Banche etiche e sostenibili e sindacati

  |   By  |  0 Comments

Amalgamated Bank

Banche etiche e sostenibili e sindacati

A cura di Keith Mestrich, Presidente e CEO di Amalgamated Bank

In occasione della presentazione del 3 Rapporto sulla Finanza Etica e Sostenibile in Europa di Fondazione Finanza Etica

————————————–

Ecco il discorso che il CEO di Amalgamated Bank, Keith Mestrich, aveva preparato per l’incontro promosso da Banca Etica e Fondazione Finanza Etica intitolato “Una finanza utile al lavoro”.

A causa delle restrizioni imposte per contenere i contagi da covid-19 Mr. Mestrich non è potuto venire in Italia, ma ha voluto comunque condividere con noi la sua esperienza.

————————————–

Grazie. È un onore essere qui con voi stamattina.

Alcuni di noi rientrano dall’incontro annuale della Global Alliance for Banking on Values a Berna. È stato meraviglioso passare un po’ di tempo con i colleghi che lavorano nell’industria finanziaria e che aspirano a una società migliore. È veramente stimolante. Essere circondati anche qui dai rappresentanti del movimento sindacale internazionale, per me amici e alleati, è davvero una cosa preziosa. Voglio quindi iniziare ringraziandovi per il vostro lavoro, per la vostra dedizione a creare un mondo migliore per tutti, portare dignità al lavoro. E per la vostra resistenza a continuare a lottare.

Voglio anche ringraziare Banca Etica per averci ospitato. La vostra missione di fornire una gestione più trasparente e responsabile delle risorse finanziarie, sostenendo al contempo iniziative socio-economiche ispirate ai valori dello sviluppo sociale e umano sostenibile, è una testimonianza di come il sistema finanziario possa davvero funzionare per le persone. È la vostra leadership che ci ha portato qui tutti insieme oggi.

Come per Banca Etica, anche Amalgamated Bank è nata dall’idea che il sistema finanziario debba essere accessibile a tutti. Nel 1923, Sidney Hillman e gli altri dirigenti della Amalgamated Clothing Workers of America decisero che era giunto il momento che i lavoratori e le loro famiglie avessero lo stesso accesso a servizi bancari di qualità e a prezzi accessibili di cui godono le grandi imprese e le persone benestanti. Questa semplice idea si è trasformata nel nostro leitmotiv per tutto il XX secolo – che il Il sistema finanziario debba essere aperto e accessibile a tutti.

Abbiamo offerto conti correnti gratuiti a uomini e donne che lavoravano in un’epoca in cui le banche erano rivolte ai ricchi e ai privilegiati. Abbiamo sviluppato alcuni dei primi prodotti di credito non garantiti, in modo che le sarte e i sarti in difficoltà potessero ottenere un prestito per mandare un figlio all’università, aprire una piccola impresa o fare un importante acquisto per la casa. E abbiamo lavorato con altre banche, partiti politici e sindacati in Europa per creare il primo sistema di rimesse all’estero, affinché i lavoratori immigrati potessero rimandare le risorse alle loro famiglie che vivevano con difficoltà in un’Europa in difficoltà.

La creatività e l’innovazione hanno segnato i nostri primi 97 anni ed è ancora oggi al centro di ciò che siamo. Ci battiamo ancora per le libertà sociali, per un sistema bancario equo che serva tutti, non solo i ricchi, per la giustizia economica e per l’equità in tutti gli aspetti della nostra vita.

Per quasi novant’anni ci siamo dedicati a lavorare con il movimento operaio negli Stati Uniti. Abbiamo lavorato con i sindacati per finanziare alloggi a prezzi accessibili per i loro associati. Abbiamo fornito capitale circolante ai sindacati che si preparavano a scioperare per inviare un forte segnale ai loro datori di lavoro che i sindacati avevano sostanziosi finanziatori. Abbiamo sviluppato prodotti affinity in modo che i lavoratori potessero accedere a prezzi accessibili al sistema di pagamento. Abbiamo aperto filiali nei quartieri della classe operaia in modo che le famiglie dei lavoratori potessero avere un posto sicuro per i loro risparmi, chiedere prestiti per l’acquisto di auto e finanziare le loro case. E abbiamo sviluppato una piattaforma di deposito e prodotti di gestione degli investimenti per aiutare i sindacati a pianificare le loro risorse per le pensioni e il welfare.

Ma il nostro lavoro ha anche dovuto affrontare delle sfide. Come molte banche in tutto il mondo, abbiamo ricevuto un brutto colpo dalla crollo economico nel 2008. Abbiamo dovuto considerare l’ipotesi che la nostra visione della giustizia economica potesse non realizzarsi. Abbiamo visto il credito deteriorarsi e la liquidità prosciugarsi. Ci siamo scoperti sottocapitalizzati e sotto un eccessivo controllo normativo. SInceramente, abbiamo quasi rischiato di fallire. Tutto questo si è verificato mentre il movimento operaio negli Stati Uniti stava vivendo decenni di declino in termini numerici e con scarse prospettive di crescita.

In sostanza, il nostro fino ad allora vincente modello di business, quello cioè di essere un partner leale del movimento operaio, era sottoposto a forte pressione.

Di fronte a questi grandi cambiamenti, abbiamo abbracciato l’incertezza e siamo andati in cerca di opportunità, portando la banca verso una nuova evoluzione. L’economia stava cambiando e il nostro modello di business si doveva adattare a questo cambiamento. Siamo passati da essere principalmente una banca per il lavoro e per la comunità non bancabile a istituto finanziario organizzato per essere al servizio di una comunità molto più ampia. Lavorando sulla reputazione e sull’influenza che ci eravamo guadagnati con i partner sociali, abbiamo iniziato a estendere il nostro raggio d’azione al mondo politico, un mondo in cui ora Amalgamated opera come banca per candidati progressisti in corsa per la carica, dai più piccoli incarichi di Consigliere Comunale, fino a quella di Presidente degli Stati Uniti. Abbiamo iniziato a lavorare con enti no profit, comitati di azione politica, organizzazioni di advocacy e filantropi – tutti con l’obiettivo di far progredire l’agenda progressista.

Ampliando il nostro modello di business, abbiamo abbracciato un’agenda sociale molto più ampia e la nostra banca ha di conseguenza ricominciato a crescere.

Il sistema finanziario è la linfa vitale dell’economia a livello locale, nazionale e globale. Schierarsi con le organizzazioni che lavorano per sostenere, difendere e proteggere questa economia ci permette di svolgere un ruolo positivo nel sostenere una miriade di attività; di cercare equità oltre il colore della pelle, il genere e lo status economico, per costruire un futuro più sostenibile, per sostenere gli sforzi di riduzione della povertà e per vedere la piena realizzazione dei diritti umani. C’è questo straordinaria opportunità di crescita per soddisfare la domanda di responsabilità sociale e di un sistema finanziario sostenibile che è più strettamente allineata con la nostra visione collettiva della sostenibilità sociale.

Per questo motivo, abbiamo pensato in modo più olistico a come fornire prodotti e servizi per costruire un mondo migliore.

Il nostro impegno per la tutela dell’ambiente ne è un buon esempio.

Per fare la nostra parte per invertire gli effetti della crisi climatica, abbiamo assunto impegni significativi ed evoluti che avranno un impatto diretto su tutti i settori dell’economia.

