Exxon esce dalla borsa di Wall Street. Il settore oil&gas sempre più in crisi.
Significherà pure qualcosa il fatto che ExxonMobil, il gigante americano dell’oil&gas, uscirà dall’Indice Industriale di Wall Street. Vi era rimasto ininterrottamente dal 1928, quando era la Standard Oil di New Jersey, l’azienda più longeva da sempre sulla Borsa newyorkese. L’indice industriale Dow Jones Average copre tutte le industrie, con l’eccezione di quelle dei trasporti. È uno degli indici borsistici più longevo e riconosciuto, introdotto nel 1896 nella Borsa americana.
Lunedì scorso è stato annunciato che Exxon sarà sostituita nel listino da Saleforce.com, una compagnia di software, già parte del Gruppo Apple, che indica dove sta soffiando il vento.
Il fatto è che questa uscita di scena di ExxonMobil dall’indice industriale del Dow Jones è solo parte di una crisi verticale che tutto il settore oil&gas sta subendo e che si è solo accentuata in concomitanza con il Covid-19. Un declino che i più considerano irreversibile, da quando i governi hanno iniziato a fare sul serio sul cambiamento climatico.
Nel 2007, quando il prezzo del petrolio era alle stelle, la Exxon era considerata una delle più remunerative aziende del pianeta, valutata per più di 500 miliardi di dollari. Al vertice del successo dell’industria del petrolio Exxon aveva scommesso miliardi di dollari di investimenti sul boom del settore. A spingerla in questa direzione l’eccesso di greggio, in seguito alla scelta USA per il fracking. La scommessa si è rivelata un fallimento. Negli anni seguenti la Grande Recessione i governi hanno iniziato a investire nell’energia rinnovabile – diventate così presto competitive con il petrolio – per combattere i cambiamenti climatici. Allo stesso tempo le innovazioni tecnologiche si sono indirizzate verso l’efficienza e, in particolare, verso le auto elettriche o ibride. Il valore sul mercato della Exxon è rimasto stagnante per tutti gli anni ’10; ma dallo scorso gennaio è iniziato a declinare in coincidenza con la crisi pandemica. Paradosso dei paradossi, in questo stesso periodo l’indice Dow Jones è cresciuto, mentre tutto il settore energetico, ad esempio, dell’indice S&P 500, che dieci anni fa ne rappresentava il 10%, oggi non ne vale più del 3%. Nel 2020 ExxonMobil ha registrato due quadrimestri in rosso consecutivi, con una perdita di oltre 1,7 miliardi di dollari, nonostante i tagli di spesa operati. E naturalmente il primo taglio annunciato dall’azienda è la sospensione dei suoi contributi al fondo pensionistico dei dipendenti.
Alcuni competitors europei della Exxon hanno, almeno apparentemente, deciso di cambiare strategia. Hanno annunciato obiettivi di riduzione delle emissioni e riorganizzazione del proprio portafoglio dal petrolio alle rinnovabili. Basti pensare alla scelta di BP di passare da una major dell’oil&gas a una azienda energetica.
Nonostante le evidenze il management di ExxonMobil sembra essere particolarmente conservatore e sicuro del proprio futuro. Recentemente il vicepresidente Neil Chapman annunciando una perdita di 1,1 miliardi di dollari nell’ultimo trimestre, si è difeso dicendo che il management di Exxon non ritiene che nel lungo periodo il business cambierà. La popolazione mondiale continuerà a crescere e non ci sono segnali per credere che la domanda di gas e petrolio non continuerà a crescere con essa. E il vincitore sarà la compagnia meglio posizionata in questa direzione, cioè la Exxon. Ma al momento il mercato non sembra dargli ragione.
Simone Siliani
Direttore Fondazione Finanza Etica
Foto di Maureen Barlin: Leaving Is The Easy Way Out. Street art in Shoreditch, London 2018. Artista: BKFoxx