La stagione assembleare 2021

  |   By  |  0 Comments

la stagione assembleare 2021

 

Seguire la stagione assembleare 2021. Ovvero di grandi noie e qualche buon risultato

In tempi di Covid l’azionista critico è come un ghepardo in gabbia, costretto a guardarsi a ripetizione documentari sulle gazzelle che sfrecciano nella savana. Con la differenza che almeno si può fare qualche inseguimento per procura. È quello che è successo anche nella stagione assembleare 2021, che si è conclusa da poco. 

Pur essendo tutti parte di una grande famiglia europea, ogni Paese ha però le sue usanze. E così in Italia le assemblee degli azionisti non sono state trasmesse nemmeno a distanza. Se ne è avuta notizia dalle convocazioni, se ne sono lette appassionate cronache sui verbali. Ma le porte erano chiuse e le telecamere spente. E agli azionisti non è restato che spedire domande scritte e attendere, pazienti, le risposte. 

In Germania, invece, si è potuto seguire i lavori in diretta dallo schermo del computer, ma senza interagire. Alle domande scritte, inviate con largo anticipo, sono seguite risposte orali. Da appuntare a mano, con l’uso di una penna o di un lapis, per cancellare agevolmente eventuali errori, visto che ogni registrazione è vietata e le imprese tedesche non sono avvezze a pubblicare verbali. 

In Svezia non si sono persi l’ennesima occasione per dimostrarsi più cool di tutti gli altri: assemblee in streaming e possibilità di interagire in diretta via chat. Però solo se si capisce lo svedese, perché non sono previste traduzioni né sottotitoli in altre lingue. Inte för allt smör i Småland, che letteralmente significa “neanche per tutto il burro dello Småland”, e cioè tutto l’oro del mondo. 

E visto che i mezzi per garantire la partecipazione virtuale hanno lasciato a desiderare, ci siamo organizzati con le contro-assemblee online, dove in assenza di contraddittorio abbiamo potuto suonarci e cantarci i nostri stornelli preferiti. Con un pubblico peraltro molto superiore a quello che generalmente frequenta le assise ufficiali. 

 

A furia di “rompere”, si aprono crepe durante la stagione assembleare 2021

Non sono mancate, però, le soddisfazioni. Come quando il colosso della moda H&M ha ceduto e ci ha finalmente rivelato il modo in cui calcola i bonus che paga ai suoi manager. Era il terzo anno consecutivo che glielo chiedevamo. Oppure quando Enel ci ha invitato a confrontarci sulla “povertà energetica”, l’impossibilità di molte famiglie di accedere ai servizi energetici di base. Un problema molto sentito in Spagna. O, ancora, quando Eni ha risposto alle 99 domande che abbiamo inviato, assieme a Greenpeace e Re:Common, sul piano di transizione energetica della società, che continua a non convincerci. Per la prima volta si sono uniti alla nostra azione anche gli studenti di Scomodo, la più importante rivista universitaria italiana. 

Indimenticabile anche lo scambio, per ora solo in forma scritta, con la multinazionale belga della chimica Solvay. Abbiamo chiesto di darci spiegazioni sulle spiagge caraibiche generate dagli scarichi della società a Rosignano, in Toscana. Su Report hanno detto che le conseguenze sulla salute non sarebbero proprio trascurabili. Solvay però dice che è tutto a posto. Scaricherebbe solo «calcare inerte e altri materiali naturali, come gesso e sabbia. Non tossici, né pericolosi». Sarà, ma la cosa non ci convince del tutto. 

 

Lotta dura contro chi produce armi

Molte magre, invece, le soddisfazioni (se si può usare questo termine) con Rheinmetall, l’impresa tedesca che in Sardegna produce le bombe che finivano sulla popolazione yemenita. Nella diretta a senso unico con gli azionisti, il marmoreo amministratore delegato Armin Papperger non ha fornito, in pratica, alcuna informazione utile. Rispettiamo le leggi e tutto il resto sono dati sensibili. Vi basti così. 