Amalgamated ha integrato la sostenibilità in ogni aspetto delle proprie operazioni, impegnandosi a misurare e rendicontare la propria impronta di carbone, a non concedere prestiti o a non investire nei combustibili fossili, fornendo investimenti senza uso di combustibili fossili ai nostri clienti, e impegnandosi con la società in cui i nostri clienti investono per spingere verso l’allineamento con l’Accordo sul clima di Parigi. Siamo anche fieri della collaborazione con molti dei nostri partner nell’attività di azionariato attivo, affinché le aziende aumentino il livello di responsabilità sociale e di investimenti sostenibili. E stiamo guidando l’impegno delle banche nordamericane allo sviluppo di una serie di principi per il calcolo del carbonio, in modo da poter misurare l’impatto che i nostri portafogli di prestiti e titoli hanno sul clima. Misurando questo impatto, possiamo iniziare a prendere provvedimenti per ridurre il numero di progetti che hanno un impatto negativo e utilizzare il nostro portafoglio prestiti per creare un vero e proprio cambiamento.

Il nostro impegno a lavorare con i nostri partner non è solo impegnarsi per una solida e coerente tutela dell’ambiente. Il nostro impegno per la responsabilità sociale è più ampio.

Le società in cui strati della popolazione soffrono di povertà estrema, emarginazione e discriminazione, non hanno accesso all’assistenza sanitaria di base e all’istruzione, non godono delle libertà democratiche di base o devono far fronte a istituzioni pubbliche disfunzionali, corrotte o irresponsabili creano pressioni sociali che, a loro volta, mettono a dura prova le risorse ambientali ed economiche. È difficile, se non impossibile, rispondere alle esigenze di un pianeta sostenibile senza tener conto del ruolo critico che svolge una società sostenibile. Di conseguenza, un futuro sostenibile per tutti richiede una visione coerente di come gli strati della società, dell’economia, dell’ambiente e della finanza interagiscono tra loro, e del ruolo del sistema finanziario nel facilitare fonti di reddito e società sostenibili.

Diritti economici più ampi come il diritto al lavoro, il diritto alla sicurezza sociale e il diritto all’istruzione e all’assistenza sanitaria sono obiettivi economici chiave che contribuiscono a sostenere lo sviluppo, la crescita e la stabilità sociale, fornendo istituzioni responsabili, lavoratori sani, istruiti e qualificati, garanzie per le persone anziane e una rete di sicurezza in tempi di crisi economica.

La nostra attività consiste nell’essere il partner finanziario delle organizzazioni che lavorano per questo tipo di cambiamento sociale. Nel mio Paese non c’è davvero nessun’altra banca che abbia questo mandato. Come partner di organizzazioni di lavoratori, gruppi ambientalisti, organizzazioni governative e candidati a cariche pubbliche, contribuiamo a rendere la nostra società più sostenibile e giusta. Lo facciamo in modi piuttosto noiosi, ma importanti – facciamo funzionare le transazioni, ascoltiamo attentamente ed eliminiamo gli attriti finanziari che creano preoccupazioni ai nostri clienti e li distolgono dal buon lavoro che fanno, concediamo prestiti di capitale circolante, per far sì che possano continuare a lavorare anche quando i finanziamenti potrebbero essere limitati, e sviluppiamo approcci integrati agli apporti di capitale che permettono ai nostri clienti di pensare ancora più in grande e li aiutano a raggiungere i nobili obiettivi che si prefiggono.

Quindi. Siamo sopravvissuti alla crisi finanziaria e di fatto ne siamo usciti come un’istituzione più forte di quanto non fossimo prima. Il nostro patrimonio è cresciuto di quasi il 50% e ora gestiamo quasi cinque miliardi e mezzo di dollari di attività commerciali. La nostra azienda fiduciaria investe quasi 50 miliardi di dollari di capitale dei lavoratori, fornendo titoli pensionistici a milioni di lavoratori americani e usando la nostra voce come azionista verso altre aziende. Abbiamo più di 4 miliardi di dollari di prestiti che forniscono alloggi a prezzi accessibili, finanziano le energie rinnovabili e stimolano lo sviluppo della comunità. Abbiamo uffici a New York, Washington e San Francisco. Siamo una B-Corp certificata e siamo stati la prima società di proprietà del sindacato a raccogliere fondi nei mercati pubblici, dandoci una moneta liquida per crescere ancora di più e fare di più.

E non lo facciamo come gesto di carità. Siamo un’azienda viva che genera profitti e, grazie alla nostra rinnovate iniziative mirate, il 2019 è stato l’anno più redditizio dal 1997.

E non abbiamo finito. Mentre ci avviciniamo al nostro centenario, la Banca ha aperto un dialogo con i nostri clienti rispetto a ciò che non funziona per loro nell’attuale sistema finanziario. Stiamo imparando molto e stiamo pensando a quale sarà la prossima serie di prodotti e servizi che potremo offrire ai nostri clienti. Proprio come i nostri fondatori, che hanno sviluppato prodotti bancari per una comunità di lavoratori trascurata, forniremo per questo nuovo secolo prodotti e servizi per le organizzazioni trascurate dal sistema finanziario che lavorano ogni giorno per la giustizia economica e sociale.

Il mio è un gran bel lavoro, lo devo ammettere. Sono al servizio di una comunità di organizzazioni che si battono per un mondo migliore. Questo è ciò che penso quando penso all’attività bancaria etica e sono molto orgoglioso del lavoro che svolgiamo.

Grazie.

Terzo Rapporto sulla Finanza Etica e Sostenibile in Europa

  |   By  |  0 Comments

3 Rapporto Finanza Etica e Sostenibile in Europa

Il Terzo Rapporto sulla Finanza Etica e Sostenibile in Europa mostra numeri alla mano, come un diverso modello sia non solo possibile, ma già concretamente praticato.

 

È stato pubblicato il Terzo Rapporto sulla Finanza Etica e Sostenibile in Europa. Come per le precedenti edizioni, il rapporto fornisce una panoramica sulle banche etiche e sostenibili sia in termini assoluti sia in confronto con le altre banche.

Il rapporto di quest’anno presenta diverse novità. Il confronto non è stato fatto unicamente rispetto alle banche di maggiori dimensioni (quelle cosiddette too big to fail) ma all’insieme del sistema bancario europeo. Il taglio è poi ancora più europeo, con un focus su diversi Paesi. Sono inoltre delle novità gli approfondimenti sulle paghe dei manager e sull’attività di azionariato critico in Europa.

Come per le precedenti edizioni, il rapporto evidenzia delle differenze sostanziali tra le banche etiche e sostenibili e le altre.

Le prime hanno un rapporto tra prestiti erogati e totale dell’attivo pari al 76%, a fronte di un 39,8% della media europea. Pur in maniera approssimativa e con le dovute cautele, un indicatore di quanto una banca eroghi credito per l’economia e la creazione di posti di lavoro. Una tale differenza di valori non evidenzia una prestazione diversa, ma un modello e un approccio diversi.

A fronte di questa maggiore capacità di sostenere l’economia, le banche etiche nell’ultimo decennio hanno anche avuto un rendimento migliore della media europea. Il ROE (indicatore del rendimento del capitale) è stato del 3,57% per le prime, della metà (1,79%) per le seconde.

Confronto tra Banche Etiche europee e sistema bancario

 

Il mondo della finanza etica e sostenibile si dimostra quindi migliore non “solo” dal punto di vista degli impatti ambientali o sociali o della trasparenza, ma in maniera altrettante evidente riguardo la performance economica.

Una conferma viene anche dalla crescita del settore. Attivi, depositi e patrimonio netto delle banche etiche e sostenibili sono cresciuti a ritmi intorno al 10% nell’ultimo decennio, mentre il sistema bancario nel suo insieme viveva una stagnazione. Gli attivi per le banche etiche sono infatti cresciuti del 9,9% l’anno mentre la media del settore marca un -0,3%, mentre i crediti hanno superato il 10% di crescita annua per le prime a fronte di uno 0,4% per le seconde.

