci proverà con Eni e con il gigante svedese dell’abbigliamento H&M. Mentre Meeschaert Asset Management si impegnerà con la società petrolifera francese Total e con l’utility Engie.

A livello globale, l’iniziativa è sostenuta da molti società di investimento e reti di investitori, come ad esempio IIGCC-The Institutional Investors Group on Climate Change, il gruppo di investitori istituzionali sul cambiamento climatico composto da oltre 275 membri con asset per oltre 35 trilioni di euro.