Tempo scaduto. Una nuova economia dal basso per restare in vita

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Trading in borsa
Anche alla luce della Laudato Si’, le esperienze di economia e finanza alternative possono essere una via di uscita dal pensiero neoliberista dominante?

 

Un tempo l’aggettivo “alternativo/a” veniva associato a un’azione, a una prassi, a un comportamento che nascevano da una critica rispetto al pensiero/modello dominante (politica, economia, finanza, stile di vita ecc.). Chi proponeva un approccio alternativo veniva percepito come “altro” rispetto a chi, invece, rappresentava o si riconosceva in un presunto concetto di normalità, nell’opinione comune, nelle istituzioni ufficiali: un sognatore, un polemico, un ingenuo erano gli aggettivi più utilizzati per definire chi appariva come un ostacolo, un intralcio alle magnifiche sorti e progressive promesse da chi governava la politica, l’economia e la finanza. E questa percezione difficilmente permetteva di entrare nel merito delle questioni che l’alternativo poneva, anzi ci si infastidiva per il suo continuo richiamo a cambiare il nostro stile di vita, a rimetterci in discussione, a uscire dal comfort che un certo conformismo garantiva.

 

La grande crisi

Poi, però, è arrivata la grande crisi che, a differenza delle tante piccole crisi che l’avevano preceduta, impattava fortemente sul quotidiano.

L’hanno chiamata crisi finanziaria perché a far deragliare l’economia, si diceva, era stata una finanza che aveva perso di vista la sua funzione, ma in realtà un poco alla volta ci si è accorti che si trattava di una crisi sistemica che comprendeva la dimensione politica, sociale e ambientale, oltre a quella economico/finanziaria. Una crisi che, a ben guardare, nasceva dall’aver reso quasi antitetici gli interessi della comunità umana con quelli dell’economia, i valori profondi dell’uomo, in primis quello dell’umanità, con i dogmi del liberismo, dimenticando quali erano i capisaldi del progresso umano.
Con la contrazione delle risorse (crisi dei mercati, delle economie, del lavoro ecc.) e di conseguenza degli ammortizzatori sociali che permettevano agli stati di gestire situazioni problematiche, ecco che ci siamo
accorti del “fenomeno” dei flussi migratori, degli effetti dei cambiamenti climatici, delle guerre che, comunque, continuano ad essere presenti in molte parti del mondo.

All’improvviso ci siamo sentiti più fragili e più indifesi, vittime di quel pensiero assoluto che aveva governato le nostre vite, le nostre relazioni, le nostre economie. Eppure, avevamo tutti sotto gli occhi quel pensiero divergente che, seppur chiamato in tanti modi, ci indicava, attraverso esperienze concrete, un percorso diverso, che apriva al futuro grazie a una profonda consapevolezza di come questo era possibile solo tenendo assieme economia e finanza con il bene comune, con il rispetto dell’ambiente, con la tutela dei diritti umani e profondi dell’uomo, in primis quello dell’umanità, con i dogmi del liberismo, dimenticando quali erano i capisaldi del progresso umano. Con la contrazione delle risorse (crisi dei mercati, delle economie, del lavoro ecc.) e di conseguenza degli ammortizzatori sociali che permettevano agli stati di gestire situazioni problematiche, ecco che ci siamo accorti del “fenomeno” dei flussi migratori, degli effetti dei cambiamenti climatici, delle guerre che, comunque, continuano ad essere presenti in molte parti del mondo. Penso al mondo dell’agricoltura biologica e biodinamica, al movimento del commercio equo e solidale, alla cooperazione sociale (prime intuizioni delle potenzialità dell’impresa sociale), alla finanza etica (a partire dalle Mag), allo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, della mobilità sostenibile, per citare le principali. Esperienze molto diverse che avevano, però, in comune elementi come la solidarietà e la reciprocità, considerate come i veri punti di forza del nostro essere umani, l’inclusione e il rispetto dell’altro come caratteristiche imprescindibili di ogni comunità, l’amore per il pianeta che ci ospita, un senso di giustizia verso le generazioni che verranno, e infine anche una responsabilità economica che ci interrogava su come produrre e distribuire una ricchezza che tenesse assieme il bene del singolo con quello della comunità umana. Echi di una cultura underground che, all’improvviso, è stata richiamata e ripresa, in un quadro naturalmente più complesso, nell’enciclica Laudato Si’ ove si parla apertamente dello stretto rapporto tra economia ed ecologia integrale, affermando come la dimensione ambientale e quella sociale siano due facce della stessa medaglia, che la posta in gioco non è lo sviluppo economico, ma la vita stessa dell’uomo sul pianeta e che questa può essere garantita solo cambiando il nostro approccio all’economia e alla finanza.