Però non ci basta. E visto che l’impresa non ci risponde siamo andati da uno dei suoi maggiori investitori: il famoso fondo pensione norvegese. “The Fund”, come si definiscono loro stessi. «Il più grande azionista singolo nei mercati azionari globali», con 1.140 miliardi di euro di patrimonio. 

Nel maggio del 2020 abbiamo scritto al fondo, che detiene il 2,69% di Rheinmetall, per chiedergli di vendere le azioni dell’impresa. Ora pare che i norvegesi vogliano approvare un nuovo criterio per escludere gli investimenti in società che vendono armi a Stati in guerra. Un primo passo verso una probabile, futura vendita dei circa 104 milioni di euro in azioni dell’impresa tedesca detenute da “The Fund”. 

Se succederà, sarà anche un po’ merito nostro. 

 

Mauro Meggiolaro, analista di Fondazione Finanza Etica

La stagione dell’azionariato critico della Fondazione per il 2020

  |   By  |  0 Comments

La stazione dell'azionariato critico della Fondazione per il 2020

In questa stagione di azionariato critico 2020 causa della pandemia le assemblee saranno in remoto. Fondazione Finanza Etica ha scelto comunque di utilizzare gli spazi esistenti per l’engagement.

 

L’azionariato critico durante la pandemia Covid-19

A causa della crisi determinata dalla pandemia da Covid-19, le assemblee degli azionisti si svolgeranno tutte in remoto. Non ci sarà la possibilità di intervenire fisicamente e di persona in assemblea da parte degli azionisti.
Le modalità di partecipazione dipenderanno dalle legislazioni e dalle normative d’emergenza emanate dai diversi paesi sedi delle imprese: Italia, Germania, Svezia nei nostri casi. Si parteciperà attraverso soggetti delegati che “portino la voce” di tutti gli azionisti; oppure con la presentazione di domande a risposta scritta da presentare prima dello svolgimento dell’assemblea.

L’espressione di voto degli azionisti avverrà in remoto, attraverso il rappresentante designato (individuato dall’azienda, sulla base della normativa italiana) o la banca depositaria delle azioni (Svezia).

Saranno assemblee asettiche. Si riduce le possibilità di interlocuzione diretta del management  l’attenzione dei media sulle stesse tematiche sollevate dagli azionisti critici e anche la dinamica fra gli azionisti e fra questi e la direzione dell’azienda.

In questa situazione Fondazione Finanza Etica ha scelto comunque di utilizzare gli spazi esistenti per continuare l’engagement. Approfondiremo le tematiche già sollevate negli anni passati:

  • impegno sui cambiamenti climatici e divestment,
  • politiche eque e trasparenti di remunerazione del management,
  • politiche fiscali dell’azienda

Solleveremo questioni nuove, in particolare l’impatto che la pandemia e le sue conseguenze economiche produrranno sulle attività tipiche delle aziende.

 

Le domande per la stagione assembleare 2020

Di seguito alcune delle domande e delle problematiche che, per ciascuna delle 7 aziende ingaggiate dalla Fondazione, saranno sollevate durante la stagione assembleare 2020.

ENI

ENI AGM 2015

Insieme a Enel, Eni è la veterana del nostro azionariato critico, iniziato nel 2008.

Quest’anno ci concentriamo – insieme a Re:Common e a Greenpeace – sulla strategia di abbattimento di emissioni di gas serra pari all’80% al 2050 contenuta nel Piano strategico.

La indeterminatezza degli interventi che Eni dichiara di voler mettere in atto non fa altro che mostrare che il vero obiettivo del Piano è la corsa all’aumento della produzione di idrocarburi (petrolio e gas) per i prossimi sei anni (2020 – 2025), con una crescita media annua del 3,5% all’anno e una crescita in termini assoluti del 23% fino al 2025.
Da quella data si avvierà una graduale diminuzione della produzione, con progressiva sostituzione del petrolio con il gas e l’orientamento di parte degli investimenti verso altri business: rinnovabili, distribuzione di energia nel mercato retail, bio-raffinerie, ecc.).

Rimandare l’adozione di misure di drastica riduzione delle emissioni di gas serra di sei anni è incompatibile con la gravità e l’urgenza dell’emergenza climatica in corso.