 

Il Terzo Rapporto sulla finanza etica e sostenibile analizza poi nella seconda parte le paghe dei manager. Anche qui, non parliamo di semplici differenze, ma di approcci radicalmente diversi.

Equità nelle retribuzioni

 

Quasi tutte le banche etiche e sostenibili prevedono rapporti tra la paga massima e quella minima e/o quella media al loro interno. Al contrario, in molte banche tradizionali non è raro vedere alti dirigenti con retribuzioni che sono decine, se non centinaia di volte quelle dei loro dipendenti. Retribuzioni dei top manager legate inoltre alla crescita del valore delle azioni nel brevissimo termine e non a obiettivi di lungo periodo.

 

In ultimo, il Rapporto esamina le iniziative di azionariato attivo e critico. Si tratta di utilizzare i diritti legati al proprio un investimento azionario – a partire da quello di voto e di intervento durante l’assemblea – per porre alcune questioni di natura sociale o ambientale e spingere l’impresa a comportamenti più virtuosi.

Sono diversi i successi che vengono presentati nel Rapporto, mostrando in qualche modo come il potere della finanza possa essere incanalato per spingere verso una maggiore sostenibilità l’insieme del sistema economico.

Un modello di successo, da molti punti di vista, quindi.

 

Proprio in ragione di tale successo, e prima ancora grazie alla crescente attenzione del pubblico e dei risparmiatori verso i temi ambientali e sociali, oggi sia le istituzioni sia lo stesso sistema bancario si stanno accorgendo della finanza etica e sostenibile. L’UE ha avviato un percorso per definirla e promuoverla. Per chi da decenni, come Banca Etica in Italia, lavora esclusivamente in questo ambito, tale nuova spinta rappresenta un’opportunità ma anche un rischio.

Lo testimonia l’approccio europeo, dove la sostenibilità è letta quasi esclusivamente in chiave ambientale. La questione dei cambiamenti climatici è tanto importante quanto urgente, ma rappresenta solo una delle dimensioni della sostenibilità. Mancano quasi totalmente nel lavoro europeo le dimensioni sociali e di governance; ovvero due delle tre gambe del tradizionale approccio ESG – Environment, Social, Governance alla sostenibilità.

In maniera forse ancora più incredibile, parlando di finanza e guardando ai recenti disastri, dalla bolla dei subprime in poi, nell’approccio europeo manca completamente il tema della speculazione. Nulla sull’utilizzo distorto di derivati o altri strumenti complessi, nulla sui paradisi fiscali. Nulla persino sugli obiettivi di brevissimo termini del sistema finanziario, uno dei principali motori che spinge le imprese a trascurare i propri impatti ambientali e sociali pur di massimizzare i profitti a breve, inseguendo l’appetito insaziabile degli speculatori.

Tali rischi sono ancora più evidenti se guardiamo alle iniziative promosse dallo stesso sistema bancario e finanziario. Oggi quasi tutti i gruppi di maggiori dimensioni sbandierano la propria sostenibilità. Se però andiamo a vedere il merito di tali iniziative, ci accorgiamo che troppo spesso appaiono più di marketing, se non greenwashing. Una “lavata di verde” per ripulire la propria reputazione senza incidere sul business.

Un dato tra i tanti per confermare tali preoccupazioni. Nei pochi anni dalla firma dell’Accordo di Parigi a oggi, i grandi gruppi bancari hanno finanziato per 1.400 miliardi di dollari i combustibili fossili. Molte di queste banche erano in prima fila al Forum economico di Davos e in altri contesti a stracciarsi le vesti – a parole – sull’emergenza clima. Il pianeta, ben prima del movimento della finanza etica, non può permettersi una simile “bolla” della sostenibilità.

Il mondo della finanza etica e sostenibile mostra al contrario, numeri alla mano, come un diverso modello sia non solo possibile, ma già concretamente praticato da milioni di persone in tutto il mondo. Se i numeri sono ancora piccoli rispetto a quelli della finanza globale, molto dipende dalle nostre scelte e da una riflessione sull’uso dei nostri soldi.

I nostri risparmi sono una goccia nel mare, ma l’insieme di queste gocce crea il sistema finanziario. I maggiori investitori sui mercati internazionali sono banche, fondi pensione, fondi di investimento, assicurazioni. Tutti soggetti che si alimentano con i nostri soldi.

Sappiamo dove finiscono e come vengono utilizzati? Una volta incanalati nel sistema bancario e finanziario, i nostri risparmi creano posti di lavoro o alimentano delocalizzazioni e precarietà? Quale impatto hanno sull’ambiente e il clima? Sono un moltiplicatore per sviluppare l’economia di un territorio o finiscono in qualche paradiso fiscale sottraendosi al fisco e indebolendo l’economia?

Con le nostre scelte rischiamo di essere complici inconsapevoli del sistema di cui siamo vittime. O al contrario possiamo scegliere di sottrarre i nostri risparmi a un modello speculativo e ambientalmente insostenibile per promuoverne uno in cui la finanza torna a essere uno strumento al servizio della società e del pianeta. Il Terzo Rapporto sulla finanza etica e sostenibile in Europa ci aiuta a capire come farlo e perché.

Andrea Baranes, vice-presidente Banca Etica

 

Una finanza utile al lavoro

  |   By  |  0 Comments

Una finanza utile al lavoro

Una finanza utile al lavoro

Come gestire il denaro per favorire occupazione, diritti e ambiente

 

28 Febbraio, 10.30 – 13.00
Centro Astalli, sala Assunta • via degli Astalli 17, Roma

 

Da troppo tempo sembriamo rassegnati a una finanza “nemica” del lavoro che cerca il massimo rendimento nel minor tempo possibile e per farlo sacrifica i diritti dei lavoratori e – spesso – l’esistenza stesse delle aziende che creano occupazione, per non parlare dei disastri ambientali consumati in nome del profitto.
Ma la finanza può essere diversa!
La finanza etica si basa su scelte radicali definite oltre 20 anni fa: sostenere l’economia reale e non quella speculativa; disinvestire dalle imprese coinvolte nella produzione di armi e nei combustibili fossili e sostenere invece imprese attente all’ambiente, ai diritti di chi lavora e delle comunità locali.
Oggi finalmente – sulla spinta dell’opinione pubblica e di alcuni investitori istituzionali, tra cui anche i sindacati di alcuni Paesi europei e nordamericani – anche la finanza tradizionale inizia a porsi queste questioni, aprendo la strada un maggiore ottimismo senza trascurare la necessità di vigilare contro il rischio di greenwashing.

 

Ne parliamo con

Roberto Gualtieri, Ministro dell’Economia e delle Finanze

Maurizio Landini, Segretario Generale della CGIL

Keith Mestrich, Presidente di Amalgamated Bank. L’esperienza della più importante banca sociale statunitense, fondata cento anni fa dal sindacato del settore tessile e oggi punto di riferimento per la finanza etica nordamericana

Andrea Baranes, vice-Presidente Banca Etica. Presentazione del Terzo Rapporto Sulla Finanza Etica e Sostenibile in Europa, con un focus sul tema delle remunerazioni

 

Tavola rotonda con

Anna Fasano, Presidente di Banca Etica

Salvatore Casabona, Responsabile previdenza complementare CGIL

Pier Paolo Baretta, Sottosegretario presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze

Modera: Patrizia Pallara, RadioArticolo1

 

La partecipazione all’evento è gratuita previa registrazione.