 

Generatori di futuro

Anche alla luce della Laudato Si’, le esperienze di economia e finanza alternative possono essere una via di uscita dal pensiero neoliberista dominante?

Compito di questo articolo non è quello di approfondire la lettura di questa enciclica, ma di capire se e come, anche alla luce di questo documento, le esperienze di economia e finanza alternative possano rappresentare la base di un nuovo pensiero economico generatore di futuro. A ben vedere forse era proprio questo l’obiettivo dei movimenti sui nuovi stili di vita e delle bandiere della pace che avevano caratterizzato i primi anni Novanta (oltre tre milioni di bandiere svettavano nelle nostre case). Movimenti importanti che hanno avuto un notevole effetto sull’opinione pubblica, ma che sono rimasti solo sul piano delle buone intenzioni, senza arrivare a far comprendere fino in fondo che “l’alternativa” andava agita e che le varie proposte (commercio equo, cooperazione sociale, finanza etica, agricoltura biologica, ecc.) erano pezzi di una unica visione dello sviluppo umano, il cui valore era garantito solo nel tenerle assieme.

Qualche anno fa abbiamo percorso l’Italia, dalla Sicilia al Piemonte, incontrando diverse esperienze che ritenevamo potessero essere collegate a un pensiero di economia alternativa o, come adesso si dice, alle economie trasformative. L’obiettivo era quello di analizzare se e quali cambiamenti queste realtà avessero generato nell’economia e nella cultura sociale dei loro territori. Volevamo capire se eravamo in presenza di esperienze, per quanto encomiabili, isolate o se invece queste rappresentavano un nuovo movimento, al netto degli aspetti ideologici o della dicotomia profit e non profit, in grado di organizzarsi dal basso per dare risposte efficaci ai bisogni dei loro territori. La metodologia d’indagine si è basata su una griglia di osservazione che analizzava le tre dimensioni della sostenibilità (economica, sociale e ambientale), declinandole in alcuni valori caratterizzanti. A questi tre pilastri ne è stato aggiunto un quarto: la democrazia, quale elemento che porta a valorizzare le competenze e i saperi diffusi, presenti nell’impresa e nel territorio, verso l’obiettivo del bene comune.

Grazie a questo lavoro, durato quasi due anni e che ci ha permesso di incontrare alcune centinaia di realtà, anche molto variegate tra di loro, sono emersi alcuni elementi comuni di cui vado a riassumerne i principali. Il primo è indubbiamente quello della “relazione”, intesa come fondamento per la costruzione di una buona vita di comunità, ma di cui oggi si avverte sempre maggior scarsità, a danno della coesione sociale e del senso di sicurezza delle persone. Ripartire dalla relazione, consente di ricreare una comunità attorno a valori condivisi, ponendo le basi per una ripresa del senso civico e dell’attenzione all’altro da sé. La cura delle relazioni permette di sviluppare i rapporti tra i soggetti della comunità, rafforzando i legami di fiducia, onestà e solidarietà, favorendo i comportamenti altruistici.

Il valore della relazione ci ha permesso di cogliere un secondo criterio, quello della “reciprocità”, ossia una più matura sinergia tra persone e organizzazioni che vivono e operano in un dato territorio, generando scambi sia di carattere contrattuale che di gratuità.

Un terzo criterio emerso, anch’esso fortemente legato allo sviluppo dei rapporti di fiducia e scambio all’interno di una comunità, è stato quello della “legalità”, intesa non solo come conformità alle norme, ma come scelta di trasparenza e di partecipazione alla costruzione di un contesto sociale, basato sul rispetto reciproco e sulla corresponsabilità rispetto agli impatti sociali e ambientali della propria attività sulla vita di tutti i soggetti sociali della comunità. La pratica e il valore di questi aspetti ci ha fatto comprendere come, grazie a questi, la comunità diventi terreno fertile non solo per l’innovazione dei servizi o del sistema economico, ma per una vera e propria “evoluzione sociale” della comunità, capace di arricchirsi sia internamente alle singole organizzazioni, pubbliche o private, sia di ideare piattaforme di mutualità nelle quali gli attori economici e sociali possano stabilire forme di collaborazione sempre più evolute.