Eni non rende noti gli obiettivi di riduzione delle emissioni nel breve-medio periodo.
Eni pone molta enfasi alla riduzione del petrolio a favore del gas, il cui presunto maggiore contributo alla riduzione delle emissioni rispetto al petrolio, e allo stesso carbone, è discutibile e messo in discussione da numerosi studi.
Sono forniti obiettivi di assorbimento della CO2 tramite progetti di conservazione forestale (REDD+) al 2025, 2035 e 2050. Tuttavia, non sono forniti dettagli su alcun progetto di conservazione e non si spiega a che punto siano le “collaborazioni” con i governi citati, per lo più africani.

Anche per i progetti di assorbimento della CO2 tramite CCS (Carbon Capture e Storage), una tecnologia ancora immatura sulla quale però Eni proietta obiettivi molto ambiziosi, sono molto vaghi. Il primo di questi, a Ravenna, partirebbe non prima del 2025.

Ogni piano di seria risposta ai cambiamenti climatici da parte di Eni viene spostato in avanti di sei anni, mentre ci troviamo già adesso nel mezzo di un’emergenza straordinaria che non ammette esitazioni nelle risposte.

Assicurazioni Generali

L’addio di Generali al carbone

Dopo i primi due anni di azionariato critico, la compagnia assicurativa triestina ha compiuto significativi passi avanti nella strategia di disinvestimento da imprese del settore delle fossili, dell’engagement con imprese dell’Europa dell’est ancora investite operanti nel settore nonché del disimpegno da contratti assicurativi rispetto a impianti e attività estrattive svolte da società del carbone.

Quest’anno l’azionariato critico di FFE si concentra sull’esistenza all’interno del Gruppo di diverse società con sede in paesi, europei ed extra-Ue, che si trovano ai primi posti nell’indice di opacità finanziaria (Financial Secrecy Index) dell’ONG Tax Justice Network.
In tutto si tratta di 56 società in Lussemburgo, Svizzera, Irlanda, Singapore, Isole Vergini Britanniche, Hong Kong, Olanda.
La Fondazione chiede a Generali l’ammontare dei profitti generati da queste imprese, il numero dei dipendenti, la tax rate media pagata per tali profitti e il ruolo che tali società svolgono all’interno del Gruppo.

Vogliamo capire se tali società abbiano un ruolo chiave in eventuali pratiche di elusione fiscale che riteniamo ingiuste in sé, perché sottraggono risorse al welfare di molte nazioni, ma anche rischiose perché espongono la società a possibili sanzioni da parte delle autorità fiscali.

H&M

H&M AGM 2019

La società svedese leader nel settore dell’abbigliamento low cost, oggetto di engagement fin dallo scorso anno, insieme alla Clean Clothes Campaign (Campagna Abiti Puliti),  sui temi dei diritti dei lavoratori e della equa retribuzione lungo tutta la catena di fornitura, quest’anno sarà interrogata anche sulle politiche di retribuzione del CEO attraverso una mozione presentata da Fondazione Finanza Etica, che sarà posta in votazione nell’assemblea degli azionisti.
Sarà chiesto di rendere pubblici gli obiettivi quantificabili di sostenibilità che il management deve raggiungere per determinare una parte della retribuzione, nonché la percentuale della componente variabile rispetto a quella fissa della stessa retribuzione.

Riteniamo  che sia fondamentale la trasparenza sulle politiche di remunerazione dei manager, in particolare in questo periodo di crisi nel quale a moltissimi lavoratori e cittadini sono chiamati a fare ingenti sacrifici. E riteniamo fondamentale che le remunerazioni dei manager delle grandi società quotate siano legati a obiettivi di sostenibilità. Su questo H&M non è assolutamente trasparente e continueremo a fare pressione sulla società per ottenere informazioni chiare.

ENEL

Azionariato critico Enele

Facciamo pressione sugli amministratori di Enel dal 2008.