Registrati adesso QUI

Azionariato critico, ENI e lo Stato

  |   By  |  0 Comments

Cosa possono fare gli azionisti critici in Italia?

Azionariato critico, ENI e lo Stato. Quale il ruolo del pubblico? La Costituzione dovrebbe fare da guida.

 

Se avessimo una tessera ad honorem dell’azionariato critico, questa oggi andrebbe a Luigi Zingales per la sua intervista uscita il 23 febbraio su L’Espresso. Come ex membro del CdA chiama in causa le responsabilità morali e politiche del Governo, azionista di riferimento di ENI.

In particolare nella mancata reazione di fronte alle vicende giudiziarie in cui l’azienda e i suoi vertici sono coinvolti. Si tratta dell’accusa di corruzione internazionale in Nigeria in riferimento al blocco petrolifero Opl 245.

In vista del rinnovo delle nomine dello Stato nelle società controllate, Zingales pone questioni pesanti e di metodo che ci sentiamo di sottoscrivere interamente. A partire dalla necessità che il Governo indichi delle linee guida da seguire nelle società controllate.

In realtà sono cose che andiamo dicendo da anni nella nostra attività di azionariato critico; e che valgono non solo per Eni, ma per tutte le società a controllo pubblico. Nel nostro caso l’azionariato critico è svolto in Eni, Enel, Leonardo, società nelle quali l’azionista di riferimento è lo Stato. Oltre che in Acea, dove l’azionista di riferimento è il Comune di Roma.

Con Zingales concordiamo sul fatto che lo Stato ha diversi profili di responsabilità in Eni. Per esempio il mancato controllo sulle omesse e ritardate dichiarazioni dell’ad Descalzi relative alla normativa sulle parti correlate. Questa omissione attiene agli interessi economici della moglie in una società che prestava servizi a Eni Congo.

Così come la mancata richiesta di chiarimenti e dimissioni al momento del rinvio a giudizio di Descalzi sul caso di corruzione internazionale in Nigeria; esponendo così il paese a un rischio reputazionale enorme.

Ma, in fondo, questo caso pone il tema fondamentale del ruolo dello Stato in queste società. E, per noi, anche del ruolo che ogni azionista può e deve svolgere in esse. In questa riflessione ci guida il dettato costituzionale.

L’art.41 della nostra Carta fondamentale dichiara che “L’iniziativa economica privata è libera“. Ma anche“non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”. Cosa vuol dire, in concreto?

Che i cittadini che investono il loro risparmio nelle aziende quotate si rendono protagonisti e forse responsabili di vigilare e indirizzare la “propria” azienda in una direzione coerente con questa norma. E, soprattutto, che quando la “propria” azienda devia da questo solco, tutti gli azionisti sono chiamati a intervenire per quanto nei propri poteri.

D’altra parte, prosegue l’art.41, “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” e, dunque, sarebbe anche compito dello Stato svolgere questa funzione. Tanto più, quando lo Stato che deve assicurare questo indirizzo e controllo è esso stesso l’azionista di riferimento di queste società: ad esso spetterebbe di farsi parte diligente per garantire l’effettività del dettato costituzionale.

Questo attivismo aziendale da parte dello Stato è rafforzato dall’art.43 che ammette che “A fini di utilità sociale la legge può riservare  originariamente o trasferire … allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale”.

L’interesse generale di cui parla l’art.43 cosa è, ad esempio, se non la tutela dell’ambiente e dei diritti umani che sono implicati nelle attività di queste società?

E, infine, l’art.47, secondo il quale la Repubblica favorisce “l’accesso del risparmio popolare … al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del Paese”, non trasferisce forse in capo all’azionista di queste aziende almeno quota parte di quella responsabilità di indirizzo e controllo verso finalità sociali, contenuta negli articoli precedenti, delle aziende di cui sono proprietari?

Ora, questo insieme di norme evidenzia profili di responsabilità, anche giuridici, ma certamente politici per lo Stato. Esso non partecipa infatti direttamente nella compagine sociale di una società per massimizzare i ricavi, bensì per realizzare degli obiettivi di sviluppo e di interesse comune per la comunità nazionale rappresentata.

Le contraddizioni che spesso Fondazione Finanza Etica nel suo azionariato critico rileva, nel comportamento di questo azionista così “speciale” quale è lo Stato, dovrebbero essere oggetto di riflessione. Non solo per gli stakeholder dell’impresa, ma anche del Paese: per i cittadini elettori e per le istituzioni pubbliche.

Lo Stato, azionista di riferimento di Leonardo che produce anche armi, è lo stesso che ne autorizza la vendita a paesi in conflitto, in violazione della legge 185/90 sul commercio di armi. Ciò implica una responsabilità ulteriore in capo al Governo derivante proprio dall’essere azionista di riferimento di quell’azienda.

Analogamente se lo Stato è azionista di Eni, il cui management viene implicato in un caso di corruzione internazionale, il Governo ha una ulteriore responsabilità rispetto a quella più generale di indirizzo nelle politiche sull’energia e idrocarburi del Paese.

In questo senso non è fuori luogo dire che l’azionariato critico sollecita una riflessione sulla partecipazione alla vita delle imprese in termini di democrazia economica. Infatti, quando il capitale sociale è estremamente disperso, come nel caso delle società quotate italiane, il  potere si concentra in modo sproporzionato sui manager e sulla dirigenza.

Ma questi hanno l’unico obiettivo di massimizzare il valore delle azioni al fine di assecondare le aspettative degli azionisti di maggioranza; oltre che di portare a casa retribuzioni personali legate ai risultati economici di dimensioni spropositate.

L’azionariato critico pone l’accento sul ruolo attivo e la responsabilità etica di ognuno dei comproprietari.

È  dunque anche uno strumento che permette di migliorare la conoscenza e la partecipazione dei piccoli azionisti e dei cittadini alle scelte delle imprese in campo finanziario. Ma, certamente, chiede all’azionista di riferimento-Stato di assumersi le responsabilità di guida della società, indirizzandola ai fini dell’interesse generale del paese.

 

Simone Siliani, direttore Fondazione Finanza Etica

Laudato si’ e finanza etica. Le proposte dell’incontro di Assisi

  |   By  |  0 Comments

Team facilitatori Laudato si' e finanza etica

Laudato si’ e finanza etica. Le proposte dell’incontro di Assisi di Fondazione Finanza Etica aspettando The Economy of Francesco.

La finanza da problema a soluzione

L’enciclica “Laudato Sì” individua nella finanza una delle cause principali della crisi ecologica, sociale e culturale del nostro pianeta. Ma la finanza da problema può diventare soluzione. La finanza etica in tutto il mondo – da almeno 30 anni – ha elaborato proposte concrete e sperimentate per un’economia che sia realmente al servizio delle persone.

Esperti del settore bancario e finanziario insieme a giovani economisti e ricercatori under 35 nell’incontro di Assisi hanno elaborato riflessioni e fornito proposte sul rapporto tra Laudato si’ e finanza etica. Questi risultati saranno discussi durante le giornate di “The Economy of Francesco promosse da Papa Francesco Bergoglio dal 26 al 28 marzo ad Assisi.

Presentiamo qui alcuni momenti degli interventi dei dialoghi della mattina.

Joseba Segura

Teologo, economista, missionario in Ecuador, vescovo ausiliario di Bilbao

Intervento di Joseba Segura

Il suo intervento si è incentrato sugli investimenti finanziari delle istituzioni ecclesiastiche. ”All’inizio del secolo, quando a Bilbao un piccolo gruppo di persone ha avviato il progetto Fiare , siamo partiti con questa preoccupazione: far sì che i principi della Dottrina Sociale della Chiesa guidassero anche il complesso e opaco mondo degli investimenti finanziari. Sentivamo la necessità di fare qualcosa di diverso dal “greenwhashing” di tanti presunti “investimenti etici“. Il nostro obiettivo, in quel momento era contribuire a trasformare l’economia a partire dalla finanza.”