Attraverso questo processo prende forma il valore della “dimensione comunitaria”, basata su una interdipendenza positiva tra tutti i suoi soggetti, che si traduce in una cultura della “responsabilità sociale di territorio” grazie alla quale attori diversi interagiscono in modo efficace, valorizzando sia il contributo di ciascuno alla creazione di valore (ogni soggetto è portatore di capitale civile), sia un’equa distribuzione dello stesso (profitto sociale).

 

Economie alternative

Vorrei concludere questo articolo non elencando i vari filoni dell’economia alternativa che si sono sviluppati in questi anni (li potete trovare in nota con i vari link) ma con una esortazione a comprendere come la sfida che abbiamo di fronte non sia quella di inseguire una nuova ideologia o di affermare chi è più etico, quanto piuttosto il creare una massa critica, frutto di coesione e collaborazione tra le reti che si riconoscono in un nuovo pensiero economico, che possa effettivamente agire da catalizzatore per un nuovo pensiero sociale che, a fronte di determinati valori (e tra questi il diritto al futuro di chi verrà dopo di noi), ci permetta di adottare quelle scelte e quei comportamenti economici grazie ai quali la ricerca della nostra felicità contempli anche quella degli altri.

 

Per approfondire

economia solidale

http://www.economiasolidale.net/

economia solidaria

https://www.reasred.org/
https://www.solidariusitalia.it/per-uneconomia-di-liberazione/

economia sociale solidale

https://www.euricse.eu/wp-content/uploads/2019/05/LEconomia-Sociale-e-Solidale-
e-il-Futuro-del-Lavoro-ILO-2017.pdf

economia di comunione

http://edc-online.org/it/

economia del bene comune

https://www.economia-del-bene-comune.it/it

economia civile

https://www.scuoladieconomiacivile.it/

https://www.benecomune.net/rivista/rubriche/parole/economia-civile-sociale-solidale/

economia del dono

http://economiadeldono.org/economia-del-dono/

https://www.oikonomia.it/index.php/it/oikonomia-2007/giugno-2007/622-ontologia-ed-economia-del-dono

economia francescana

http://www.osservatoreromano.va/it/news/economia-francescana-18giu

economia di liberazione/legalità

https://www.goel.coop/comunita-diliberazione.html

https://www.liberaterra.it/it/mondo-libera-terra/libera-terra-mediterraneo.php

http://www.ncocooperazione.com/ncco/referer/100/idPage/110/lang/it/Organi-Sociali.html

economia circolare

https://www.economiacircolare.com/cose-leconomia-circolare/

bioeconomia

https://agriregionieuropa.univpm.it/it/content/article/31/32/la-bioeconomia-unnuovo-modello-di-sviluppo

economia di comunità – prossimità – impresa sociale

https://valori.it/tag/economia-di-comunita/

http://www.rivistaimpresasociale.it/rivista/item/117-cooperative

http://www.legacoop.coop/cooperativedicomunita/cosa-sono/

http://prossimita.net/

https://italianonprofit.it/risorse/definizioni/imprese-sociali/

https://www.federsolidarieta.confcooperative.it/

https://www.legacoopsociali.it/

http://www.impresasociale.net/

 

Marco Piccolo, presidente Fondazione Finanza Etica

 

Questo articolo è parte del Dossier “Economie per un futuro del pianeta“, a cura di Nicoletta Dentico e Marco Piccolo, pubblicato sul numero di marzo 2020 della rivista Mosaico di Pace, che ringraziamo per la disponibilità a ripubblicare.

 

Foto di Gerd Altmann

Feudalesimo globale

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Disuguaglianze

Feudalesimo globale

La strana non morte del neoliberismo e altre storie.

 

L’ho rivisto di recente I, Daniel Blake, il magistrale film di Ken Loach. Racconta la farsa di uno stato sociale alle prese contro persone in difficoltà. L’accanimento di una burocrazia che sfinisce e umilia con un sistema di sanzioni coloro che, per eventi della vita, fuoriescono dal mondo del lavoro o lo cercano, il lavoro. Siamo nell’Inghilterra della rutilante ricchezza e vivacità finanziaria.