Negli anni abbiamo criticato i piani della società sul carbone e il nucleare, insieme a Greenpeace Italia e Re:Common, e ci siamo opposti al progetto per la costruzione di cinque grandi dighe in un’area incontaminata della Patagonia cilena.

Dal 2008 Enel è molto cambiata, in particolare con il passaggio di consegne dal precedente amministratore delegato Fulvio Conti all’attuale CEO Francesco Starace (nominato nel 2014). Francesco Starace ha impresso una svolta storica alla società, abbandonando per sempre i piani di sviluppo di carbone e nucleare del suo predecessore e puntando tutto su una rapida transizione alle energie pulite. Questo è avvenuto anche grazie alla pressione degli azionisti critici.

Nonostante Enel si sia avviata su un percorso di profondo rinnovamento, i problemi però non mancano. E, soprattutto, la transizione deve essere continuamente monitorata, per assicurarsi che gli obiettivi intermedi, di volta in volta fissati, siano rispettati. È quello che cerchiamo di spiegare, con meno successo, anche ad Eni: ben vengano piani di decarbonizzazione completa (o quasi) al 2030 o al 2050, ma servono anche obiettivi anno per anno, per permettere agli azionisti di misurare progressi concreti e progressivi.

Ad Enel chiederemo  a che punto sia la transizione, in particolare in Spagna e in Cile, dove l’uscita dalle centrali a carbone non sembra andare come previsto.

E faremo domande sulla parte di ricavi e profitti che la controllata Enel Distribuzione ottiene dai cosiddetti “oneri di dispacciamento” (per la gestione delle reti elettriche) in bolletta, che per molti osservatori sarebbero ingiustificatamente elevati e permetterebbero alla società di fare dumping sui prezzi di altri servizi, buttando fuori mercato altri piccoli e medi operatori.

 

Rheinmetall

Partecipiamo all’assemblea di Rheinmetall, gigante tedesco degli armamenti, dal 2017, su proposta della Rete Italiana per il Disarmo, di cui la nostra Fondazione fa parte.

In Sardegna Rheinmetall produce, attraverso la controllata RWM Italia, le bombe che sono esportate all’Arabia Saudita e sono utilizzate per bombardare lo Yemen. Una guerra che sta durando da 5 anni, senza alcuna legittimazione internazionale e ha provocato migliaia di vittime tra i civili, tra i quali tantissimi bambini.


La società non ha mai dimostrato segni di apertura.
Nel frattempo il governo italiano ha sospeso le esportazioni, almeno fino al luglio del 2020 anche se non sappiamo cosa succederà dopo l’estate.
Per questo torneremo, virtualmente, in assemblea per capire meglio come si è concretizzata la sospensione dell’export e della produzione e se riprenderà dopo l’estate.
Assieme ai movimenti pacifisti tedeschi inizieremo inoltre a fare pressione sui grandi azionisti di Rheinmetall, tra cui il fondo sovrano norvegese, che investe 117 milioni di euro nella società (il 2,57% del capitale totale). A loro chiederemo di disinvestire da Rheinemtall: se la società non ci risponde, non ci resta che cercare di convincere i suoi azionisti a ritirare i propri investimenti, per motivi etici.

Acea

Partecipiamo all’assemblea di Acea dal 2017, insieme all Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua.
Alla società e al suo azionista di maggioranza (il Comune di Roma) abbiamo chiesto, sin dall’inizio, di rendere effettivo il risultato del referendum del 2011 sull’acqua pubblica. La controllata Acea Ato 2, che gestisce l’acqua a Roma e provincia, viene letteralmente spremuta da Acea, risparmiando (come si è visto) sugli investimenti e aumentando i costi dell’acqua in bolletta.

Siamo convinti, assieme ai milioni di italiani che hanno portato al successo del referendum, che l’acqua sia un bene comune e non debba essere sfruttato per produrre profitti da distribuire in borsa, tra gli altri alla famiglia Caltagirone e al gigante francese Suez.