E ha proseguito con una chiamata all’azione. “Concentrandoci sulle nostre chiese locali e sulle comunità cattoliche, c’è ancora quasi tutto da fare. La “Laudato si’” ha raggiunto molti credenti, ma non è ancora riuscita a far cambiare le scelte delle istituzioni ecclesiastiche. Noi credenti tendiamo con tutto il cuore al benessere integrale delle persone, ma per qualche motivo ancora bandiamo il cuore dalla sfera delle decisioni finanziarie. E non ci rendiamo conto dell’incoerenza che ciò comporta. Per questo è ancora perfettamente possibile incontrare i responsabili finanziari delle istituzioni ecclesiastiche che, nei loro approcci all’investimento etico, non sono andati oltre i classici filtri negativi della selezione: armi, aborto, contraccettivi, pornografia, ecc. Il cambiamento di coscienza deve avvenire anche ai vertici della Chiesa, nei vescovi e nei superiori maggiori”.

Anna Fasano

Presidente di Banca Etica

Intervento Anna Fasano e Guido Viale

Banca Etica si è approcciata alla Laudato si’ con inquietudine: non l’inquietudine dell’ansia, ma quella della costante, tenace ricerca di senso – ha sottolineato Anna Fasano –  È arrivato il momento non solo di fare educazione critica alla finanza, ma anche di sedersi sempre più combattivi ai tavoli europei dove si discute la normativa sugli  investimenti sostenibili, di creare nuovi linguaggi. Ormai sostenibile non vuol dire più niente, è una parola svuotata di senso. Dobbiamo mettere in campo strumenti che diano alle persone non solo la possibilità di informarsi, ma anche di scegliere”.

Guido Viale

Saggista e sociologo

Ci sono 3 settori dove la finanza alternativa ha una missione fondamentale da svolgere. La prima è quella dell’informazione: stando dentro al meccanismo finanziario si possono capire e spiegare molte cose che noi dall’esterno non vediamo; bisogna, in sostanza, dare un’educazione critica alla finanza. La seconda è un’opera di resilienza, fornendo sostegno e assistenza tecnica alle comunità che sentono l’esigenza di organizzarsi con forme di valuta alternativa. La terza è sostenere le imprese che cercano una conversione ecologica in un’ottica di rete territoriale, in cui gli istituti di credito, i sindacati coinvolgano gli stakeholder del territorio per cominciare a progettare una transizione giusta”.

Paolo Beccegato

vicedirettore Caritas Italiana

Intervento Patxi Alvarez e Paolo Beccegato

Su giustizia globale e ambiente, Paolo Beccegato ha aggiunto: “Nella Laudato si’ possiamo isolare 4 punti fortemente interconnessi tra loro. Il primo è la povertà, fenomeno internazionale che colpisce duramente anche in Europa e in Italia: la povertà può essere causata anche dalla sottrazione sistematica di risorse. Il secondo fenomeno è quello delle guerre, non solo dei conflitti armati maggiori, ma anche delle violenze locali e sociali all’interno dei nuclei famigliari. Il terzo elemento è quello del degrado ambientale. Questi tre poli sono strettamente collegati fra loro. Il quarto elemento è quello delle speculazioni finanziarie, di una finanza non inclusiva e senza una governance. Questi quattro pilastri, nella nostra esperienza quotidiana di Caritas, possono essere girati positivamente, lavorando per la pace, lo sviluppo, la tutela ambientale e l’inclusione finanziaria. Questi quattro grandi fenomeni mostrano una correlazione sempre più significativa in negativo, ma potenzialmente anche in positivo: non cediamo quindi alla complessità, ma rispondiamo con un pari sforzo di unione fra noi. Ed è questo, forse, il primo motivo per cui oggi siamo qui”.

 

Le proposte sui rapporti tra Laudato si’ e finanza etica saranno scaricabili a partire dal 8 marzo 2020 sul nostro sito.

Riaperte le iscrizioni al convegno sulla Laudato si’

  |   By  |  0 Comments

Riparare la nostra casa comune

Siamo lieti di infomare tutti gli interessati che sono riaperte le iscrizioni all’incontro ad Assisi il 1 febbraio 2020 sul tema “Riparare la nostra casa comune. Laudato si’, economia e finanza etica” esclusivamente per i dialoghi della mattina.

Potete registrarvi QUI.

Segnaliamo anche che è cambiato il relatore del dialogo con Anna Fasano su Laudato si’ e finanza, l’incontro sarà con il saggista e sociologo Guido Viale.

A questo link trovate il programma completo dell’incontro.

Qui il nostro position paper.

ENI: quale mission?

  |   By  |  0 Comments

La guerra ai cambiamenti climatici si conduce anche nei tribunali. È il caso della California. E sulla West Coast il caso interroga questioni più profonde come il ruolo dello Stato in questo conflitto, la sua funzione di garanzia quando sono in gioco interessi generali e interessi privati, che sono al fondamento di una democrazia ben funzionante. E forse c’è da riflettere anche in Italia.

Ecco il caso.

Le città di Oakland e San Francisco hanno portato le major del petrolio in tribunale, accusandole di aver messo a rischio le comunità costiere del Pacifico a causa del loro contributo al cambiamento climatico: l’innalzamento dei livelli del mare su queste città costiere, in caso di uragani porterebbe a devastanti alluvioni; ogni tempesta, cioè, si assommerebbe a livelli più alti del mare con rischi enormi per la salute dei cittadini e la sicurezza dei beni pubblici e privati.
Ora, accade che – mentre il procedimento giudiziario è in corso – vengono alla luce 178 pagine di email scambiate fra legali del Dipartimento di Giustizia del Governo federale e gli avvocati delle compagnie petrolifere dalle quali emerge una complicità e una collaborazione dei primi con i secondi nella costruzione della difesa contro le accuse di Oakland e San Francisco. Le email sono state acquisite dal Natural Resources Defense Council (una ong ambientalista fondata nel 1970 con sede a New York), in base alla legge federale Freedom of Information Act, una delle conquiste della democrazia americana nel 1967 e ampliata durante la presidenza Clinton fra il 1995 e il 1999. Le email mettono in evidenza una stretta relazione fra l’Amministrazione Trump, in particolare la struttura della Giustizia (l’avvocatura federale, nello specifico) e l’industria petrolifera. Una vicinanza fatta di decine di incontri con lo scopo di preparare memorie difensive, di scambi di informazioni in vista delle udienze, di cortesie legali che hanno fatto sorgere più di un dubbio circa l’imparzialità del Governo federale rispetto a un contenzioso in cui si confrontano soggetti pubblici che agiscono in nome di interessi generali delle comunità rappresentate (le due città) e soggetti privati che difendono interessi particolari (le compagnie petrolifere). Alcuni sostengono che in questi contatti non si ravvisano comportamenti illegittimi (“red flag”), al più inopportuni (“eyebrow”). Ma il fatto è che il Dipartimento di Giustizia del Governo federale si è apertamente schierato a favore dell’industria petrolifera in un processo
attraverso una memoria firmata da Jeff Wood, già uomo di punta della campagna elettorale di Trump e da questi nominato avvocato generale nella Divisione Ambiente e Risorse Naturali del Dipartimento della Giustizia. Nella memoria Wood scrive che “ Gli Stati Uniti hanno un forte interesse economico e nazionale nel promuovere lo sviluppo dei combustibili fossili, fra le altre fonti energetiche”; dunque “l’equilibrio fra i bisogni energetici della nazione e interessi economici da un lato e i rischi posti dai cambiamenti climatici è competenza in primo luogo delle varie articolazioni del Governo federale”, motivo per cui la causa intentata da Oakland e San Francisco viola il principio costituzionale della separazione dei poteri.
Altri invece, come la ong NRDC, ritengono che la collaborazione con l’industria petrolifera responsabile dei cambiamenti climatici non sia negli interessi degli Stati Uniti. C’è stato favoritismo del Governo federale per una parte in un contenzioso giudiziario tale da compromettere la terzietà dell’amministrazione pubblica? È assai probabile, visto che il Dipartimento di Giustizia – mentre collaborava attivamente con BP e con le altre major del petrolio – mai ha cercato e interloquito con le due amministrazioni cittadine. Certamente possiamo dire che questa vicinanza fra Governo e imprese private, cioè la mescolanza fra interessi pubblici e interessi privati, negli Stati Uniti ha sollevato scandalo, discussioni, conflitti istituzionali; ha sollevato domande inquietanti sull’obiettività della struttura del Governo federale preposta alla amministrazione della Giustizia. Sono quesiti di fondo circa l’essenza di una democrazia moderna.

