Seguire la stagione assembleare 2021. Ovvero di grandi noie e qualche buon risultato
In tempi di Covid l’azionista critico è come un ghepardo in gabbia, costretto a guardarsi a ripetizione documentari sulle gazzelle che sfrecciano nella savana. Con la differenza che almeno si può fare qualche inseguimento per procura. È quello che è successo anche nella stagione assembleare 2021, che si è conclusa da poco.
Pur essendo tutti parte di una grande famiglia europea, ogni Paese ha però le sue usanze. E così in Italia le assemblee degli azionisti non sono state trasmesse nemmeno a distanza. Se ne è avuta notizia dalle convocazioni, se ne sono lette appassionate cronache sui verbali. Ma le porte erano chiuse e le telecamere spente. E agli azionisti non è restato che spedire domande scritte e attendere, pazienti, le risposte.
In Germania, invece, si è potuto seguire i lavori in diretta dallo schermo del computer, ma senza interagire. Alle domande scritte, inviate con largo anticipo, sono seguite risposte orali. Da appuntare a mano, con l’uso di una penna o di un lapis, per cancellare agevolmente eventuali errori, visto che ogni registrazione è vietata e le imprese tedesche non sono avvezze a pubblicare verbali.
In Svezia non si sono persi l’ennesima occasione per dimostrarsi più cool di tutti gli altri: assemblee in streaming e possibilità di interagire in diretta via chat. Però solo se si capisce lo svedese, perché non sono previste traduzioni né sottotitoli in altre lingue. Inte för allt smör i Småland, che letteralmente significa “neanche per tutto il burro dello Småland”, e cioè tutto l’oro del mondo.
E visto che i mezzi per garantire la partecipazione virtuale hanno lasciato a desiderare, ci siamo organizzati con le contro-assemblee online, dove in assenza di contraddittorio abbiamo potuto suonarci e cantarci i nostri stornelli preferiti. Con un pubblico peraltro molto superiore a quello che generalmente frequenta le assise ufficiali.
A furia di “rompere”, si aprono crepe durante la stagione assembleare 2021
Non sono mancate, però, le soddisfazioni. Come quando il colosso della moda H&M ha ceduto e ci ha finalmente rivelato il modo in cui calcola i bonus che paga ai suoi manager. Era il terzo anno consecutivo che glielo chiedevamo. Oppure quando Enel ci ha invitato a confrontarci sulla “povertà energetica”, l’impossibilità di molte famiglie di accedere ai servizi energetici di base. Un problema molto sentito in Spagna. O, ancora, quando Eni ha risposto alle 99 domande che abbiamo inviato, assieme a Greenpeace e Re:Common, sul piano di transizione energetica della società, che continua a non convincerci. Per la prima volta si sono uniti alla nostra azione anche gli studenti di Scomodo, la più importante rivista universitaria italiana.
Indimenticabile anche lo scambio, per ora solo in forma scritta, con la multinazionale belga della chimica Solvay. Abbiamo chiesto di darci spiegazioni sulle spiagge caraibiche generate dagli scarichi della società a Rosignano, in Toscana. Su Report hanno detto che le conseguenze sulla salute non sarebbero proprio trascurabili. Solvay però dice che è tutto a posto. Scaricherebbe solo «calcare inerte e altri materiali naturali, come gesso e sabbia. Non tossici, né pericolosi». Sarà, ma la cosa non ci convince del tutto.
Lotta dura contro chi produce armi
Molte magre, invece, le soddisfazioni (se si può usare questo termine) con Rheinmetall, l’impresa tedesca che in Sardegna produce le bombe che finivano sulla popolazione yemenita. Nella diretta a senso unico con gli azionisti, il marmoreo amministratore delegato Armin Papperger non ha fornito, in pratica, alcuna informazione utile. Rispettiamo le leggi e tutto il resto sono dati sensibili. Vi basti così.
Però non ci basta. E visto che l’impresa non ci risponde siamo andati da uno dei suoi maggiori investitori: il famoso fondo pensione norvegese. “The Fund”, come si definiscono loro stessi. «Il più grande azionista singolo nei mercati azionari globali», con 1.140 miliardi di euro di patrimonio.
Nel maggio del 2020 abbiamo scritto al fondo, che detiene il 2,69% di Rheinmetall, per chiedergli di vendere le azioni dell’impresa. Ora pare che i norvegesi vogliano approvare un nuovo criterio per escludere gli investimenti in società che vendono armi a Stati in guerra. Un primo passo verso una probabile, futura vendita dei circa 104 milioni di euro in azioni dell’impresa tedesca detenute da “The Fund”.
Se succederà, sarà anche un po’ merito nostro.
Mauro Meggiolaro, analista di Fondazione Finanza Etica