Quest’anno torneremo in assemblea, che non è ancora stata fissata.
Chiederemo quali e quanti investimenti siano stati effettuati dopo la grave siccità del 2017, che portò alla luce perdite della rete idrica, per rotture o allacci abusivi, pari al 40% del volume totale di acqua distribuita. A che punto siamo oggi?
Cercheremo inoltre di capire se si siano concretizzati i piani di reinvestimento degli utili di Acea Ato 2, in modo che i profitti siano lasciati all’interno della società (per provvedere al miglioramento delle reti idriche) e non siano, invece, destinati totalmente agli azionisti.

Leonardo

Gen. Carta alla presidenza di Leonardo. Per Rete Italiana Disarmo e Fondazione Finanza Etica scelta inopportuna e contraria alle norme su export delle armi.

Partecipiamo all’assemblea di Leonardo (ex Finmeccanica), il principale produttore di armi italiano e uno dei primi in Europa, dal 2016.

Quest’anno le domande che faremo alla società saranno incentrate sulla gestione, a nostro parere scorretta, dell’emergenza da Covid-19, che ha portato allo sciopero di tutte le sigle sindacali il 23 marzo scorso.

I sindacati hanno lamentato l’assenza di misure adeguate per proteggere i lavoratori.
Leonardo avrebbe cercato di minimizzare la portata dello sciopero, dichiarando che il 70% dei lavoratori avrebbero comunque deciso di lavorare il 23 marzo. Fonti sindacali parlano invece di una percentuale di adesione pari al 74%, almeno nella parte “manufacturing” e quindi all’interno degli stabilimenti.

Retribuzioni dei manager. ENI si arrende a Fondazione Finanza Etica

  |   By  |  0 Comments

Retribuzioni dei manager ENI si arrende a Fondazione Finanza Etica

Nel 2012 Fondazione Finanza Etica interviene all’assemblea di Eni. Chiede perché, a favore del presidente e dell’amministratore delegato uscenti, Roberto Poli e Paolo Scaroni, sia stato pagato, nel 2011, un bonus discrezionale straordinario di fine carica da un milione di euro a testa, senza che siano esplicitati i criteri in base ai quai tale compenso sia stato calcolato.
«Perché un milione di euro e non 950.000 euroo 1,2 milioni di euro?», chiede la Fondazione. «Perché poi attribuire un compenso di fine carica all’amministratore delegato Scaroni, per il quale era già prevista la conferma della carica per un ulteriore mandato?».

Nel 2013 Eni introduce criteri sociali, ambientalie di governance (ESG) per la remunerazione variabile di lungo termine da attribuire al presidente e all’amministratore delegato, che pesano per il 10% del totale.
È un fatto positivo: significa che i due più importanti amministratori della società saranno pagati (o non pagati) anche in base al raggiungimento (o meno) di obiettivi sociali e ambientali e non solo finanziari.

Però alla Fondazione i criteri di riferimento (la presenza della società negli indici azionari etici FTSE4Good e Dow JonesSustainability Index) non piacciono.
«Sono generici e arbitrari. Perché non è possibile adottare criteri più specifici, consultando i portatori di interesse della società?».
Nel 2015 c’è finalmente una svolta: la possibilità di attribuire bonus discrezionali straordinari viene cancellata (come richiesto da Fondazione Finanza Etica) e si cambiano i criteri ESG per attribuire una parte della remunerazione variabile ai manager. Dalla presenza di Eni in indici azionari etici si passa a due criteri specifici, come richiesto dalla Fondazione: la riduzione delle emissioni di CO2e deglii nfortuni sul lavoro.
In più si alza il peso dei criteri ESG dal 10% al 25%.
Un grande successo, che la Fondazione non manca di sottolineare nel corso del suo intervento all’assemblea dello stesso anno:

«Voteremo per la prima volta a favore della relazione sulla remunerazione. Siamo contenti che Eni abbia colto la nostra proposta di eliminare ogni bonus discrezionale, come quelli attribuiti una tantum nel 2011 all’allora CEO, PaoloScaroni, e al Presidente, Roberto Poli, per un milione di euro a testa. Allora avevamo criticato Eni per questa scelta. Eni dopo tre anni ci ha ascoltato e siamo contenti di questo, esprimiamo anche soddisfazione per la modifica dei criteri di attribuzione del bonus relativo alla sostenibilità ambientale e al capitale umano, che corrisponde al 25% dell’incentivazione variabile annuale. Come abbiamo proposto l’anno scorso all’Assemblea, tale bonus non avrà più come parametro la presenza di Eni in uno dei due indici etici Dow Jones Sustainability e FTSE4good, che ci sembrava un criterio poco oggettivo, visto che non condividiamo i criteri con i quali questi indici sono composti e creati ma farà riferimento a criteri più oggettivi, come la riduzione dell’emissione di CO2e l’indice di frequenza degli infortuni».

 

Per le strategie di azionariato critico, cosa è e come funziona, si può leggere il nostro rapporto Azionariato critico. Storia, strumenti e successi, a cura di Mauro Meggiolaro. È il primo lavoro organico in Italia che descriva la storia dell’azionariato critico dalle sue origini.

 

 

Azionariato critico, ENI e lo Stato

  |   By  |  0 Comments

Cosa possono fare gli azionisti critici in Italia?

Azionariato critico, ENI e lo Stato. Quale il ruolo del pubblico? La Costituzione dovrebbe fare da guida.

 

Se avessimo una tessera ad honorem dell’azionariato critico, questa oggi andrebbe a Luigi Zingales per la sua intervista uscita il 23 febbraio su L’Espresso. Come ex membro del CdA chiama in causa le responsabilità morali e politiche del Governo, azionista di riferimento di ENI.

In particolare nella mancata reazione di fronte alle vicende giudiziarie in cui l’azienda e i suoi vertici sono coinvolti. Si tratta dell’accusa di corruzione internazionale in Nigeria in riferimento al blocco petrolifero Opl 245.

In vista del rinnovo delle nomine dello Stato nelle società controllate, Zingales pone questioni pesanti e di metodo che ci sentiamo di sottoscrivere interamente. A partire dalla necessità che il Governo indichi delle linee guida da seguire nelle società controllate.

In realtà sono cose che andiamo dicendo da anni nella nostra attività di azionariato critico; e che valgono non solo per Eni, ma per tutte le società a controllo pubblico. Nel nostro caso l’azionariato critico è svolto in Eni, Enel, Leonardo, società nelle quali l’azionista di riferimento è lo Stato. Oltre che in Acea, dove l’azionista di riferimento è il Comune di Roma.

Con Zingales concordiamo sul fatto che lo Stato ha diversi profili di responsabilità in Eni. Per esempio il mancato controllo sulle omesse e ritardate dichiarazioni dell’ad Descalzi relative alla normativa sulle parti correlate. Questa omissione attiene agli interessi economici della moglie in una società che prestava servizi a Eni Congo.

Così come la mancata richiesta di chiarimenti e dimissioni al momento del rinvio a giudizio di Descalzi sul caso di corruzione internazionale in Nigeria; esponendo così il paese a un rischio reputazionale enorme.

Ma, in fondo, questo caso pone il tema fondamentale del ruolo dello Stato in queste società. E, per noi, anche del ruolo che ogni azionista può e deve svolgere in esse. In questa riflessione ci guida il dettato costituzionale.

L’art.41 della nostra Carta fondamentale dichiara che “L’iniziativa economica privata è libera“. Ma anche“non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Cosa vuol dire, in concreto?

Che i cittadini che investono il loro risparmio nelle aziende quotate si rendono protagonisti e forse responsabili di vigilare e indirizzare la “propria” azienda in una direzione coerente con questa norma. E, soprattutto, che quando la “propria” azienda devia da questo solco, tutti gli azionisti sono chiamati a intervenire per quanto nei propri poteri.

D’altra parte, prosegue l’art.41, “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” e, dunque, sarebbe anche compito dello Stato svolgere questa funzione. Tanto più, quando lo Stato che deve assicurare questo indirizzo e controllo è esso stesso l’azionista di riferimento di queste società: ad esso spetterebbe di farsi parte diligente per garantire l’effettività del dettato costituzionale.