La quinta economia del pianeta. Ma accanto a quello lustrinato c’è un altro paese, un popolo che non si ferma al primo ostacolo ma arranca, nelle lunghe file davanti alle banche del cibo, spesso senza fissa dimora. In uno stato di prostrazione che ricorda le pagine di Dickens. Nel 2018 il ministero della Solitudine è stato istituito per ridurre i suicidi nel paese e Philip Alston, rapporteur dell’Onu su povertà estrema e diritti umani, ha raccontato la devastazione del corpo sociale inglese in un rapporto, impietoso e acuminato come il film. Sono 14 milioni le persone che vivono in povertà (un quinto della popolazione); 1,5 milioni sono indigenti, cioè incapaci di procurarsi l’essenziale. L’Istituto degli studi fiscali parla di bambini a rischio, di un aumento nella povertà infantile del 7% tra il 2015 e il 2022, con proiezioni di espansione al 40%. Invece del luminoso futuro promesso, Brexit potrà solo peggiorare le cose.

Viviamo in società sempre più inique, meno disposte a produrre beni pubblici o a coprire rischi collettivi. I prodotti della ricchezza che continua ad aumentare, indisturbata, premiano una minoranza che si assottiglia e si separa dal resto dell’umanità. Come scrive il filosofo francese Bruno Latour, le élite trincerate nel loro sferzante benessere hanno sospeso ogni pretesa di guidare il mondo. Quello che fanno è nascondersi, barricate dietro i confini dell’egoismo, al massimo per spingere il piede sull’acceleratore dell’espansionismo economico su tutti i fronti, infischiandosene di rispettare gli indispensabili diritti degli accordi internazionali. Perché non credono più all’esistenza di un mondo da condividere.

Ma come siamo arrivati fin qui? La domanda muove la redazione di Mosaico di Pace a concentrarsi sul tema dell’economia, sulle forme di sfruttamento sempre più rapaci che attraversano ogni ambito della vita, delle relazioni tra persone e tra stati. Esemplificazioni di una guerra contro l’umano, che è guerra anche contro il pianeta. Lo ricorda con argomenti inconfutabili la Laudato Si’ di papa Francesco, per noi disamina di riferimento.

Fare mosaico di pace significa indagare le radici di violenza di un sistema che produce disuguaglianza sociale, economica, politica. Disuguaglianze verticali (interne allo stesso ambito) e orizzontali (attraverso i gruppi sociali). Disuguaglianze territoriali e generazionali. Significa comprendere i meccanismi di governance che riproducono il circuito vizioso di ricchezze assiepate nelle mani di pochi, e di precarietà che si diffondono, a pervadere la vita dei più. Significa agire nella consapevolezza che viviamo in un tempo di concentrazione di potere economico, finanziario, legale e tecnologico mai visto prima nella storia – un feudalesimo globale che fa impallidire le circoscritte gerarchie del medioevo. Significa denominare la distruzione della classe lavoratrice. Una comunità, scrive Marta Fanache aveva in sé un connotato, quello di classe, che si caratterizza per una comunanza di interessi in costante conflitto con gli interessi di chi ogni mattina di sveglia e coltiva il culto della insaziabilità, dell’avidità che si fa potere”. La frammentazione dei processi produttivi e la disintermediazione del lavoro sono solo due giganteschi e dolorosi fenomeni che impongono la costruzione di nuove avanguardie dello sfruttamento, capaci di coinvolgere i lavoratori immigrati della schiavitù agricola e quelli immigrati impegnati nella logistica, accanto ai lavoratori italiani della grande distribuzione e dei servizi pubblici, per far convergere le battaglie che fermentano sui territori, intorno alle singole vertenze: forme distinte della stessa estrazione del valore prodotto dal lavoro.

Eppure, fare mosaico di pace vuol dire molto di più. Significa insistere su un’alternativa che va pensata e progettata, nel solco di decenni di elaborazione teorica e pratica. Oggi come non mai la ricerca sulle economie alternative esige di imporsi, per superare i limiti della buona pratica e farsi politica. Visione comune strutturante che sgorga dall’urgenza del poco tempo che resta. La crisi climatica è la nostra tragica opportunità. Da questa prospettiva politica partiamo, per accelerare l’economia e la società del bene comune.

Nicoletta Dentico, redattrice di Mosaico di Pace

 

Questo articolo è parte del Dossier “Economie per un futuro del pianeta“, a cura di Nicoletta Dentico e Marco Piccolo, pubblicato sul numero di marzo 2020 della rivista Mosaico di Pace, che ringraziamo per la disponibilità a ripubblicare.