Ma, allora, per venire a casa nostra, cosa potremmo o dovremmo pensare di un governo, quello italiano, che è tanto vicino all’industria degli idrocarburi, cioè dei combustibili fossili, da esserne azionista di riferimento? Parliamo, ovviamente, di Eni (Ente Nazionale Idrocarburi) di cui il Ministero dell’economia e della finanza (Mef) è azionista di maggioranza. Toccare questo tasto non è particolarmente beneaugurante (come ha dimostrato la vicenda del ministro Fioramonti, che osò discutere questa posizione del Governo in Eni sulla nostra testata Valori), ma per quanto sarà ancora possibile eludere la domanda: lo Stato, che deve ridurre fino al superamento la carbonizzazione della produzione di energia elettrica in base all’accordo di Parigi della COP 21, può anche essere azionista di riferimento di un’azienda che ha come mission quella di operare nel campo delle fonti fossili di energia ? O, quanto meno, può farlo senza porre all’azienda l’obiettivo, concreto e misurabile, del superamento di questo mandato costitutivo di essere l’ente nazionale idrocarburi?

Simone Siliani

Sull’energia ci vuole coraggio

  |   By  |  0 Comments

Avete presente Barclays, vero? Uno dei grandi player bancari del pianeta: presente in oltre 50 paesi con 129.400 dipendenti, per un totale di asset pari a 1,133 trilioni di sterline nel 2018. Ovviamente anche Barclays è stata folgorata sulla strada di Damasco dalla sostenibilità e ha prontamente messo in scaffale conti correnti sostenibili e ha lanciato i “green trade loan”, prestiti per aiutare le imprese a sviluppare progetti o fornire nuovi servizi sostenibili. Era il 2018 e di questi green trade loans avrebbero potuto usufruire le imprese con “finanziamenti commerciali verdi” solo per determinate attività, quali l’efficienza energetica, lo sviluppo di energie rinnovabili, i trasporti sostenibili e la gestione dei rifiuti. Una notizia che sembrava confermare lo spostamento verso la sostenibilità anche del comparto finanziamenti.

Oggi, però, un gruppo di azionisti critici guidati da ShareAction è riuscito a presentare una mozione nell’Assemblea degli azionisti di Barclays che si svolgerà a maggio in cui chiede alla banca multunazionale di cambiare politica spostandosi decisamente dal finanziamento delle imprese dei combustibili fossili all’energia rinnovabile. Per aderire davvero agli impegni dell’accordo di Parigi della COP21 contro i cambiamenti climatici e per tutelare la solidità stessa dell’azienza. Sì, perché nonostante la grande comunicazione sulla svolta green della finanza, le banche continuano a pompare miliardi di dollari nei combustibili fossili: dalla firma dell’accordo di Parigi (dicembre 2015), si calcola che le 33 maggiori banche mondiali abbiano investito 1,9 trilioni di dollari nel settore, con Barclays responsabile per 85 miliardi di dollari, collocandosi così in un “onorevole” sesto posto al mondo, ma leader assoluto fra le banche europee.

Gli azionisti critici chiedono dunque che Barclays si allinei, nel finanziamento del settore energetico, agli obiettivi di Parigi. Presentare una mozione in questo genere di consessi è già in sé un risultato importante (e ShareAction ci è riuscita grazie anche al sostegno di altri 11 investitori istituzionali; un po’ come noi facciamo con la nostra rete Shareholders for Change); ma ancor più è importante considerare le motivazioni con cui viene sostenuta questa mozione. Chiaramente si dimostra come la svolta sostenibile sia per la Barclays una operazione più di marketing che di sostanza. Un bel problemino per una banca che è fra i fondatori dei Principles for Responsible Banking delle Nazioni Unite.

Tuttavia è interessante notare come ShareAction motiva la propria mozione con l’obiettivo di “promuovere il successo a lungo termine dell’azienda”. Sì perché i rapporti della Task Force costituita nell’ambito dell’accordo di Parigi che si occupa della trasparenza finanziaria legata al clima e quelli del gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite sugli impatti sul riscaldamento globale, di fronte a un aumento di 1,5°C della temperatura del globo, evidenziano come il passaggio da 1,5° a 2° di aumento causerebbero danni economici addizionali da 8,1 a 11,6 trilioni di dollari entro il 2050. Inoltre Citigroup (non proprio una organizzazione dell’ambientalismo radicale) sottolinea come il mancato raggiungimento dell’obiettivo di mantenere la crescita della temperatura sotto 1,5°C, continuando a finanziare i settori dei combustibili fossili, produrrà ulteriori 50 trilioni di dollari di danni economici e di perdita di produttività entro il 2060. Chi pagherà questi costi? Certamente la collettività dei paesi più direttamente colpiti dagli effetti dei cambiamenti climatici; sicuramente le aziende, che sempre più spesso sono chiamate a rispondere di danni connessi ai cambiamenti climatici. Ma è altrettanto vero che l’enfasi che la comunità mondiale sta giustamente mettendo sui rischi connessi ai cambiamenti climatici spinge la concorrenza anche fra i soggetti finanziari a posizionarsi lungo questa direttrice e la concorrenza premia i posizionamenti migliori (e, forse, più coerenti) e punisce chi resta ancorato a vecchi medelli. Così la mozione di ShareAction evidenzia come altri player finanziari europei abbaino intrapreso strade più coraggiose per quanto riguarda il settore energetico: HSBC si è impegnata a non finanziare attività per le quali la maggior parte dell’investimento venga usato per nuovi progetti oil & gas nell’Artico; Crédit Agricole ha indicato un processo di phasing-out dal carbone entro il 2030 per l’Europa e i paesi OCSE, entro il 2040 per la Cina, entro il 2050 per il resto del mondo. Chiaramente, dicono gli azionisti critici, questa tendenza rischia di mettere fuori mercato la “nostra” azienda, Barclays, e per questo incoraggiano l’azienda a non affidarsi troppo sulle tecnologie a emissioni negative per adeguarsi ad obiettivi di phasing-out rispetto alle fossili, perché tali tecnologie potrebbero essere disponibili in tempi troppo lunghi per poter evitare le peggiori conseguenze sull’ambiente e quindi in tempi tali da non evitare i riverberi negativi sulla performance economica dell’azienda.