Questo attivismo aziendale da parte dello Stato è rafforzato dall’art.43 che ammette che “A fini di utilità sociale la legge può riservare  originariamente o trasferire … allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

L’interesse generale di cui parla l’art.43 cosa è, ad esempio, se non la tutela dell’ambiente e dei diritti umani che sono implicati nelle attività di queste società?

E, infine, l’art.47, secondo il quale la Repubblica favorisce “l’accesso del risparmio popolare … al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”, non trasferisce forse in capo all’azionista di queste aziende almeno quota parte di quella responsabilità di indirizzo e controllo verso finalità sociali, contenuta negli articoli precedenti, delle aziende di cui sono proprietari?

Ora, questo insieme di norme evidenzia profili di responsabilità, anche giuridici, ma certamente politici per lo Stato. Esso non partecipa infatti direttamente nella compagine sociale di una società per massimizzare i ricavi, bensì per realizzare degli obiettivi di sviluppo e di interesse comune per la comunità nazionale rappresentata.

Le contraddizioni che spesso Fondazione Finanza Etica nel suo azionariato critico rileva, nel comportamento di questo azionista così “speciale” quale è lo Stato, dovrebbero essere oggetto di riflessione. Non solo per gli stakeholder dell’impresa, ma anche del Paese: per i cittadini elettori e per le istituzioni pubbliche.

Lo Stato, azionista di riferimento di Leonardo che produce anche armi, è lo stesso che ne autorizza la vendita a paesi in conflitto, in violazione della legge 185/90 sul commercio di armi. Ciò implica una responsabilità ulteriore in capo al Governo derivante proprio dall’essere azionista di riferimento di quell’azienda.

Analogamente se lo Stato è azionista di Eni, il cui management viene implicato in un caso di corruzione internazionale, il Governo ha una ulteriore responsabilità rispetto a quella più generale di indirizzo nelle politiche sull’energia e idrocarburi del Paese.

In questo senso non è fuori luogo dire che l’azionariato critico sollecita una riflessione sulla partecipazione alla vita delle imprese in termini di democrazia economica. Infatti, quando il capitale sociale è estremamente disperso, come nel caso delle società quotate italiane, il  potere si concentra in modo sproporzionato sui manager e sulla dirigenza.

Ma questi hanno l’unico obiettivo di massimizzare il valore delle azioni al fine di assecondare le aspettative degli azionisti di maggioranza; oltre che di portare a casa retribuzioni personali legate ai risultati economici di dimensioni spropositate.

L’azionariato critico pone l’accento sul ruolo attivo e la responsabilità etica di ognuno dei comproprietari.

È  dunque anche uno strumento che permette di migliorare la conoscenza e la partecipazione dei piccoli azionisti e dei cittadini alle scelte delle imprese in campo finanziario. Ma, certamente, chiede all’azionista di riferimento-Stato di assumersi le responsabilità di guida della società, indirizzandola ai fini dell’interesse generale del paese.

 

Simone Siliani, direttore Fondazione Finanza Etica

ENI: quale mission?

  |   By  |  0 Comments

La guerra ai cambiamenti climatici si conduce anche nei tribunali. È il caso della California. E sulla West Coast il caso interroga questioni più profonde come il ruolo dello Stato in questo conflitto, la sua funzione di garanzia quando sono in gioco interessi generali e interessi privati, che sono al fondamento di una democrazia ben funzionante. E forse c’è da riflettere anche in Italia.

Ecco il caso.

Le città di Oakland e San Francisco hanno portato le major del petrolio in tribunale, accusandole di aver messo a rischio le comunità costiere del Pacifico a causa del loro contributo al cambiamento climatico: l’innalzamento dei livelli del mare su queste città costiere, in caso di uragani porterebbe a devastanti alluvioni; ogni tempesta, cioè, si assommerebbe a livelli più alti del mare con rischi enormi per la salute dei cittadini e la sicurezza dei beni pubblici e privati.
Ora, accade che – mentre il procedimento giudiziario è in corso – vengono alla luce 178 pagine di email scambiate fra legali del Dipartimento di Giustizia del Governo federale e gli avvocati delle compagnie petrolifere dalle quali emerge una complicità e una collaborazione dei primi con i secondi nella costruzione della difesa contro le accuse di Oakland e San Francisco. Le email sono state acquisite dal Natural Resources Defense Council (una ong ambientalista fondata nel 1970 con sede a New York), in base alla legge federale Freedom of Information Act, una delle conquiste della democrazia americana nel 1967 e ampliata durante la presidenza Clinton fra il 1995 e il 1999. Le email mettono in evidenza una stretta relazione fra l’Amministrazione Trump, in particolare la struttura della Giustizia (l’avvocatura federale, nello specifico) e l’industria petrolifera. Una vicinanza fatta di decine di incontri con lo scopo di preparare memorie difensive, di scambi di informazioni in vista delle udienze, di cortesie legali che hanno fatto sorgere più di un dubbio circa l’imparzialità del Governo federale rispetto a un contenzioso in cui si confrontano soggetti pubblici che agiscono in nome di interessi generali delle comunità rappresentate (le due città) e soggetti privati che difendono interessi particolari (le compagnie petrolifere). Alcuni sostengono che in questi contatti non si ravvisano comportamenti illegittimi (“red flag”), al più inopportuni (“eyebrow”). Ma il fatto è che il Dipartimento di Giustizia del Governo federale si è apertamente schierato a favore dell’industria petrolifera in un processo
attraverso una memoria firmata da Jeff Wood, già uomo di punta della campagna elettorale di Trump e da questi nominato avvocato generale nella Divisione Ambiente e Risorse Naturali del Dipartimento della Giustizia. Nella memoria Wood scrive che “ Gli Stati Uniti hanno un forte interesse economico e nazionale nel promuovere lo sviluppo dei combustibili fossili, fra le altre fonti energetiche”; dunque “l’equilibrio fra i bisogni energetici della nazione e interessi economici da un lato e i rischi posti dai cambiamenti climatici è competenza in primo luogo delle varie articolazioni del Governo federale”, motivo per cui la causa intentata da Oakland e San Francisco viola il principio costituzionale della separazione dei poteri.
Altri invece, come la ong NRDC, ritengono che la collaborazione con l’industria petrolifera responsabile dei cambiamenti climatici non sia negli interessi degli Stati Uniti. C’è stato favoritismo del Governo federale per una parte in un contenzioso giudiziario tale da compromettere la terzietà dell’amministrazione pubblica? È assai probabile, visto che il Dipartimento di Giustizia – mentre collaborava attivamente con BP e con le altre major del petrolio – mai ha cercato e interloquito con le due amministrazioni cittadine. Certamente possiamo dire che questa vicinanza fra Governo e imprese private, cioè la mescolanza fra interessi pubblici e interessi privati, negli Stati Uniti ha sollevato scandalo, discussioni, conflitti istituzionali; ha sollevato domande inquietanti sull’obiettività della struttura del Governo federale preposta alla amministrazione della Giustizia. Sono quesiti di fondo circa l’essenza di una democrazia moderna.

Ma, allora, per venire a casa nostra, cosa potremmo o dovremmo pensare di un governo, quello italiano, che è tanto vicino all’industria degli idrocarburi, cioè dei combustibili fossili, da esserne azionista di riferimento? Parliamo, ovviamente, di Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) di cui il Ministero dell’economia e della finanza (Mef) è azionista di maggioranza. Toccare questo tasto non è particolarmente beneaugurante (come ha dimostrato la vicenda del ministro Fioramonti, che osò discutere questa posizione del Governo in Eni sulla nostra testata Valori), ma per quanto sarà ancora possibile eludere la domanda: lo Stato, che deve ridurre fino al superamento la carbonizzazione della produzione di energia elettrica in base all’accordo di Parigi della COP 21, può anche essere azionista di riferimento di un’azienda che ha come mission quella di operare nel campo delle fonti fossili di energia ? O, quanto meno, può farlo senza porre all’azienda l’obiettivo, concreto e misurabile, del superamento di questo mandato costitutivo di essere l’ente nazionale idrocarburi?

Simone Siliani