Insomma, il punto di vista dell’azionista critico è tanto esterno all’azienda, nel senso che si interessa degli effetti non economici delle scelte economico-finanziarie della “sua” azienda; quanto interno, perché si deve interessare dei buoni risultati a lungo termine della stessa.

E, infine la vicenda di ShareAction su Barclays ci dice – cosa particolarmente rilevante per noi di Fondazione Finanza Etica che dal 2008 facciamo attività di azionariato critico – che è importante costruire alleanze con altri investitori istituzionali e che il settore bancario e finanziario è decisivo per indurre cambiamenti nel sistema, anche dal  punto di vista dell’azionariato critico.

 

Simone Siliani

Riparare la nostra casa comune. Laudato si’, economia e finanza etica

  |   By  |  0 Comments

Laudato si' e finanza etica

Fondazione Finanza Etica per il Gruppo Banca Etica e Fra’ Sole, con la collaborazione di Sisifo, organizzano il convegno “Riparare la nostra casa comune. Laudato si’, economia e finanza etica“, Assisi, Sacro Convento – sabato 1° febbraio 2020.

 

La finanza occupa una posizione centrale nell’analisi che l’Enciclica sulla cura della casa comune, Laudato si’, di Papa Francesco svolge sulla crisi ecologica, sociale e culturale in cui è avvolto il pianeta.
I termini finanza e finanziaria ricorrono 15 volte nell’Enciclica e sempre quali elementi cardine della crisi, ai quali si riconducono gli aspetti di insostenibilità dell’attuale modello di sviluppo.
L’Enciclica – coerentemente con la proposta di un’ecologia integrale nella quale ogni elemento ambientale, sociale, economico, culturale del modello di sviluppo globale è connesso uno all’altro – individua nella finanza il vero motore di questo modello, causa di squilibri, storture, diseguaglianze, rischi globali.
È la finanza globale il vero dominus di questo sistema.
Essa domina sulla politica, svuotando così la stessa dalla sua funzione di governo, di arte attraverso la quale – nei sistemi democratici – si svolgono i processi di autodeterminazione delle persone e si attuano i diritti universali che le diverse convenzioni internazionali (a partire dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948) hanno posto a fondamento del diritto positivo internazionale. “Degna di nota è la debolezza della reazione politica internazionale. La sottomissione della politica alla tecnologia e alla finanza si dimostra nel fallimento dei Vertici mondiali sull’ambiente” (in VI “La debolezza delle reazioni”, paragrafo 54). La finanza, opaca e impersonale, è la vera incarnazione del potere nel mondo moderno e la politica appare incapace di visioni di ampia portata e, dunque, di governarla: “Si richiede dalla politica una maggiore attenzione per prevenire e risolvere le cause che possono dare origine a nuovi conflitti. Ma il potere collegato con la finanza è quello che più resiste a tale sforzo, e i disegni politici spesso non hanno ampiezza di vedute” (in VI “La debolezza delle reazioni”, paragrafo 57). Così, laddove sarebbe decisivo l’intervento umano per restituire equilibrio a ciò che esso stesso ha messo in crisi, come nel caso della perdita di biodiversità a seguito della introduzione di pesticidi nell’ambiente a sostegno di un’agricoltura intensiva e alterata dalla chimica, questo non avviene perché gli interessi della finanza e del consumo prevalgono: “Ma osservando il mondo notiamo che questo livello di intervento umano, spesso al servizio della finanza e del consumismo, in realtà fa sì che la terra in cui viviamo diventi meno ricca e bella, sempre più limitata e grigia, mentre contemporaneamente lo sviluppo della tecnologia e delle offerte di consumo continua ad avanzare
senza limiti” (in III “Perdita di biodiversità”, paragrafo 34).
Tutta l’Enciclica è pervasa dai riverberi della elaborazione della cultura del limite che dalle ricerche sull’ecologia culturale degli anni ’50 (quel filone di ricerca delle scienze etnoantropologiche che investiga le relazioni tra gli aspetti socio-culturali dei gruppi umani e l’ambiente nel quale vivono, in stretto rapporto con altre discipline quali ecologia, geografia umana, biologia, archeologia, economia, demografia) giunge fino alle attuali elaborazioni dell’ambientalismo scientifico. Di nuovo, la finanza è la rappresentazione perfetta di una pratica dello sviluppo e dell’economia nella quale è concepibile una crescita illimitata. Infatti, è la finanza che ha reso possibile una crescita del tutto distaccata dall’economia reale, attraverso la speculazione finanziaria e la creazione di denaro da denaro come fine ultimo della teoria economica. Sulla crescita senza limiti: “Viceversa, ora ciò che interessa è estrarre tutto quanto è possibile dalle cose attraverso l’imposizione della mano umana, che tende a ignorare o a dimenticare la realtà stessa di ciò che ha dinanzi. Per questo l’essere umano e le cose hanno cessato di darsi amichevolmente la mano, diventando invece dei contendenti. Da qui si passa facilmente all’idea di una crescita infinita o illimitata, che ha tanto entusiasmato gli economisti, i teorici della finanza e della tecnologia” (in II “La globalizzazione del paradigma tecnocratico”, paragrafo 106).
La torsione speculativa della finanza contemporanea sta alla base di questa illusione di una crescita illimitata e neutra rispetto ai sistemi fisici: “Nel frattempo i poteri economici continuano a giustificare l’attuale sistema mondiale, in cui prevalgono una speculazione e una ricerca della rendita finanziaria che tendono ad ignorare ogni contesto e gli effetti sulla dignità umana e sull’ambiente. Così si manifesta che il degrado ambientale e il degrado umano ed etico sono intimamente connessi” (in VI “La debolezza delle reazioni”, paragrafo 56).
Una crescita senza limiti, un miraggio pericoloso, che è diventata realtà grazie alla finanza, ma a discapito dell’economia reale: “Il paradigma tecnocratico tende ad esercitare il proprio dominio anche sull’economia e sulla politica. L’economia assume ogni sviluppo tecnologico in funzione del profitto, senza prestare attenzione ad eventuali conseguenze negative per l’essere umano. La finanza soffoca l’economia reale . Non si è imparata la lezione della crisi finanziaria mondiale e con molta lentezza si impara quella del deterioramento ambientale” (in II “La globalizzazione del paradigma tecnocratico”, paragrafo 109).
La crisi economico-finanziaria del 2007-2008 ritorna spesso nell’Enciclica come il momento in cui il modello di sviluppo globale ha mostrato le sue intrinseche debolezze e la sua fallacia rispetto ai suoi stessi presupposti. L’Enciclica coglie soprattutto due aspetti di questo evento: il suo manifestarsi come sistema globale (e non comprensibile con i tradizionali strumenti interpretativi nazionali della politica e dell’economia) e l’illusorietà di un sistema che si pretende al di sopra delle dinamiche economiche, sociali e ambientali. “Il XXI secolo, mentre mantiene una governance propria di epoche passate, assiste ad una perdita di potere degli Stati nazionali, soprattutto perché la dimensione economico-finanziaria, con caratteri transnazionali, tende a predominare sulla politica” (in cap. quinto ”Alcune linee di orientamento e di azione”, paragrafo 175). Una dimensione che l’Enciclica denuncia come irriformata anche a seguito della crisi del 2007-2008: “Il salvataggio ad ogni costo delle banche, facendo pagare il prezzo alla popolazione, senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riafferma il dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà generare solo nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura. La crisi finanziaria del 2007-2008 era l’occasione per sviluppare una nuova economia più attenta ai principi etici, e una nuova regolamentazione dell’attività finanziaria speculativa e della ricchezza virtuale” (in cap.quinto, IV “Politica ed economia in dialogo per la pienezza umana”, paragrafo 189). E sempre nelle stesse pagine l’Enciclica sottolinea come la finanza, per quanto viva il suo delirio di onnipotenza al di sopra dell’economia reale, fa ricadere gli effetti delle sue crisi proprio in questi ambiti: “La bolla finanziaria di solito è anche una bolla produttiva. In definitiva, ciò che non si affronta con decisione è il problema dell’economia reale, la quale rende possibile che si diversifichi e si migliori la produzione, che le imprese funzionino adeguatamente, che le piccole e medie imprese si sviluppino e creino occupazione…” .
C’è, dunque, anche una riflessione critica sui meccanismi della finanza che, collegata alla tecnologia, ha preteso nelle teorie liberiste di trovare intrinsecamente soluzioni a qualsiasi problema pur causato dal proprio funzionamento. Ma finanza e tecnologia sono oggi incapaci, nonostante i loro impensabili sviluppi soltanto qualche decennio fa, di comprendere quella che potremmo definire con Gregory Bateson in “Mente e natura” , la struttura che connette , quel sistema di collegamenti che definiscono il “contesto” di cui si compone il nostro mondo, nel quale “la logica e la quantità si dimostrano strumenti inadeguati per descrivere gli organismi, le loro interazioni e la loro organizzazione interna”[1]. Analogamente, l’Enciclica: “La tecnologia che, legata alla finanza , pretende di essere l’unica soluzione dei problemi, di fatto non è in grado di vedere il mistero delle molteplici relazioni che esistono tra le cose, e per questo a volte risolve un problema creandone altri” (in cap. primo “Quello che sta accadendo alla nostra casa” , paragrafo 20).

Ora, se l’analisi del ruolo della finanza in “ciò che sta accadendo alla nostra casa” è assai circostanziato e ben articolato, non altrettanto forse è definito il ruolo che una diversa economia e una diversa finanza da quella mainstream possono concretamente fare per riparare questa nostra casa comune.
Di nuovo, l’Enciclica mette in evidenza come le soluzioni a questo squilibrio debbano essere strutturali, andando nel profondo a comprenderne le cause, evitando scorciatoie o vuoti nominalismi. Essa fa esplicito riferimento ai rischi di greenwashing intorno alla parola magica della “sostenibilità” o della “finanza sostenibile” che, talvolta, può essere usata come un passpartout per operazioni di solo marketing: “In questo quadro, il discorso della crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di
immagine” (in cap. quinto, paragrafo 194).
Tuttavia, l’Enciclica può (deve, secondo noi) essere il viatico per una riflessione costruttiva e innovativa sulla finanza stessa. Può la finanza, una diversa finanza, svolgere un ruolo positivo nel sostenere una diversa idea di sviluppo economico e produttivo che ripari la casa rovinata e la predisponga per una diversa stagione della sua vita? Può, nella sostanza, tornare ad essere ciò per cui essa nasce, cioè far incontrare domanda e offerta di denaro per lo sviluppo sociale, ambientale, umano della società? E se sì, quale deve essere la caratteristica di questa diversa finanza? Quali i parametri per individuarne gli effettivi e positivi impatti sociali e ambientali? Rispetto alla Laudato  si’, che contributo può dare la finanza etica (così come praticata negli ultimi decenni da molte istituzioni finanziarie in Europa, nel mondo e in Italia e, di recente, statuita nella legge italiana che identifica gli operatori di finanza etica, art.111 bis TUB) a questo cambiamento? Come possono queste esperienze “contagiare” la finanza mainstream affinché tutta la “finanza cinica” possa diventare “finanza etica”? Quale contributo possono dare i legislatori affinché le norme ad ogni livello – locale, nazionale, europeo, internazionale – possano effettivamente incentivare la conversione della finanza mainstream in una finanza eticamente orientata e, allo stesso tempo, disincentivare, regolare, sanzionare le inadempienze della “finanza cinica”? Che ruolo possono avere i risparmiatori e gli investitori istituzionali in questo cambiamento? Disinvestimento da imprese coinvolte in combustibili fossili, armi e altri settori “cinici”, azionariato critico e attivo, scelte consapevoli nell’uso dei propri risparmi possono avere un’efficacia nell’innescare cambiamenti più ampi e profondi? E, last but not least , le banche, il loro management e i loro operatori possono avere un ruolo in questo epocale cambiamento richiamato dalla Laudato si’, oppure resteranno spettatori muti e, talvolta, anche complici?
Il Manifesto di Banca Etica sembra dialogare molto con i contenuti della Laudato si’, in primo luogo laddove il Manifesto concepisce l’idea stessa della sostenibilità di una società, nella quale i tre pilastri “lo sviluppo economico, la coesione sociale, la tutela ambientale – sono pensati in modo fortemente integrato”. L’interdipendenza, che è uno dei fondamenti dell’ecologia integrale di Papa Francesco, è anche l’architrave che tiene uniti i cinque elementi, le cinque dimensioni della nuova economia (la dimensione comunitaria, la relazione, la reciprocità, la legalità, la dimensione sociale e ambientale). Del resto il Manifesto , in premessa e programmaticamente afferma che “oggi le grandi sfide si affrontano solo in una logica di interdipendenza, solidarietà, giustizia e cura della Terra”.
Analogamente il Manifesto risponde al punto che la Laudato si’ sottolinea in più passaggi, cioè il distacco fra l’attività finanziaria prevalente di oggi e l’economia reale. In primo luogo affermando la necessità che l’economia e la finanza tornino a essere “al servizio della società e non viceversa”. In secondo luogo affermando “il primato del lavoro sulla rendita da capitale nella produzione del reddito” e impegnando la Banca nella sua funzione di intermediazione finanziaria a “rendere mobile la ricchezza … creando un capitale che è allo stesso tempo umano, sociale, materiale, immateriale, economico e finanziario” .
Il Manifesto, fatto centro su questi principi e valori, delinea anche un ambito di impegno e di attività che – oltre la propria mission strategica di erogare credito e, dunque, garantire il credito come diritto della persona – possano delineare una riforma strutturale del mondo della finanza per farlo corrispondere a questi principi.
Così vengono indicati alcuni obiettivi e strumenti di riforma che, anche in vista dell’iniziativa The Economy of  Francesco che si svolgerà ad Assisi dal 26 al 28 marzo 2020, possono essere oggetto di confronto per tradurre le indicazioni contenute nella Laudato si’ in concreti passi per la riforma del sistema. Fra quelle indicate nel Manifesto si ricorda la Tassazione sulle Transazioni Finanziarie, l’eliminazione dei paradisi fiscale, la separazione fra le banche commerciali e le attività speculative svolte dalle banche e dalle istituzioni finanziarie, la definizione di standar stringenti relativi alle attività cd. di “finanza sostenibile” al fine di evitare operazioni di marketing dietro le quali continuare il business as usual delle istituzioni finanziarie mainstream, l’azionariato critico e attivo quale leva per la partecipazione attiva degli investitori nella gestione di grandi imprese (talvolta a partecipazione statale) che tengano in considerazione le ricadute non economiche della scelte finanziarie.

Di questo vogliamo discutere nel seminario su Laudato si’ e finanza etica che organizziamo ad Assisi, presso il Sacro Convento dei frati francescani il prossimo 1° febbraio 2020, da intendersi anche come un contributo del Gruppo Banca Etica al percorso che porterà i giovani economisti chiamati dal Papa a discutere dell’Economia di Francesco.

[1] Gregory Bateson, Mente e natura, Adelphi, 1979 .